di Giuseppe Scaraffia
Da Luisa Casati a Coco Chanel, da Hemingway a Proust, i numerosi ospiti straordinari che hanno contribuito al mito dell’hotel parigino
Il 21 aprile 2018 un’immensa asta ha disperso mobili, quadri, suppellettili, piatti e bicchieri del mitico Hotel Ritz di Place Vendoˆme a Parigi. Con sorpresa di tutti, si trattava soprattutto di copie. L’alta borghesia, gli artisti e l’aristocrazia che lo frequentavano preferivano il cassetto silenzioso di un falso secrétaire Luigi XV a quello cigolante di un mobile autentico. I pezzi unici, quelli che ancora oggi conferiscono fascino a questo albergo, sono gli straordinari clienti di un luogo leggendario.
Lo sapeva un habitué come Marcel Proust: «Il Ritz è bollente, cosa che adoro. è l’edificio più brutto che esista (dopo il mio appartamento) ma questo mi è indifferente...». I camerieri – che lo adoravano per le immense mance che elargiva – erano abituati a vederlo dirigersi in ritardo, pesantemente vestito anche in estate, verso il tavolo dove lo attendevano i suoi invitati. Lui non toccava quasi il cibo, limitandosi a piluccare un grappolo d’uva o a sorseggiare la prediletta birra gelata che avrebbe chiesto dal letto anche nei suoi ultimi giorni, pur sapendo che «succederà come per tutto il resto:arriverà troppo tardi».
Quando la marchesa milanese Luisa Casati eccentricamente vestita si affacciava nella hall, il personale sapeva che il lavoro sarebbe raddoppiato – come d’altronde le mance. Non era solo il suo serpente ad avere bisogno di topi vivi o il suo ghepardo di carne fresca. La signora marchesa si abbandonava a ogni sorta di eccentricità e se non veniva subito accontentata, era capace di lanciare dalla finestra i suoi inestimabili gioielli che poi tutto il personale doveva precipitarsi a raccogliere. I bon vivant frequentatori dell’Hotel Ritz amavano gli scherzi: una sera quattro becchini, tra le proteste generali, trascinarono nel locale una bara voluminosa. «Volete rivedere per l’ultima volta il vostro amico?», chiesero impassibili ai clienti. Ma, appena scoperchiato il feretro, al suo interno comparve una distesa di bottiglie di champagne.
Nel 1936 la sarta più sofisticata dell’epoca, Coco Chanel, benché avesse un fastoso appartamento poco distante, si era rifugiata nella protettiva atmosfera del Ritz.
L’hotel sembrava librarsi in una sfera intangibile. «La città era per due terzi accerchiata dalle truppe tedesche, i tiri d’artiglieria illuminavano il cielo, ma al Ritz tutto si svolgeva come al solito», notò Otto d’Asburgo alla caduta di Parigi. Durante i bombardamenti Chanel scendeva nel rifugio antiareo seguita da una cameriera che portava la sua maschera antigas su un cuscino.
Era stato Francis Scott Fitzgerald a portare Ernest Hemingway in quel sontuoso locale. Appena entrato insieme alle truppe americane nella capitale francese si precipitò al Ritz, ritrovando i deliziosi Martini del bar. Dopo tante notti difficili ritrovò gli smisurati cuscini, gonfi di piume d’oca, appoggiati all’immensa spalliera d’ottone dei letti. «Quando sogno il paradiso, sosteneva, sto sempre dormendo al Ritz!»