di Tino Mantarro | Foto di Daniele de Carolis
La remota valle Maira 25 anni fa ha scommesso sui Percorsi Occitani, puntando sull’escursionismo e la bellezza del paesaggio. Grazie ai turisti tedeschi, una guida e un bel film è stato un successo. E oggi i giovani tornano a viverci
La valle Maira non porta da nessuna parte. Dopo 40 chilometri ostici, tutti curve e passaggi stretti, la strada si assottiglia via via che arrivi in fondo, fino a Chiappera, dove l’asfalto finisce. Ma non è detto che sia un male. La più remota e arcana delle vallate cuneesi di questo suo essere remota ha saputo far tesoro. «La viabilità è sempre stata un problema, ma a ben vedere è stata una benedizione: se solo la nostra valle fosse stata più accessibile chissà se si sarebbe conservata così» riflette Daniele Landra, presidente dei Percorsi Occitani. E su quel così bisognerebbe potersi fermare e guardarsi intorno come fa lui mentre lo dice: osservare le case aggrappate al pendio boscoso, scrutare la ripida vallata scavata dal torrente Prazzo, contemplare lassù la cima che sembra un dente del Chersogno, sentire le pecore che brucano nel prato, veder sventolare la croce gialla in campo rosso della bandiera occitana, respirare la stessa arietta estiva leggera. Solare ed entusiasta Daniele, 32 anni, appartiene alla nuova generazione di chi ha creduto alla possibilità di costruirsi una vita anche qui, nella montagna da cui tutti scappavano. Possibilità che in valle Maira è sbocciata grazie ai Percorsi Occitani, un progetto di sviluppo territoriale sostenibile che andrebbe portato a esempio per ogni territorio montano che vuole investire nel turismo, senza snaturarsi e compromettere l’equilibro umano e naturale.
Nati nel 1992 i Percorsi sono un trekking ad anello suddiviso in 14 tappe che permette di fare il giro completo della valle, da Villar San Costanzo, quasi in pianura, fino a Chiappera, a 1614 metri, davanti alle Alpi Marittime che a 3mila metri segnano il confine con la Francia. Da qui si ritorna dal versante opposto. «In quegli anni eravamo al lumicino» ricorda Ermanno Bressy, per dieci anni, dal 1985, presidente della Comunità Montana valle Maira, tra gli ideatori dei Percorsi. «C’era un grande esodo di gente, ma soprattutto un grande scoramento. La valle aveva iniziato a perdere abitanti nel dopoguerra. Negli anni ‘50 si era in 40mila, negli anni ‘80 rimanevano 13mila abitanti, solo 3mila in alta valle il resto giù a Dronero» racconta. Quando la pianura offrì lavoro facile, un bilocale con riscaldamento e un’automobile, le valli del Cuneese si spopolarono dalla mattina alla sera». Torino era un magnete, la montagna una vita di sofferenza da cui fuggire, bisognava inventarsi qualcosa. A parte i lavori agricoli qui c’erano solo le centrali idroelettriche: davano lavoro a tanta gente, oggi sono automatizzate. Non c’erano impianti di risalita per lo sci, perché la morfologia non lo permette e, per fortuna, neanche tante seconde case, perché la strada non favoriva i gitanti. C’era solo la montagna, un’economia silvopastorale che a stento assicurava la sussistenza e un magnifico, immenso silenzio.
«Ho sempre creduto che sarebbe successo qualcosa, venivano a camminare diversi francesi per la Grande traversata delle Alpi e passavano anche da noi, si trattava solo di capire come trattenerli» spiega Rolando Comba, che dagli anni Ottanta porta avanti la trattoria della Gardetta, nella frazione Chialvetta. «Andammo in Francia, in valle Queyras, e ci venne l’idea di sviluppare l’escursionismo. Da subito la logica è stata di proporre trekking per dare emozioni, non ricercare prestazioni» prosegue Bressy. Detto adesso, negli anni in cui non c’è ufficio marketing che non proponga il turismo esperienziale, sembra scontato. Ma 25 anni fa era un pensiero d’avanguardia, visionario. «Serviva trovare posti tappa che fossero a cinque-sei ore di cammino uno dall’altro. Ma di rifugi o alberghi ce n’erano giusto un paio». Li trovarono nelle canoniche e nelle scuole abbandonate, trasformate in spartane strutture ricettive in autogestione. I sentieri esistevano, erano mulattiere che conoscevano solo gli anziani, si è trattato di riportarli in vita e assicurare una corretta manutenzione. «Tutto ha iniziato a funzionare per una concomitanza di circostanze e persone. Ma di certo ce l’abbiamo fatta perché eravamo messi così male che non si credeva più nel futuro» spiega.
La vera coincidenza fortunata è stata la seconda occupazione tedesca, questa volta pacifica e benefica. A rappresentarla Maria Schneider, che con il suo sorriso rilassante pare tutto fuorché un’occupante. Lei e il marito sono stati i primi a credere nella valle, ancor prima dei valligiani. «Siamo arrivati nel 1982, mio marito austriaco scappava dal turismo che assediava la sua valle. Abbiamo iniziato a organizzare corsi di italiano per stranieri nella scuola del paese e poi a credere nei Percorsi. Avevamo amici e conoscenze a Colonia, li abbiamo invitati a venir qui, a scoprire una montagna meditativa, diversa, qualcosa che da noi stava scomparendo» spiega. Così hanno aperto una locanda in una borgata abbandonata da 25 anni: San Martino Inferiore di Stroppo, un posto che pare appeso sulla montagna e si raggiunge dopo un rosario di curve. Lei ha imparato a preparare piatti piemontesi, agnolotti, coniglio al Barolo, vitello tonnato, e si è integrata in una comunità di montagna che la tradizione vorrebbe impermeabile agli estranei. «Gli anziani ci dicevano: ”è sempre bello vedere un camino fumare”».
Ma l’occupazione tedesca ha altri due generali d’armata: Ursula Bauer e Jürg Frischknech, coppia cui in valle dovrebbero erigere un monumento. Sono gli autori di Antipasti und Alte Wege: Valle Maira - Wandern im andern Piemont, una guida escursionistica con ampie digressioni narrative e storiche pubblicata dall’editore Rotpunkt di Zurigo. Mai tradotta in italiano, dal 1999 ha venduto circa 40mila copie e non c’è camminatore di lingua tedesca che non l’abbia nello zaino. Così si spiega un dato che all’orecchio appare evidente non appena ti siedi a cenare in uno dei 23 posti tappa. «Oggi l’80 per cento dei turisti sono stranieri: in maggioranza tedeschi e austriaci, poi francesi e sempre più inglesi. Il resto sono italiani: alpinisti in inverno o gitanti della domenica della zona» spiega Daniele. «Siamo fortunati, quello che viene qui è un “signor” turista: una nicchia che ama la montagna, è rispettosa, si sa adattare, ha voglia di conversare» spiega Rolando, seduto nella accogliente locanda che il nonno aprì nel 1935. È una nicchia particolare, che assicura il riempimento delle stanze durante tutta la stagione, che da qualche anno si è estesa all’inverno, grazie a scialpinisti e ciaspolatori, la nuova moda. I numeri sono piccoli, ma «chi se ne frega dei numeri, a me interessa la qualità» chiosa. Come dargli torto. «In tutto questo l’essere occitani è servito, è stato un po’ un brand: qualcuno ha pensato andiamo a vedere questa riserva indiana di gente che parla la lingua d’oc, il franco provenzale, lingua antica e musicale» spiega Ines Cavalcanti, presidente dell’Associazione Chambra d’Oc, che promuove l’identità e la cultura occitana. Come a suo tempo è servito il successo nato dal passaparola de Il Vento fa il suo giro, pellicola del 2007 diretta da Giorgio Diritti e ambientata in valle che ha stuzzicato il pubblico italiano. Anche se poi ad attirare davvero è stata la bellezza austera di queste montagne: la sovrabbondanza dei boschi di castagni, faggi, larici; i pascoli scoscesi, i campanili che spuntano a sorpresa, le chiesette romaniche, l’ospitalità genuina.
«Siamo un laboratorio, anche se non veniamo considerati tali» sostiene Bressy. Dal 1992 a oggi sono sestuplicate le attività economiche. Non c’era un caseificio e adesso ce ne sono tre, ci sono alberghi, ristoranti, un servizio di Sherpabus che assicura il trasporto bagagli tra una tappa e l’altra che è fondamentale per il tipo di clientela – non giovanissima che ama la camminata meditava, non la fatica senza senso – che si mette in cammino. Forse non sarà una rivoluzione epocale, ma per queste valli è una boccata d’ossigeno, un segno assai concreto che non si può invertire la tendenza dello spopolamento, ma si può fare economia, attraendo turisti e intelligenze, giovani volenterosi. Forse per questo dopo 25 anni di Percorsi adesso in Valle Maira c’è una “nouvelle vague” di persone con cultura che rispetta la natura, ha capacità di fare, innovare. Una nuova imprenditorialità fatta di ragazzi che hanno studiato, hanno visto il mondo e hanno deciso di tornare qui, nella terra dei genitori, a fare impresa. Come Francesco Garro, che in borgata xx ha aperto un albergo diffuso ristrutturanti una ad una le case del borgo. O come Marco Andreis e Valeria Ariaudo, che nel 2000, a 19 anni, hanno deciso di lasciare il fondovalle per ristruttura la casa dei nonni e aprire Lou Patavin, una locanda con dieci stanze. «Ci piaceva stare in montagna e ci abbiamo provato, puntando da subito sulla cucina d’eccellenza e del territorio, che per gli stranieri è una calamita, perché altrimenti qui chi ci veniva?». Già perché per andare da loro devi fare una deviazione rispetto al percorso e arrivare in questa conca circondata da abeti rossi che respiri. Loro ai Percorsi Occitaini hanno sempre creduto. «Altre valli come la nostra in giro non ce ne sono: valli incontaminate capaci di trasformare una debolezza in un una ricchezza. Certo è stata dura, ma se agisci con coerenza alla fine paga» spiega Marco, mentre inforna il pane per la colazione di domani. «Ognuno di noi si impegna a fare delle cose, a costruire e curare una nicchia della nicchia, per questo funziona» aggiunge Monica Colombero. Nel piccolo B&b di Lou Bià di Marmora con il compagno Sergio grande arrampicatore, offre una ospitalità verace e insieme si sono inventati corsi di artigianato, di intaglio, di cestini di vimini e pittura su legno. La loro storia, come quella di Daniele, di Francesco, di Rolando, di Marco, ma anche di Roberta de La Tana del Grich e di tutti gli altri è il trionfo del nuovo che si collega all’antico, dell’identità radicata che diventa apertura: la chiusura del cerchio.
La soddisfazione maggiore? «Dimostrare come il capitale umano sia più importante di quello finanziario.. Una valle povera e periferica può costruirsi un futuro diverso, se fa cose valide e con serietà, scegliendo un percorso basato più sull’essere che sull’apparire» conclude Bressy. Non c’è stato aiuto dello Stato, ci sono stati sforzi famigliari e investimenti personali, mutui ventennali e scommesse su stessi e la bontà delle proprie idee. «Se mio marito avesse potuto vedere quanto è cambiata la vita di questa valle. Eravamo tutti poveri, la vita era dura – racconta nonna Maria Allemandi appoggiata alle pareti solide della casa di famiglia mentre guarda il Chersogno e la nuvola che gli danza intorno –. Adesso non è che non sia dura, ma però è così bello con tutta questa gente che viene qui, per vedere la nostra valle». Perché è vero, il vento fa il suo giro. E in valle Maira l’ha completato.