di Emilia Galli
In barca da Singapore a Phuket su una delle più importanti vie commerciali marittime del passato, utilizzata anche da Marco Polo e ora oggetto di un nuovo, colossale progetto della Cina di Xi Jinping
La seta parla. Sorride, si pavoneggia, sussurra. Ha un milione di voci. Racconta la gioia, la fatica, i pericoli, i successi. Storie grandi e piccole di quel mosaico di popoli, diversi per cultura, lingua, tradizioni e origine, che è il Sudest asiatico. Ieri come oggi. È solo dal periodo coloniale infatti che si è progressivamente irrigidito e cristallizzato nelle frontiere quello spazio culturale e sociale instabile che, pur nell’ambito di realtà territoriali geograficamente e politicamente definiti, per molto tempo non ha costituito un limes invalicabile. Uno spazio fluido che ha permesso la convivenza e in qualche caso l’integrazione fra gruppi etnici diversi e dove hanno preso vita gli Stati che si sono sostituiti a regni e sultanati: Brunei, Cambogia, Filippine, Indonesia, Laos, Malesia, Birmania, Thailandia, Singapore, Timor Est e Vietnam. Migrazioni, conquiste, abbandoni, ricostruzioni, si sono avvicendati e sedimentati nel tempo, ma la seta non si è mai fermata e ha continuato a raccontare la sua storia. Ha percorso migliaia di chilometri, ha solcato oceani in tempesta, ha visto paesaggi meravigliosi, palazzi, mercati, navi e cammelli.
Acqua, cielo e terra. La Via della Seta, terrestre e marittima, reale e mitica, si srotolava fra Cina ed Europa. Si arricciava fra valli e fiumi, mari e spiagge, lasciando nell’aria scie luminose. Si perdeva fra monti e foreste, si ripiegava su scogliere e villaggi per poi slanciarsi in avanti, seguendo l’orizzonte e il proprio destino. Se i due tracciati terrestri attraversavano l’Afghanistan, l’Iran, la penisola Arabica e l’Asia centrale, quello marittimo, incrociandosi più volte, come nello stretto di Malacca, con la scia odorosa della Via delle Spezie, aperta nel XV secolo dai Portoghesi, partendo dalla Cina, toccava Vietnam, Filippine, Brunei, Siam, Malacca, Sri Lanka, India, Africa orientale, per giungere infine in Italia.
“Make China great again” sembra ora il motto della Cina del presidente Xi Jinping, che è scesa di nuovo sulla Via della Seta per tornare a essere la prima. Per facilitare gli scambi commerciali e culturali tra Europa e Asia è infatti in fase di studio una nuova e moderna rete di vie di comunicazione in grado di rinsaldare i legami euroasiatici e assicurare alle merci cinesi un trasporto veloce ed economico sui mercati dell’Europa centrale. Con questo progetto il Paese aspira a conquistare il primato geopolitico e a rinnovare quel ruolo di promotore della globalizzazione che aveva messo in atto duemila anni fa grazie alle antiche rotte commerciali. Per fare uscire dai libri di storia le immagini di coste e porti, villaggi e mercanti, per riportare in vita sapori, profumi, volti e atmosfere bisogna risalire su un veliero come Star Clipper, un quattro alberi di eleganza e gloriosa tradizione marinara, come quelli che un tempo trasportavano merci preziose, che offre diverse crociere nel Sudest asiatico. Una fra le più gettonate è quella che da Singapore, attraverso lo stretto di Malacca e il mare delle Andamane, raggiunge Phuket, in Thailandia. Nonostante la presenza di gigantesche navi, la partenza dal porto della città-Stato asiatica con questo clipper ha ancora un sapore antico, soprattutto se preceduta da un tour attraverso l’anima coloniale di questa città cosmopolita di cinque milioni e mezzo di abitanti. Imperdibili un’occhiata al mitico Raffles Hotel, fondato nel 1887, non meno che al gigantesco Fullerton Hotel, nato nel 1928 come Palazzo delle Poste, al quartiere cinese, con le sue insegne variopinte, alle casette lungo il Singapore River.
Spiegate le vele, davanti agli occhi si apre un fondale liquido, verde e azzurro, sul quale sfilano golfi e promontori, rocce coperte di vegetazione, baracche di frasche, pescatori, navi container, palme mortificate dal vento, barche esauste in secca. Prima tappa Malacca, nota come la città dei sogni, la più antica della Malesia. Fondata nel XV secolo sull’omonimo stretto, annunciata dalla moderna moschea galleggiante Masjid Selat Melaka, è un’enorme torta i cui diversi strati, amalgamandosi, le hanno dato un sapore unico. Tutti i popoli che vi sono giunti hanno lasciato qualcosa, regalandole edifici, cibi, parlate e atmosfere del tutto singolari. Prima i Cinesi, poi i Portoghesi, gli Olandesi e infine gli Inglesi hanno fatto la gioia degli antiquari di Hang Jebat, riempiendo all’inverosimile i loro scaffali di argenti, vasellame e fotografie accartocciate dall’umidità. Oggi, in uno sfoggio muscolare qualche sparuto grattacielo spezza l’orizzonte, sovrastando indifferente le case affacciate lungo i canali e legate alla cultura peranakan, frutto di un misto cinese e malese, ma anche le chiese volute dai Portoghesi, come quella ormai in rovina di S. Paolo, sull’omonima collina, dove per nove mesi furono custodite le spoglie del missionario gesuita San Francesco Saverio, morto nel 1552 in Cina, come gli iperdecorati templi cinesi, primo fra tutti il Cheng Hoon Teng temple. L’orgoglio olandese si concentra nei rossi edifici che fanno corona alla Red Square, patrimonio Unesco, con lo Stadthuys, l’antico palazzo del governo, a fronteggiare la Chiesa del Cristo, nata olandese e cresciuta nella confessione anglicana.
Se la bellezza inquieta di isole e isolotti dell’arcipelago malese di Langkawi, con le spiagge di sabbia bianca, il mare cristallino, la foresta pluviale e le cascate si percepisce nella sua interezza nell’isola omonima grazie al Langkawi Sky Bridge, alto sul monte Machinchang e raggiungibile con una funivia, la Thailandia gioca la sua carta nei fondali nella baia di Phang Nga, una foresta incantata sull’acqua fatta di mangrovie, grotte, stalattiti, stalagmiti e pinnacoli calcarei tormentati dall’erosione e arruffati di vegetazione, che spuntano dal mare. Parco marittimo dal 1981, paradiso degli uccelli marini, l’arcipelago ha la sua stella più luminosa a Khao Phing Kan. Nota come James Bond Island, avendo fatto da sfondo nel 1974 al film L’uomo dalla pistola d’oro, è una delle mete preferite da orde di cinesi, perennemente con il giubbotto salvagente indosso per paura che si ripeta lo tsunami del 2004. Conosciuto dai sub di tutto il mondo per la barriera corallina, il parco marino tailandese delle Isole Similan, vanta spiagge bianchissime e rocce di granito che ricordano le Seychelles e la cui solitudine è spazzata via all’attracco a Phuket, caotica e affollata. Luci squillanti, colori chiassosi, musica ad alto volume, souvenir di bassa lega e locali di tutti i tipi e tutti i gusti ti prendono alla gola. Basta però qualche chilometro per ritrovare nella vecchia Phuket storica il garbo dell’antica Via della Seta. E nel silenzio risentire il suo fruscio.