di Stefano Tesi | Fotografie di Guido Cozzi
Nelle contee a Sud di Londra aumentano esponenzialmente vigneti e cantine (che producono soprattutto spumante). Complice il cambiamento climatico, i terreni adatti e un mercato... assetato
Quando il mio vicino di tavolo sente che mi occupo di vino, assume di colpo un’espressione corrucciata. Mi guarda torvo e bofonchia: «Hanno appena chiuso il mio golf club per piantarci una vigna sopra».La mattina dopo sono lì a vedere.
Il paesaggio è quello ubertoso del West Sussex, con grandi spazi ondulati cinti da foreste, ove si insinuano stradine di campagna. In effetti, anche a fianco delle colonne di pietra grigia che marcano in silenzio l’ingresso della tenuta, ci sono due maestosi alberi secolari. Solo che in mezzo non c’è il classico prato a perdita d’occhio punteggiato di pecore al pascolo, ma – sorpresa – un magnifico vigneto. «È vero», mi dice Julian Kirk, brand ambassador di Nyetimber, la casa vinicola proprietaria dei terreni che ha sede in una storica fattoria splendidamente restaurata, costruita attorno a un monastero dell’XI secolo. «Fin da quando, nel 2006, ha acquistato la proprietà, Eric Heerema ha cercato di individuare i terreni migliori per piantare altre vigne. E a un certo punto si è scoperto che il campo da golf qui vicino, costruito su un terreno già appartenuto alla tenuta, aveva un suolo perfetto per la viticoltura: quindi non è restato che ricomprarla».
Ora, ovunque al mondo potrà sembrare una pazzia smantellare un green per farci una vigna. Ovunque, tranne che nell’Inghilterra meridionale di oggi, dove il business del vino sembra destinato a diventare la parola d’ordine del futuro e a condizionare l’economia e il paesaggio. Del resto, se tra il 2015 e il 2017 due delle principali maison dello Champagne come Taittinger e Pommery hanno acquistato – rispettivamente nel Kent e nell’Hampshire – decine di ettari di vigneti esistenti e centinaia di ettari destinati a ospitarne di nuovi, un motivo ci sarà. Ed è il seguente: complici il cambiamento climatico che ha reso queste zone più temperate e asciutte, e suoli che geologicamente sono una sorta di prosecuzione di quelle marne francesi ove nascono le bollicine più famose del mondo, le contee meridionali inglesi, dalla Cornovaglia al Kent (con qualche divagazione anche più a nord), stanno diventando il nuovo Eldorado vinicolo per la produzione di grandi spumanti. Col vantaggio di trovarsi in un Paese che, di bollicine, è già uno dei più grandi consumatori al mondo.
Alcune cifre, tanto per rendere l’idea: entro il 2040 si prevede che il “vigneto Inghilterra” passi dagli attuali 2.500 a 45mila ettari di estensione, che gli occupati nel settore passino dagli attuali duemila a 30mila e che le bottiglie prodotte salgano da 6 a 40 milioni. Rischi di eccedenze? Nessuno: «Stappiamo in un giorno tante bottiglie quante nel nostro Paese se ne producono in un anno», scherza, senza esagerare più di tanto, Mardi Roberts, proprietaria della Ridgeview Winery di Ditchling, East Sussex, una delle pioniere dell’english wine.
I britannici, del resto, sono pragmatici, meticolosi e hanno uno spiccato senso degli affari. E pur essendo piuttosto nazionalisti, non si vergognano ad ammettere che hanno preso spunto dai più esperti rivali del Continente. «Il nostro grande vantaggio – dice Simon Robinson, presidente di WineGb, la neonata organizzazione dei produttori di vino inglesi e gallesi, nonché proprietario di Hattingley Valley, nell’Hampshire, una delle più premiate e visitate cantine inglesi – è di essere gli ultimi arrivati in un’industria matura e globale, da cui possiamo prendere gli esempi migliori senza tuttavia ripeterne gli errori. L’obiettivo è fare del vino inglese un brand mondiale, riconosciuto per qualità ma anche fortemente integrato con il turismo: vogliamo insomma che le nostre cantine siano luoghi belli da visitare e che anche i visitatori costituiscano una risorsa economica per noi produttori».
Detto fatto: nel Paese sono già 150 le cantine aperte al pubblico. Perfino alcune vigne senza cantina sono attrezzate come attrazioni turistiche. E la South East Vineyard Association ha appena creato una wine route che, abbracciando il Kent, il Surrey e il Sussex, raccoglie tra Dover e Chichester, in un unico percorso stradale, oltre 70 tra cantine, vigneti, punti vendita, di visita e di degustazione, ristoranti, bar, negozi e perfino sale per matrimoni legati alla produzione del vino. Il quale diventa così la chiave per scoprire con occhi diversi l’affascinante campagna inglese.
A pochi chilometri dal villaggio medievale di Alfriston, affacciata a mezza costa tra i vigneti e con una vista spettacolare che domina il versante settentrionale del South Downs National Park, Rathfinny è a un tiro di schioppo dalle scogliere della Manica, tra Eastbourne e Brighton. Il mare non si vede, ma si sente. E contribuisce a mitigare un clima già clemente. Sull’altro versante della valle, proprio di fronte alla cantina, si apre uno dei celebri sentieri che portano fino alle falesie. Rathfinny, una delle rare fattorie con le vigne accorpate in un’unica proprietà attorno al centro aziendale, è un esempio perfetto della via inglese al vino e all’enoturismo: organizzata con ristorante, guest house e sale di degustazione, è a tutti gli effetti non solo un luogo di produzione, ma di attrazione. E si trova al centro di una rete di percorsi di trekking che lambiscono i filari, inerpicandosi fra i campi di grano battuti dal vento a monte dei vigneti.
Pantaloni corti e scarponcini da lavoro, Julian Barnes è un aitante vignaiolo di mezz’età, rampollo del fondatore della Biddenden Vineyards, la prima cantina moderna creata in Inghilterra. Era il 1969 e tutto avvenne quasi per caso. «Mia madre lesse delle agevolazioni governative verso nuove forme di agricoltura e disse: perché non provarci?», racconta seduto al tavolo del punto vendita tra le sue bottiglie di Ortega, Bacchus, Schonburger, i vitigni tradizionalmente usati in Inghilterra per produrre vini fermi. Al muro, le foto seppiate dei genitori in vigna e l’attestato 2018 Best Family Business d’Inghilterra (il primo, sottolinea con orgoglio, mai attribuito a una famiglia di agricoltori). Subito fuori, di là da una staccionata molto british, l’ingresso al percorso di visita guidata tra le vigne aziendali. Gli chiediamo che ne sarà del paesaggio inglese, se davvero – come sembra – la viticoltura prenderà piede in Gran Bretagna. «Non vedo il problema», risponde. «Il clima cambia, l’agricoltura cambia e quindi il paesaggio cambia, anche qui. La ritengo un’opportunità, non un pericolo. Come il successo degli spumanti: prima non ne producevo, ora sì. Del resto, ammettiamolo, noi inglesi non abbiamo una vera tradizione vinicola, quindi approfittiamone!».