di Lella Pao | Foto di Claudio Morelli
La scrittrice Maria Pace Ottieri, autrice di Il Vesuvio universale, ci racconta il mondo alle pendici del vulcano. Tra fasti antichi e problemi di oggi, fatalismi e incoscienza: è tutto un brulicare di storie e di vite
Re Carlo di Borbone nel 1738, al ritorno da una battuta di caccia, rimase talmente sbalordito dalla bellezza di Portici che ordinò di costruire subito una villa e a chi gli fece osservare che si trovava ai piedi del Vesuvio, sembra che avesse risposto: «Ci penseranno Iddio, Maria Immacolata e San Gennaro». Una delle prime violenze al territorio e al suo vulcano, considerato tra i più pericolosi al mondo, dunque, si compiva già allora per mano coronata, e per di più accompagnata da una preghiera e uno scongiuro, utili a neutralizzare la paura di un’eruzione. La stessa che oggi gli abitanti delle città vesuviane soffocano con il proverbiale fatalismo, per loro il Vesuvio è un monumento della storia che non può nuocere. È questa l’anima de Il vesuvio universale, scritto da Maria Pace Ottieri e pubblicato da Einaudi: un libro come una colata di umanità – con mille informazioni, storiche e giornalistiche, decine di personaggi con incredibili vite, in un corpo a corpo tra rabbia e stupore, bellezza e malaffare – che penetra nelle fondamenta del vulcano, a’ Muntagna, intemperante e immota, quieta e minacciosa, antica e giovane, tornata allo stato di quiescenza dopo il 1944, data dell’ultima eruzione. «Da allora – spiega la scrittrice – non si sono registrati parametri che possano
far pensare a una riattivazione, ma nessuno tra gli scienziati è in grado di escludere che si possa verificare un’eruzione di minor potenza rispetto a quella del 79 d. C. che distrusse Pompei ed Ercolano o quella del 1631 quando il vulcano fece risentire la sua voce dopo cinque secoli di silenzio».
«Quel che si sa – scrive Maria Pace Ottieri – è che, per un irresistibile appello, da millenni gli uomini abitano il Vesuvio, il loro tempo tenuto in scacco dal suo, lungo venticinquemila anni, tanti sarebbero gli anni del monte Somma, sebbene le più antiche rocce di origine vulcanica, rinvenute nel pozzo di Trecase, risalgano a 400mila anni fa. Negli intervalli tra un’eruzione e l’altra, mostrando il suo volto più benevolo e munifico, il vulcano permette agli uomini di addomesticare il suo pelame, fino al prossimo accesso d’ira furibonda».
Più che addomesticata, la zona vulcanica è stata soffocata. Tra a’ Muntagna e il mare si dipana senza soluzione di continuità un territorio iperurbanizzato, del tutto abusivo, costipato di cemento e condoni. Il big bang si raggiunse dopo il terremoto in Irpinia: bisognava dare una casa agli sfollati e si pensò di costruire sotto il Vesuvio. Ma dagli anni Sessanta tutto il comprensorio era diventato merce di scambio tra politici, mafiosi e costruttori e, ancora prima, all’inizio del Novecento fu la costa la base da cui far partire l’industrializzazione del Sud. «I paesi vesuviani sono dei luoghi italiani in cui si vive peggio e la percezione del rischio legato al vulcano è schiacciata dalla mancanza di lavoro, cure sanitarie, scuole, e infettata dall’onnipresenza della criminalità. È un territorio desolante che non è città e non è periferia (gli urbanisti la chiamano “conurbazione”) con una delle più alte densità abitative al mondo: 2.500 abitanti per chilometro quadrato che diventano circa 12mila a Portici. Settecentomila cristiani stipati in quella che è considerata la zona rossa la cui evacuazione in caso di eruzione sarebbe un evento senza precedenti, senza parlare degli altri due milioni di abitanti stretti fra altri due vulcani attivi, la caldera dei Campi Flegrei e l’isola d’Ischia, a ovest». Una vera e propria terra dei fuochi, in senso letterale, che Maria Pace ha girato in lungo e in largo, a bordo della Circumvesuviana, la ferrovia a scartamento ridotto che collega i paesi ai piedi del Vesuvio tra loro e con Napoli, sulla costa e all’interno: attiva dal 1890, è una specie di metropolitana ante litteram, per anni vanto e orgoglio dei napoletani.
Dagli scompartimenti sgarrupati il Vesuvio si staglia nitido con il profilo di Punta Nasone, il suo vertice, cambiando volto a ogni fermata. «Rimasi stregata dal vulcano sin da piccola – dice Maria Pace – ai tempi in cui con la mia famiglia ci trasferimmo a Pozzuoli per gli impegni professionali di mio padre (n.d.r. Ottiero Ottieri, direttore del personale nella nuova fabbrica Olivetti in Campania, a metà degli anni Cinquanta), e anche se da quella città non lo vedevo, ne sentivo parlare ogni giorno e a poco a poco lo costruivo nella mia mente, con l’immaginazione». Tra le pieghe del vulcano, il libro pesca storie incredibili e realtà insolite che compongono a poco a poco l’immagine di un angolo d’Italia prima sfracellato e poi dimenticato dallo Stato, che si è arrangiato come ha potuto, creando e disfacendo, tra fede, superstizione, amore, fantasia, timore, povertà, delinquenza, rispetto, paure ataviche, angoscia. «A Somma Vesuviana, per esempio, transita l’80 per cento delle diecimila tonnellate di baccalà e stoccafisso che dall’Islanda arrivano in Italia ogni anno. Una tradizione che risale ai primi del secolo scorso. Il lavoro di baccalajuolo se lo inventò il contadino Giorgio Fortunio e poi è passato alle successive generazioni e oggi, grazie allo loro abilità, è stato creato un modo di trasformazione che si usa solo nella zona e che è stato lanciato con l’Università, con appositi corsi di lavorazione e di cucina».
A Torre Annunziata, che per centinaia di anni è stata il regno dei pastifici, resiste oggi l’ultima realtà: è Setaro, che in direzione ostinata e contraria, insiste a produrre la pasta con le macchine degli anni Trenta, ad asciugarla a bassa temperatura e a impacchettarla a mano come una volta, in una vecchia palazzina del centro. A Pompei si perpetua ogni giorno la storia del visionario Bartolo Longo, definito da Benedetto Croce il fondatore della Lourdes italiana. Fu lui che, meno di duecento anni fa, costruì di fronte ai ruderi della Pompei pagana, la nuova Pompei cristiana. Il santuario raccoglie ogni giorno oltre 4mila pellegrini da tutto il mondo che, insieme ai visitatori del sito archeologico, arrivano ogni anno a sette milioni di anime. Non male per un paese di 25mila abitanti, che ha trovato la sua fortuna nella storia e nella fede. A Torre del Greco, invece, la ricchezza è saper incidere i cammei, il dorso della conchiglia Cassis madagascariensis, che proviene dal Madagascar, dalle Bahamas e dal Sudafrica, l’unica cosa che i cinesi non hanno ancora imparato a copiare. Senza trascurare la villa, sotto il colle dei Camaldoli, dove Leopardi soggiornò alcuni mesi tra il 1836 il 1837, in cui compose La ginestra e Il tramonto della luna. Ercolano racconta la storia del mecenate americano David W. Packard che, dando vita all’Herculaneum conservation project – inedito accordo tra pubblico e privato – dal 2001 ha investito oltre venti milioni di euro per la messa in sicurezza e la conservazione dell’area archeologica. Il suo sogno è trasformare il sito in un Museo della vita quotidiana e c’è già lo studio preliminare di Renzo Piano, che immagina una costruzione interrata che ospiterebbe i depositi aperti al pubblico e un centro di ricerca. Ci sono ancora speranza e visioni, allora, per questa caotica parte di Campania il cui male minore appare proprio il Vesuvio. «Del resto – conclude Ottieri – per non soffrire dell’inferno che abitiamo tutti i giorni, come scrive Italo Calvino nelle Città invisibili, bisogna accettarlo e diventarne parte». Un “segreto” universale per sopravvivere in ogni angolo del pianeta.
UN'ANTROPOLOGA SOTTO IL VULCANO
Ha un passato da antropologa Maria Pace Ottieri, scrittrice milanese che in gioventù ha abitato sotto il Vesuvio. Nei suoi romanzi, saggi e inchieste ha approfondito il tema dell’immigrazione. Ha vinto il premio Viareggio opera prima con Amore Nero, e il Grinzane Cavour con Abbandonami. Dal romanzo Quando sei nato non puoi più nasconderti Marco Tullio Giordana ha tratto un film nel 2005. Il Vesuvio universale è pubblicato da Einaudi (pag. 228, 19,50 €) sarà presentato al Punto Touring
di Milano mercoledì 28 novembre dalle 18,30.