di Isabella Brega | Foto di Nicoletta Valdisteno
A cinquant’anni dalla scomparsa di Giovannino Guareschi, in bicicletta sui luoghi della Bassa cari al poliedrico giornalista, vignettista, scrittore, autore della saga tra le più tradotte al mondo
Questo è il racconto di un luogo senza nome, di un paese senza tempo, di un fiume che non comincia e non finisce. Questa è la storia di un prete senza paura, di un sindaco comunista non prigioniero dell’ideologia, di un Crocifisso che parla. Il tutto fra campi pettinati, strisciate di pioppi, cappelle per Madonnine dalle labbra di corallo agli incroci di strade che si perdono nel nulla, campanili senza grilli per la testa, elemento di orgoglio e identità di un’intera comunità, che spettegolano con i piccioni e argini impennacchiati di ciuffi di canne che ritagliano nell’orizzonte ciclisti e pescatori. Questo è il Mondo Piccolo di un grande scrittore. Questa è la Bassa, zolle di terra grosse e grasse a pancia all’aria, quinte di nebbia o di calura, grandi cieli, sciami di zanzare, trattori corteggiati da uccelli bianchi, case coloniche fradice di umidità che galleggiano sul granoturco in quella fetta di pianura fra il Po e l’Appennino. Un mondo apparentemente immobile, una geografia dell’anima, fatta per chi non ha paura di restare solo con i propri pensieri, in cui è bello perdersi, «dove il sole picchia come un martello sulla testa della gente, dove spesso si ragiona con i pugni ... dove ciascuno lotta a suo modo per costruire un mondo migliore e dove accadono cose che non accadono in nessuna altra parte del mondo».
Sono passati cinquant’anni dalla scomparsa di Giovannino Guareschi, lo scrittore italiano del Novecento più tradotto all’estero, oggi conosciuto soprattutto per la saga cinematografica di Don Camillo e Peppone, tratta dai suoi racconti e interpretata da Gino Cervi e dal francese Fernandel: «Peppone e Don Camillo li ha creati la Bassa. Io li ho incontrati, li ho presi sottobraccio e li ho fatti camminare su e giù per l’alfabeto. E, sul finire del 1951, quando il grande fiume ha spaccato gli argini e ha allagato i campi felici della Bassa e da lettori stranieri mi sono arrivati pacchi di coperte e indumenti “per la gente di Don Camillo e di Peppone” allora mi sono commosso come se, invece di essere un cretino qualsiasi, fossi un cretino importante». Sottovalutato o ignorato dalla critica, liquidato come uno scrittore popolare, Guareschi è stato prima di tutto un galantuomo. Non ha avuto paura di guardare la vita negli occhi e ha pagato le sue scelte in campo politico e religioso. Ha passato due anni nei lager nazisti per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò e nel 1954 non ha chiesto la grazia a una giustizia che non riconosceva e ha scontato in carcere 400 giorni per una vignetta sul presidente Einaudi e per avere pubblicato in buona fede sul Candido, la rivista satirica di cui era direttore, alcune lettere, poi rivelatesi false, in cui De Gasperi invitava gli Alleati a bombardare Roma per ottenere la sollevazione della popolazione contro i tedeschi.
Qui, dove la bicicletta fa parte del codice genetico, le due ruote sono il modo migliore per accostarsi al Mondo Piccolo narrato da Guareschi. Le tappe di questo pellegrinaggio partono da Fontanelle, coronata da un viale di 300 tigli, e conducono al museo del Mondo Piccolo, dedicato allo scrittore e alla storia della Bassa, e alla casa da cui, come nella scena in cui Peppone mostra alla folla festante il suo ultimo nato, un orgoglioso Primo Augusto Teodosio Guareschi si affacciò con il neonato Giovannino. Era il 1° maggio 1908 e una folla di braccianti assisteva a un comizio che dallo stesso balcone teneva Giovanni Faraboli, sanguigno padre delle cooperative rosse emiliane. Affittata simbolicamente a Guareschi senior, la casa era all’epoca la sede della locale cooperativa che Primo aveva trasformato in un poco fortunato emporio. «Oggi è nato un nuovo compagno» annunciò Faraboli, e mise al collo del neonato il suo fazzoletto rosso. Mai affermazione fu più sbagliata. Giovannino non divenne un socialista ma i baffoni e la rettitudine di Faraboli gli ispirarono la figura di Peppone, mentre quella dell’irruente e burbero Don Camillo, grandi muscoli e grande fede, al di là dei nomi di religiosi che sono stati fatti, fu la summa dei rudi preti “di trincea” della rossa Val Padana in un’epoca di forti contrasti ideologici.
Uscito di prigione lo scrittore era stato messo al bando dal mondo culturale, gli editori non volevano stampare i suoi libri: «Non mi fanno più scrivere sui giornali, e allora mi metto a scrivere il menu». Era il 1957 e Guareschi aprì a Roncole Verdi, vicino alla casa natale di Giuseppe Verdi, un’osteria, poi ristorante, gestito fino al 1995 dal figlio. Oggi, grazie all’amore e alla dedizione dei suoi eredi, Alberto e Carlotta, scomparsa nel 2015, e alla passione del Club dei 23, la sua opera continua a vivere in una bella mostra permanente e nell’archivio di 200mila documenti fra cui vignette, foto, libri. È la vecchia torre campanaria di Diolo ad ospitare un altro, imperdibile, pezzo dell’epopea guareschiana, il più tenero. Qui, dall’amicizia con lo scrittore di Cesare e Caterina Bertozzi, persone d’altri tempi che sembrano uscite da uno dei suoi racconti per la loro semplice, commovente umanità, è nato il Centro del Boscaccio, piccolo ma denso di affetti e memorie, con cimeli e ricordi di Giovannino. Qui il Mondo Piccolo si arrampica sulle pareti e anima la rappresentazione naif del Grande Fiume che ricopre metà di una stanza.
Se il cuore del mondo di Guareschi è nel magico cerchio parmense, l’anima cinematografica (e commerciale) della saga vive a Brescello, nella Bassa reggiana, scelto come set nel 1952 dal regista del primo film, il francese Julien Duvivier, noto per Il porto delle nebbie. Un paesone anonimo fatto di portici, di una chiesa senza manie di grandezza e un municipio affacciati su una piazza, nessun edificio con la pretesa di darsi un tono. Brescello è tutto qui ed è di tutti. Appartiene ai ricordi in bianco e nero di molti di noi. Luoghi veri e al tempo stesso reinventati in cui ognuno si possa ritrovare, perché la letteratura si ispira alla realtà ma ricrea il vero. È lo sfondo ideale per raccontare il Po, i villaggi addormentati sulle sue sponde e protetti da argini che ogni tanto non ce la fanno a tenerlo fermo, il mondo contadino con i suoi valori e la sua saggezza semplice e antica, l’Italia del dopoguerra, provinciale e onesta, di qualsiasi colore fosse, forse migliore di quella di oggi.
A Brescello ognuno recita la propria parte. Gli abitanti, come fecero all’epoca dei film, continuano a sentirsi comparse e raccontano di quei tempi favolosi, i visitatori seguono le stazioni della Via Gaudiosa guareschiana, il sorriso sulle labbra, alla ricerca dei luoghi legati ai film rimasti per le strade del paese. Dal museo Peppone e Don Camillo, con cimeli e foto, annunciato sulla piazza su cui si affaccia da un carro armato che ricorda quello comparso in alcune pellicole, alla locomotiva 835, alla Geltrude, la grande campana in vetroresina ora appesa in via Giglioli, alla casa di Peppone in via Carducci, all’ex convento usato come Casa del Popolo. Dopo l’immancabile selfie con le statue dei due protagonisti, imperdibile una tappa in S. Maria Nascente, dove in una cappella laterale si trova il crocifisso realizzato per i film, oggetto della devozione degli abitanti, consacrato a furor di popolo e collocato trionfalmente in chiesa, lo stesso che viene portato in processione all’argine del Po per la benedizione delle acque. Oggi il Grande Fiume è diventato un’attrazione turistica cui la comunità indiana si è gemellata con un po’ di acqua sacra del Gange. La gran parte degli abitanti di Brescello lavora per un’azienda di caldaie, per le strade si incontrano ghanesi e pakistani, fra i negozi spicca il parrucchiere Chan e a breve, per aiutare Don Evandro, arriverà un prete di colore. Il nuovo Peppone del primo Comune dell’Emilia-Romagna sciolto nel 2016 per mafia è una giovane donna, Elena Benassi, mentre nei ristoranti, dove la sfoglia la tirano anche prosperose cuoche rumene, accanto alle foto dei due attori compare Zucchero Fornaciari. Eppure anche per questa Italia multietnica, confusa, delusa e affannata Guareschi saprebbe trovare le parole. Quelle giuste.