di Barbara Gallucci | Foto di Daniele De Carolis
Sull’isola provenzale di Porquerolles alla scoperta di una nuova fondazione dedicata all’arte immersa tra gli ulivi e i vigneti. E poi a Hyères perché anche la terraferma qui è un’opera
Un’isola è una promessa, un approdo, ma anche un cambio di prospettiva. C’è un di qui e un di là con in mezzo una sospensione acquatica carica di aspettative. «Un’isola costringe l’essere umano a interrogarsi sulla sua esistenza», spiega Charles Carmignac specchiandosi su La Traversée, installazione dedicata al Mar Mediterraneo di Jean Denant. L’opera occupa un’intera parete esterna della Fondation Carmignac (di cui Charles è direttore), new entry nel mondo delle fondazioni dedicate all’arte contemporanea europee che però di simile alle altre ha ben poco. Innanzi tutto perché si trova su un’isola, a Porquerolles, che fa parte del Parc national de Port-Cros, ed è circondata da ulivi e vigne. Ma c’è dell’altro. La fondazione costringe a usare i cinque sensi volenti o nolenti. All’ingresso, ben nascosto nella macchia mediterranea e a breve distanza dal porto, viene offerta una tisana o un’acqua aromatica (rigorosamente preparata con le piante dell’isola) che, in qualche modo, è pensata per purificare e liberare lo spirito, prepararlo insomma per un’immersione artistica completa. Una volta entrati in una ben mimetizzata casa di campagna («Sull’isola non si può costruire nulla quindi abbiamo ristrutturato una villa e aggiunto degli spazi sotterranei», conferma Carmignac), è d’obbligo togliersi le scarpe per visitare la collezione a piedi nudi (o con antiestetici calzini, ma si perde metà del piacere): «Per noi è fondamentale entrare in contatto con la natura la cui energia sale dal pavimento», spiega l’ex rocker Charles (era membro della band francese Moriarty) cercando di sistemare con la mano i ricci ribelli. Suo padre Édouard Carmignac è il deus ex machina dell’intero progetto. Collezionista appassionato, ha riunito in un unico luogo parte delle opere che possiede, abitualmente distribuite negli uffici della sua società finanziaria. Ci spiace per i dipendenti che avranno dovuto rinunciare a qualche Basquiat, Liechtenstein o de Kooning, ma il resto del mondo ringrazia. Carmignac senior stesso ha “rinunciato” alla doppietta di ritratti di Warhol dedicati a Lenin e a Mao che aveva dietro la scrivania del suo ufficio in Place des Vosges a Parigi.
Una sala dopo l’altra ci si sente sempre più a proprio agio anche a piedi nudi. Pur essendo quasi tutta sotto terra, la fondazione è luminosissima grazie a una vasca piena d’acqua che fa da tetto e lucernario. Nulla di opprimente, anzi, una sensazione di essere sottosopra che è incredibilmente rilassante. Intanto scorrono davanti agli occhi i Cattelan, i Baldessari, i Basquiat (compreso un ritratto di Carmignac danzante), persino i Botticelli (non si fanno mancare nulla). Fuori un bellissimo parco punteggiato da altre opere da cercare tra gli ulivi e il campo da tennis. Qui sono solleticati olfatto e udito. Il rilassante profumo di macchia mediterranea e l’ipnotico richiamo delle cicale fanno perdere l’orientamento e bisogna tirare fuori anche il sesto senso per uscire dal labirinto Path of emotions di Jeppe Hein. L’isola è libertà, ma è anche una sirena incantatrice che ammalia e rapisce. Difficile staccarsi dalle sue storie e leggende. D’altronde Porquerolles, prima di essere parco nazionale, è stata un dono d’amore del belga Francois Fournier per la sua amata consorte (nel 1912 comprò tutta l’isola come regalo di nozze), una promessa interrotta dalle (doverose) esigenze ambientaliste, ma l’aura romantica aleggia in ogni baia e cala, in ogni strada sterrata e ombreggiata dai pini marittimi piegati dal vento. La magia si interrompe solo bucando la ruota della bicicletta; tocca tornare al porto a piedi visto che qui ci si può muovere solo ecologicamente (a piedi e in bici appunto).
Una volta tornati sulla terraferma rigenerati e sicuri che durerà per sempre, vale la pena convogliare l’entusiasmo nella salita, sempre a piedi, che attraversa il Parc Sainte-Claire a Hyères. Un paradiso terrestre di piante e fiori che non è stato riconosciuto ufficialmente eden solo perché impone uno sforzo di scale che pare infinito (in discesa è tutta un’altra storia, ma meno epica). Da lontano si vede Porquerolles, ma non c’è tempo per la nostalgia perché un’altra promessa d’amore è lì a pochi, ripidi, passi. Charles de Noailles e Marie-Laure Bischoffsheim erano due ricchi ereditieri con un amico in comune, Jean Cocteau, che li introdusse all’arte moderna e al mondo bohèmien della Parigi degli anni Venti. Complice l’artista i due si innamorarono, si sposarono nel 1923 e decisero di andare a vivere sulle colline di Hyères. Coinvolsero l’architetto Robert Mallet-Stevens (dopo aver ricevuto il rifiuto di Mies van der Rohe e aver litigato con Le Corbusier) che progettò per loro una villa innovativa rispetto ai canoni del tempo e del luogo, ma perfettamente in linea con le tendenze architettoniche più alla moda. Nel progetto razionalista, funzionale e luminoso, per certi versi spoglio, ma estremamente moderno, ogni dettaglio aveva un senso e ogni spazio era pensato per un’attività precisa. La piscina, il campo da squash, il salone e il giardino cubista (opera di Gabriel Guevrekian), la sala pittura e quella di lettura erano perfette per ospitare i numerosi amici artisti della coppia di mecenati. Brancusi, Giacometti, Braque, Mondrian, giovani di belle speranze, passavano le estati in tenuta sportiva (la forma fisica era una fissazione per Charles de Noailles) a pensare, dipingere, creare o solo chiacchierare, leggere e fare baldoria. Oggi sono i nuovi creativi e designer a occupare parte della villa, trasformata in spazio espositivo gratuito, con le loro creazioni.
Ai loro piedi Hyères con il suo centro storico medievale, le bouganville attorcigliate a scale e balconi, la torre che indica il centro del centro storico, mentre i confini della città si perdono tra la lunga penisola di Giens e la costa. Nelle giornate più nitide forse riuscivano anche a scorgere i fenicotteri rosa che mangiano placidi ed eleganti nelle saline della penisola. Se alla loro destra e sinistra i bagnanti si godono il sole e il mare per sei mesi l’anno, tra mille attività sportive, i volatili non paiono infastiditi dalla presenza umana. D’altronde il ritmo di Hyères è tranquillo e rilassato, la frenesia non ha scalfito la città e i suoi viali alberati. Meno mondana delle vicine città della Costa Azzurra, ha saputo proteggere il suo cotè meditativo e riflessivo, fonte di ispirazione per gli ospiti di Villa Noailles, come di decine di altri personaggi storici, dalla regina Vittoria a Robert Louis Stevenson, fino a Joseph Conrad e Lev Tolstoj. Per molti il punto di incontro era il casinò, tuttora aperto, dove si tentava la fortuna tra fiumi di champagne. La fortuna a Hyères e sul suo arcipelago è una promessa mantenuta di arte e natura che si compenetrano in un incontro che continua a essere romantico e libero. Libero di essere vissuto anche a piedi nudi.