di Vittorio Giannella | Foto di Vittorio Giannella
L’autunno è la stagione ideale per visitare questo angolo della Garfagnana, tra le Alpi Apuane e l’Appennino. Lungo il fiume Serchio si snoda una valle colorata da maestosi boschi di faggi e castagni. Scopriamo i luoghi che ispirarono le poesie del romagnolo Giovanni Pascoli che qui stabilì il suo buen retiro.
Dopo le esplosive fioriture primaverili e i frutti estivi maturati col calore, la natura declina, colorando valli e montagne di vivaci colori: gli alberi cominciano a spogliarsi delle foglie, che, esaurito il loro compito biologico si preparano alla caduta, e al freddo inverno. L’autunno è la stagione finale di un ciclo, il capolinea di un viaggio che le foglie cominciano in primavera come autentici laboratori chimici. In Garfagnana, nella «valle del bello e del buono» come la descriveva Giovanni Pascoli, uno dei grandi poeti del ’900 che qui mise su casa, tanto che se ne innamorò follemente.
C’è un’innegabile poesia nella caduta autunnale del fogliame che rende il paesaggio di grande suggestione, con le faggete a mostrare le variazioni cromatiche più intense, soprattutto se il faggio è associato ad aceri e carpini, regalando, a chi si avventura sui facili sentieri, un ricordo indelebile. Ha cercato il suo cantuccio per parecchio tempo Giovanni Pascoli, girovagando in lungo e in largo e l’ha trovato a Castelvecchio di Barga (Lu), nel 1895 condiviso con sua sorella Mariù. Arrivare a Barga (Bandiera arancione Tci) è come compiere uno straordinario viaggio a ritroso nel tempo: stradine selciate con pietra locale, austere facciate di palazzi abbelliti con bifore e l’edificio che domina il borgo, il Duomo, risalente al Mille con la bella torre campanaria. I suoi rintocchi ispirarono Pascoli per i versi della poesia L’ora di Barga, insomma un piccolo concentrato di storia e cultura.
La casa è diventata museo e agli occhi dei turisti sembra che l’abbia lasciata qualche giorno prima con i bicchieri ancora sul tavolo, i vestiti e i cappelli sull’attaccapanni e nello studio ancora i libri e le penne nel calamaio; addirittura il calendario giornaliero fermo al 6 aprile 1912, data della sua morte, quando aveva 57 anni. «La sorella Mariù non lo ha più sfogliato, per lei quel giorno si è fermata la vita», ci racconta la guida. «Dichina da una catena di monti boscosi, e va pian piano ad agguagliarsi a un fiume, che serpeggia… Fuori che questi monti, che sono cerulei, e sembrano grandissimi diamanti azzurri, tutto è verde, tutto è erbe e foglie, che a un po’ di ventarello ondeggiano e mareggiano…»
Qui compose molte delle sue poesie raccolte ne I canti di Castelvecchio, in cui il poeta, descrive bene i paesaggi nascosti nella nebbia, la campagna e la natura brulicante di vita, il suo giardino, dove Giovannin, così lo chiamavano gli amici, dall’animo tormentato, sempre alla ricerca di pace, si rilassava coltivando filari di vite che producevano un vino locale chiamato Melograno, alberi di peri e cachi. All’ombra della chiesetta di S. Nicolò, ben visibile, la gigantesca cuspide della Pania della Croce, 1859 m, che domina la casa, la sua valle. Decine di poesie ha scritto, a decantare questa terra di Toscana discreta e appartata, che trecento anni prima il suo “collega”, Ludovico Ariosto, poeta e governatore della Garfagnana, definiva «terra di lupi e briganti».
A novembre il clima è perfetto per lunghe passeggiate, e qui in Garfagnana ci sono tutti gli ingredienti per scoprire luoghi ancora lontani dal traffico e dall’inquinamento, a stretto contatto con la natura selvaggia, al silenzio rilassante, all’aria frizzante. è la stagione delle piogge, quelle vere, che diffondono il profumo della terra, ed è anche, in questo spicchio decentrato di Toscana, in provincia di Lucca, il periodo delle prime nebbie che tutto nascondono, che si confondono col fumo dei “metati” gli antichi essicatoi delle castagne, qui chiamati da sempre “necci”: inutile fare ricerche etimologiche sul nome, non ce ne sono.
Scendendo da passo Carpinelli, provenendo dalla Lunigiana, si costeggia per lunghi tratti il fiume Serchio, qui ancora infante, solcato da numerosi uccelli acquatici, fino a raggiungere Castelnuovo di Garfagnana, il borgo più grande della valle. Cuore pulsante del parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano è la Riserva naturale dell’Orecchiella, dotata di un centro visitatori, ben attrezzato, dove apprendere in anticipo i mille segreti dello splendido territorio.
L’area protetta, estesa su cinquantaquattro chilometri quadrati caratterizzati da boschi di latifoglie – tra cui estese faggete dagli 800 ai mille metri – comprende però, a macchia di leopardo, alcuni boschi di conifere piantati nel secolo scorso dal Corpo Forestale per risanare alcune zone particolarmente franose. Per arrivare al Centro visitatori dell’Orecchiella (tel. 0583.619098) ci sono numerose strade alternative, la più semplice sfiora il borgo di Castiglione di Garfagnana, e prosegue per Corfino, da qui altri sette chilometri e si raggiunge il centro, prima però la strada, tortuosa e in salita, regala panorami mozzafiato che sono solo il preludio rispetto a quello che il parco riserva. Lungo il tragitto colpiscono l’attenzione gli enormi tronchi di castagni che hanno chiaramente il segno degli innesti cinquecenteschi. E il signore assoluto di queste foreste è proprio lui: il castagno, che per secoli ha sfamato le popolazioni della Garfagnana.
Poi i castagneti per un lungo periodo sono stati abbandonati e nessuno più accendeva i metati per essiccare le castagne, ma, qualche anno fa, alcuni piccoli imprenditori hanno ricominciato a rimettere in moto i mulini mossi dalle acque del Serchio e a produrre farina di castagne, che per la sua qualità ha ottenuto il marchio dop e i castagneti oggi sono nuovamente curati come giardini e i vecchi metati hanno ricominciato a fumare da metà ottobre a tutto novembre. Ci sono numerosi sentieri per gli escursionisti (segnati da un originale trifoglio giallo e blu) e, pur essendo in quota (il monte Prado raggiunge i 2054 m, il più alto della Toscana) non presentano difficoltà anche perché i rilievi sono dolci, arrotondati dove è facile avvistare animali selvatici o godere di paesaggi idilliaci.
Sentiero Airone N. 1
Anello dell’Orecchiella e Pania di Corfino
Si tratta di uno dei percorsi più belli della Garfagnana. Ben segnalato, parte dal centro visita dell’Orecchiella per arrivare dopo un centinaio di metri ai prati d’Isera. Da qui i pastori salivano per portare le loro greggi all’alpeggio estivo. Su tutto incombono le rocce calcaree dalla Pania, regno incontrastato delle aquile reali che qui nidificano. Si cammina nella rigogliosa faggeta e ci si rende conto dell’equilibrio perfetto dato da un microcosmo invisibile che, grazie anche alla folla di piccoli microrganismi che abitano il sottobosco, crea le condizioni ottimali, arricchendo il terreno di sostanze organiche vitali, indispensabili per la crescita di questi meravigliosi boschi appenninici.
Si sfiora il bel rifugio Isera e dopo un tratto in leggera salita si raggiungono le praterie di Sella di Campaiana. Sparuti colchici autunnali, molto velenosi, colorano di viola i bordi del sentiero che separano le ultime faggete dalla vetta acuminata della Pania di Corfino, dove pare di sfiorare il cielo. La discesa per Buca del Lupo, a tratti disagevole per la presenza di pietrisco, riconduce al punto di partenza.
Sentiero Airone n. 3
Al Monte Vecchio, 1982 m.
Si parte dal centro visita dell’Orecchiella seguendo la strada asfaltata per circa un chilometro; in corrispondenza di una fonte si imbocca la sterrata a destra che, in trenta minuti, porta nel meraviglioso mondo verticale della foresta di Lamarossa con faggi altissimi, spesso avvolti nella nebbia. Il silenzio è rotto solo dal rumore delle suole degli scarponi, e, in autunno, non è raro sentire i bramiti d’amore dei cervi. Si cammina sul sentiero interamente ricoperto da un tappeto di fogliame multicolore, di aceri, salici e faggi. Qui ci si rende conto di essere in una delle zone più boscose d’Italia: il 60 per cento del territorio garfagnino è coperto di foreste, contro un 28 per cento di media nazionale, questo grazie a due fortuite coincidenze di cause, le Alpi Apuane e le alte vette appenniniche hanno creato una valle nascosta, lontana dalle grandi vie di comunicazione. Poi c’è il fatto che qui piove molto, panacea per le foreste.
A bocca di Scala, a 1846 metri, le faggete lasciano il posto a vaste praterie d’altitudine, con macchie di rododendri, mirtilli e lamponi. Cento metri di dislivello ci separano dalla vetta di monte Vecchio, alto 1962 metri, che si raggiunge seguendo il sentiero sul crinale (fare attenzione in caso di nebbia); a tratti si possono vedere grossi buchi nel terreno: sono le tane delle marmotte, qui quasi al limite più meridionale del loro areale, ma a novembre già in letargo. Le marmotte e le foglie torneranno in primavera, e lo spettacolo della natura sarà pronto a ricominciare. Mura inespugnabili
Alla fortezza delle Verrucole
Dal parco dell’Orecchiella si scende in auto, seguendo le indicazioni per San Romano in Garfagnana, superando i piccoli borghi di Caprignana e Orzaglia ci si porta a una quota di 600 metri. Intorno, boschi di castagni infiammati di giallo e roverelle, fino a quando appare in tutta la sua imponenza la fortezza delle Verrucole, ed è subito meraviglia. Tutta la storia della Garfagnana è passata fra queste mura, costruite al fine di controllare i passaggi e le vie d’accesso al nord dell’alta valle del Serchio. Per arrivare all’ingresso bisogna camminare qualche minuto a piedi. Molte le visuali che si scoprono procedendo nella leggera salita con il passo lento del viandante, con l’orizzonte che si amplia all’improvviso su tutta la valle. La struttura, imponente, arroccata su uno sperone roccioso fu costruita dalla famiglia Gherardini nell’XI secolo. I restauri finiti nel 2012 hanno messo in luce un bell’esempio di ripristino, per strapparla al degrado e all’abbandono. Le mura merlate e le arcate, sembrano un palcoscenico di un teatro con lo sfondo delle Apuane imbiancate dalla prima neve.