Israele. Sotto l’ulivo del cardinale

Viaggio in Terra Santa sulle orme di Carlo Maria Martini

 

“Seme” è la parola chiave del viaggio in cui ho accompagnato in Terra Santa una quarantina di persone dal 3 al 10 ottobre 2018. L’itinerario, pensato “sulle orme di Carlo Maria Martini”, prevedeva tappe tradizionali: Gerusalemme, Be'er Sheva, Betlemme, Nazareth, i deserti (Giudea e Negev), Tiberiade, Cafarnao, il monte delle Beatitudini: l’originalità stava nello spirito del programma e nelle prospettive. Si puntava all’incontro fecondo tra due realtà: i luoghi delle origini evangeliche – Santo Sepolcro, Orto degli Ulivi, Emmaus, Tabor riletti alla luce delle lettere pastorali del cardinal Martini – e gli elementi fondanti l’identità d’Israele che interrogano la coscienza dei cristiani e dell’Europa, quali Yad Vashem (memoriale della Shoa), Museo nazionale di Gerusalemme, la sinagoga di Hadassah con le vetrate di Marc Chagall.
«Lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino» è il versetto del salmo 118 che Martini ha chiesto fosse inciso sulla sua tomba in Duomo a Milano. Martini avrebbe desiderato morire a Gerusalemme e lì essere sepolto. Ma dalla Città Santa in cui s’era ritirato dovette rientrare in Italia, causa la malattia. Allora Giuseppe Laras, già rabbino capo di Milano e suo grande amico, fece arrivare due sacchetti di terra d’Israele, poi posti tra cassa e lapide.
È la trama del viaggio che fa il seme. Piccolo granello che reca i geni della messe prodotta dal magistero di Martini dal 1980 al 2002, anni di terrorismo, crisi (delocalizzazioni e nuove povertà), Tangentopoli, fine dei partiti tradizionali, contestazione della rappresentanza politica e sociale, superamento di modelli culturali, secolarizzazione, immigrazione.
 

È un seme che fa da ponte tra due poli. L’uno: la memoria viva d’un Pastore che ha saputo dare spunti illuminanti per capire un periodo difficile eppure straordinario di trasformazioni epocali. L’altro: immaginazione di un futuro. Morto Martini, resta intatta l’attualità della sua opera nel discernere problemi e necessità di uomini e donne attraverso la luce della Bibbia. A noi oggi, grazie anche alla strada suggerita da Martini non è concesso recriminare sulle tante cose che non vanno, o vivere di rendita o nostalgia. Tocca invece rendersi consapevoli della vita e della storia, del corso delle generazioni, farsi carico di trasmettere creatività, operatori di una continuità umana e spirituale. In particolare sul terreno delle Beatitudini, punto forte del magistero martiniano nell’odierna epoca di discriminazioni, povertà, disumanità. È quasi una nona beatitudine l’umiltà di mettersi alla scuola d’un testimone autorevole del nostro tempo e proseguire sull’esempio.
I gesti danno voce alla realtà dell’anima, singola e collettiva. La cultura e la psicologia del seme che hanno accompagnato il viaggio han trovato casa in un evento di valore simbolico. Il 9 ottobre è stato piantumato un ulivo in memoria di Martini, grazie alla collaborazione del Keren Kayemeth Leisrael, il Fondo Nazionale Ebraico, la più antica organizzazione ecologica del mondo. ­A Giv’at Avni, sopra Tiberiade, c’è un bosco che ancora il rabbino Laras voleva fosse dedicato a Martini. Alle radici dell’ulivo è stato posto un messaggio di Mario Delpini, attuale arcivescovo di Milano, indirizzato ai «seminatori di futuro e di speranza».

 

La prospettiva è che piantumare un albero nel bosco Martini rientri fra le tappe dei gruppi di pellegrini che si recano in Terra Santa. La memoria del cardinale diventa seme perché chi va ad attingere energia alla «radice santa» d’Israele, come la chiamava Martini, e alle origini evangeliche possa tornare in Italia con la luce di un discernimento ­rigenerato dal contatto con l’esperienza di quella «lampada per i miei passi».  
Uno dei più grandi registi italiani, Ermanno Olmi, ha realizzato nel 2017 un docufilm su Martini: Vedete, sono uno di voi. Ermanno Olmi racconta Carlo Maria Martini prodotto da Istituto Luce con Rai Cinema. Il titolo nasce da una frase pronunciata dal cardinale a proposito della paura, profondamente umana, di vedere il proprio corpo spegnersi.
Si parte dunque dalla fine per raccontare l’inizio dell’uomo e del prete, ricostruendone la vita, il messaggio, l’eredità e i luoghi del cuore. Un racconto che è anche uno spaccato della storia d’Italia. Durante il viaggio il film è stato proiettato proprio a Gerusalemme, alla presenza dell’ambasciatore italiano Gianluigi Benedetti.
Una delle ultime lettere pastorali di Martini si intitola La bellezza salverà il mondo. È dono e seme essere «uno di noi» con Martini e con Olmi, l’uomo di Dio e l’artista, nel viaggio della vita, diventar belli dentro, magari essendo passati da Israele.