Grecia. A sud del Peloponneso

La penisola del Mani. Ecco un’ottima alternativa alle isole dell’Egeo per la prossima stagione estiva. Una regione autentica tra mare e monti, borghi intatti e case-torri, ricca di storie e miti (da Orfeo a Paride) e di autorevoli testimonial (da Leigh Fermor a Bruce Chatwin)

"La Guide Bleu dedica a Kardamili solo mezza riga, menzionando poco altro che i suoi quattrocentonovanta abitanti. Meglio così. È un posto troppo inaccessibile e dove c’è troppo poco da fare, per fortuna, perché sia mai seriamente minacciato dal turismo. Non fa meraviglia che le Nereidi ne facessero la loro dimora". Patrick Leigh Fermor era forse ingenuamente ottimista, ma in fondo ci aveva visto giusto. Il Mani non è poi così cambiato, a 50 anni esatti dalla pubblicazione del suo libro Mani - Viaggi nel Peloponneso. Certo, ville e taverne, ombrelloni e piscine spuntano spesso tra gli ulivi; e le avventure di quel viaggio epico, lui e la moglie a piedi e in sella agli asini in una terra aspra e bollente, sono ormai irripetibili. Eppure qui ancora si respira profumo di Grecia: forse perché le montagne del Taigeto, le strade tortuose, la mancanza di aeroporti troppo vicini sono riuscite a preservare dalla massa questo “dito mediano” del Peloponneso, dove ancora ad agosto si può trovare un pezzetto di spiaggia senza sgomitare con i vicini.

Fermor, inglese di nascita, dopo una vita rocambolesca scelse di stabilirsi lungo la costa nordoccidentale del Mani. È qui che il viaggio inizia, tra Kardamili e Stoupa, nella parte che ancora è più facile da raggiungere dalle città e dunque più vivace, familiare, felicemente chiassosa. C’è ancora del verde, nel Basso Mani - boschetti, macchie di mirti, cipressi che poi scompariranno a mano a mano che si procede verso l’Alto Mani, quello che è “il vero Mani”, come dicevano a Fermor i locali. A guisa di confine, tra l’una e l’altra regione, ecco Areopoli, il centro più grande. Qui, e poi attorno al vicino porticciolo di Limeni, è un fiorire discreto di boutique hotel raffinati, esclusivi resort con piscina, lounge bar vista mare, ma per fortuna è davvero tutto molto ben fatto: le case restaurate com’erano una volta, in pietra, colori omogenei, nessuna stravaganza e nessuna bruttura. Merito anche, ci dice un albergatore, dei fondi stanziati dall’Unione Europea, che hanno permesso la ristrutturazione conservativa di molti edifici cadenti, per esempio le tante case-torri del territorio. Fermor racconta, in una delle sue innumerevoli e lunghissime digressioni, della particolarità di queste strutture, sorta di abitazioni verticali turrite, da cui le famiglie maniote si facevano la guerra. Per secoli, fino alla seconda metà dell’Ottocento, ogni villaggio del Mani era teatro di vere e proprie faide: dalle loro case-torri le famiglie rivali si sparavano le une contro le altre, senza esclusione di colpi, con l’unico obiettivo di sottomettere l’avversario. Oggi di queste strutture ne rimangono parecchie, alcune delle quali splendidamente restaurate, ad Areopoli per esempio; e numerosi nuovi edifici prendono le loro sembianze, giacché in alcuni luoghi è tutto un fiorire di case-torri (forse fin troppe, per i nostri gusti). Salutiamo Areopoli prendendo un aperitivo nella vietta centrale, un susseguirsi di locali dove sdraiarsi all’aperto su comodi divani (che cosa avrebbe detto Fermor della musica chill out nella città dove soffiò il primo afflato di indipendenza greca?); e ceniamo sul mare a Limeni, dove i tavoli si affacciano su un’acqua che definire trasparente è davvero poco. 

La Grotta di Diros, dove ci si inoltra con una silenziosa barca a remi, è forse l’ultimo luogo che richiama un po’ di turismo. Poi, in questa mattina di luglio, sulla strada verso sud rimaniamo solo noi e un camioncino carico di aglio e cocomeri, insieme a cui facciamo la spola tra villaggio e villaggio: noi per visitare chiese e case-torri, lui cercando di vendere i suoi prodotti – solo quei due, nient’altro – alla gente rinchiusa nelle case per la siesta pomeridiana. A Gerolimenas la strada ritorna sul mare, dopo un lungo tratto nell’interno: qualche albergo, qualche barca, il silenzio dei luoghi sognanti. Qui c’è anche l’hotel più antico del Mani, risalente al 1870: tempi in cui ci chiediamo quanti e quali avventurosi potessero passare da queste parti. Poi arriviamo a Vatheia. Patrick Fermor racconta dell’ospitalità ricevuta in questo villaggio tra i più densi di case-torri, dove una famiglia lo ricevette con amore e organizzò una indimenticabile cena sulla cima di una torre, sotto la luna, issando le pietanze con una corda. Oggi Vatheia è accoccolata come allora su uno sperone roccioso da cui si domina il mare, ma è un paese fantasma, assediato dai fichi d’India. Qualche anno fa si era tentato di trasformarlo in un albergo diffuso: oggi rimangono i numeri sulle porte e qualche materasso dimenticato nelle camere. Peccato, perché sarebbe bello farlo rivivere, nel nome di Fermor.

Proseguiamo. La parte estrema della penisola è straordinaria: colline aspre, bruciate dal sole, il timo fiorito che impregna le narici, strade che ti fanno fermare a ogni curva per la meraviglia. 
All’improvviso, ecco l’immagine che potete vedere anche voi in apertura di questo servizio: una visione paradisiaca, con due baie quasi gemelle, il mare a destra e a sinistra, un grumo di case. Siamo arrivati alla punta più meridionale del Peloponneso, capo Tenaro o Matapan (noto anche per la sonora sconfitta della marina italiana nella seconda guerra mondiale – 1941 – per mano degli inglesi) a seconda delle storie che si vogliono raccontare. Per gli antichi era nientemeno che l’ingresso dell’Ade: da qui Orfeo si calò nelle viscere della Terra per trovare la sua Euridice, per esempio, miti e storie di cui anche Fermor sente il richiamo e la suggestione, come quando parla del tempio di Poseidone che qui sorgeva, santuario centrale degli spartani, asilo inviolabile di chi ci si rifugiava. Bisogna lasciare l’auto per raggiungere a piedi il capo estremo, vero e proprio finis terrae dove un faro domina dall’alto gli scogli. È vero, siamo arrivati in fondo, ma il viaggio continua: perché c’è la costa orientale del Mani da esplorare, questa volta verso nord. La strada corre in alto, ma a volte deviazioni impervie si buttano a capofitto verso il mare: scopriamo così Agios Kiprianos, porticciolo con una spiaggia abbacinante e l’acqua che richiama come una calamita. Poi, più a nord, ricomincia ad affacciarsi qualche turista, i lidi si fanno più grandi e in parte attrezzati, fino ad arrivare a Gytheio, dove finiscono il Mani, il viaggio di Fermor e anche il nostro. Davanti, l’isola di Cranae: migliaia di anni fa, Paride rapì Elena e per la prima notte la portò qui. Come dice Fermor:  proprio nel Mani «era cominciata quella fatale e incendiaria luna di miele». 

Foto di Stefano Brambilla