Due scrittori entrati nel mito

Quando abbiamo scoperto che le ceneri di Bruce Chatwin, su sua espressa volontà, erano state sepolte nel Mani, e non ai piedi di qualche ghiacciaio argentino o tra le rosse sabbie d’Australia, ci siamo rimasti quasi male. Ma come? Il mito dei viaggiatori, uno dei pilastri della letteratura di viaggio del Novecento, aveva scelto per il riposo eterno la Grecia mediterranea e non un luogo più esotico, di quelli raccontati ne Le vie dei canti o In Patagonia? Poi abbiamo letto del legame che lo univa a Patrick Leigh Fermor e tutto è diventato più chiaro. Uno scrittore che invita un altro a passare del tempo a casa sua, la stima che unisce due persone di grande cultura, infinite ore a discutere di storie di dei e di uomini, un ouzo guardando il mare: Chatwin doveva aver avuto la sensazione di aver trovato serenità per la sua irrequietezza, il posto giusto per riposare, finalmente. Fermor abitava a Kalamitsi, sulla costa occidentale del Mani, sin dalla fine della guerra; lì, tra ulivi e cipressi, di fronte a un mare cristallino, aveva scelto il luogo dove scrivere e tirare un sospiro, dopo una giovinezza fatta di avventure che definire picaresche è poco. Mani, il racconto della sua epopea lungo la penisola, uscì nel 1958. 

Che cosa rimane di questa storia? Due luoghi, oltre al pensiero. Il primo è la villa di Fermor, mancato nel 2011, che riaprirà nel 2020 grazie al Museo Benaki di Atene (sarà una residenza per scrittori, ma vi si potrà anche soggiornare). Il secondo è il luogo dove Chatwin scelse di riposare per sempre: la cappelletta di Agios Nikolaos, vicino al paese di Exohori. Nessuna targa, nessuna indicazione: solo pietre antiche, gli ulivi scintillanti, il profumo di fichi maturi, il sole che splende sul mare, laggiù in fondo.