Genova. Qui Paganini si ripete

Una mostra e un itinerario sulle tracce del celeberrimo violinista. Omaggio a una città profondamente ferita che, nonostante le difficoltà, non si arrende e offre arte, gastronomia e accoglienza di qualità

Angelo o demone? Semplicemente il più bravo. Niente insegnamenti satanici o poteri occulti dietro il suo fascino magnetico e incantatore di folle, ma uno straordinario talento e, fin da bambino, ore e ore di esercizi al violino. Niccolò Paganini (1782-1840), per i contemporanei un Mefistofele che suonava come un Serafino: «le basette erranti sulle scarne guance, il colorito cadaverico… il lampeggiare degli occhi infuocati». 
Uno dei più grandi virtuosi di questo strumento, sia per la padronanza della tecnica sia per le innovazioni apportate (in particolare allo staccato e al pizzicato), in grado di imitare con il suo violino persino i suoni della natura. Violinista, compositore e chitarrista, scrisse diversi brani da eseguirsi su una sola corda, spesso l’unica sopravvissuta al termine dei suoi concerti, dopo che aveva modificato l’accordatura per ottenere effetti particolari e fatto in modo che le corde si spezzassero una dopo l’altra. Inimitabile la sua tecnica, dovuta anche a una patologia delle cartilagini, la sindrome di Marfan, che aveva regalato alle sue mani una flessibilità straordinaria e quindi un’abilità fuori dal comune. E quella famosa frase, pronunciata nel 1827 al termine di un concerto al Teatro Falcone, dopo la richiesta di bis da parte di re Carlo Felice, «Paganini non ripete», che gli costò due anni di esilio. Più che un’affermazione superba, un’allusione alla sua abitudine a improvvisare, anche su una partitura, e quindi all’impossibilità di replicare un’esecuzione. Milano, Roma, Lucca, Parma, le tappe principali di una straordinaria attività concertistica che lo portò anche nelle principali città del Nordeuropa.
La Natura gli diede il talento, Genova i natali, le botte del padre la disciplina nell’esercizio, ma fu Niccolò a fare di Paganini un divo. Il primo divo. Pallido, allampanato, braccia lunghissime, piedi sproporzionati, i lunghi capelli scarmigliati a incorniciare due occhi magnetici e un ingombrante naso aquilino che gli conferiva un profilo da rapace. Indiscutibilmente brutto, eppure faceva impazzire le donne. Per alimentare il proprio mito curava attentamente la sua immagine: si vestiva di nero, indossava occhiali dalle lenti blu, assumeva un’aria spettrale e si circondava di un alone di mistero. 
Successi ed eccessi per questo Marylin Manson ante litteram, al quale Palazzo Ducale dedica Paganini Rockstar, una spettacolare mostra multimediale che, fra documenti, oggetti e video, lo accosta in modo estremo a colui che per talento, tecnica innovativa e portata rivoluzionaria può essere considerato il suo trasgressivo e diabolico erede rock, Jimi Hendrix. 

A cinque mesi dalla caduta del ponte Morandi che l’ha spaccata in due, questa esposizione è uno dei segnali con cui Genova riafferma la propria vitalità e intraprendenza, la capacità di dare vita a eventi culturali di spessore e rinsalda la propria attrattività turistica. Essere genovesi oggi è un atto di fede. È dura non perdere la fiducia nella capacità di ripresa e nelle potenzialità di una città già duramente segnata dallo spopolamento (in 50 anni ha perso il 30 per cento degli abitanti) e dalla crisi del suo porto, il più importante del Paese. Come per Paganini c’è stato un prima e un dopo nella storia del violino, per gli abitanti di Genova ci sarà sempre un prima e un dopo il ponte Morandi, una cesura nella storia della città. Tutti ricorderanno sempre dove erano nel momento in cui la notizia si diffuse e la tv mostrò il video dell’attimo in cui si spezzavano i tiranti, nelle orecchie quell’Oddio!!!!! angosciato e incredulo ripetuto come un mantra da colui che per caso stava riprendendo la scena. 

La gran parte dei genovesi scoprì che si chiamava Morandi solo quando cadde, per loro quello era il Ponte di Saragat (che lo aveva inaugurato nel 1967) o, per l’ardita struttura che in qualche modo richiamava il cugino americano, il Ponte di Brooklyn. Oggi il ponte è l’ossessione di un’intera città, la spada di Damocle che incombe sulla sua testa, il monito a non lasciarsi andare. Una piaga aperta e uno stimolo al tempo stesso. A livello internazionale il simbolo di un’Italia incapace e pressapochista. Genova non può fare da sola e non deve essere lasciata sola. Questa gente di mare che respira gli Appennini, amante del mugugno, ruvida ma concreta, intraprendente e severa, nella tragedia ha saputo far fronte comune, rimboccarsi le maniche e ripartire con una nuova consapevolezza. 
Le prime settimane dopo il crollo, oltre al dolore per le 43 vite spezzate, il problema era quello di metabolizzare la perdita di qualcosa che faceva parte della quotidianità, che sembrava essere lì da e per sempre. Al tempo stesso bisognava superare il senso di isolamento, fisico e psicologico, la mancanza di quella struttura che collegava fra gli altri i due terminal del porto, quello di Voltri e quello del centro, e la città all’aeroporto, situato appena dopo il torrente Polcevera.

«Il crollo del ponte Morandi ha avuto ripercussioni inevitabili sul comparto turistico, dettate anche dall’idea, non corretta, che la città non fosse raggiungibile. Le istituzioni locali si sono impegnate fin da subito nel comunicare l’accessibilità di Genova. Purtroppo questo non ha arrestato il calo delle presenze. Il mese di settembre ha sostanzialmente tenuto, registrando solo un -5 per cento rispetto allo scorso anno. Nel mese di ottobre invece il gap è più che raddoppiato, con un -12 per cento delle presenze. La città saprà reagire mettendo a disposizione tutte le sue risorse per risollevarsi. Già in questi giorni vediamo i primi timidi segnali di ripresa» inquadra così la situazione Sofia Gioia Vedani, amministratore delegato di Planetaria Hotels, gruppo alberghiero italiano presente a Genova con il Grand Hotel Savoia e l’Hotel Continental (per un totale di 161 camere), e membro del consiglio direttivo nazionale di Confindustria alberghi. 

Il calo si è registrato soprattutto nei mercati italiano, francese e tedesco, mentre il successo di una serie di efficaci campagne pubblicitarie ha portato alla crescita di quelli inglese e israeliano. Saliti pure i numeri dei russi, favoriti anche dai voli per Genova della più grande compagnia privata russa, S7, che la scorsa stagione estiva ha registrato un riempimento del 90 per cento. Ora quello che conta è far ripartire l’economia ligure, pesantemente segnata anche dai danni alle infrastrutture dovuti alle mareggiate di ottobre e dalla grave crisi di Banca Carige, e ribadire che il turista qui può continuare a venire come prima. Genova è viva e raggiungibile. La Superba ha rialzato la testa. La sua bellezza è intatta, così come la sua offerta turistica. «Genova non è un’isola collegata alla terraferma da un ponte che è crollato. Genova è una città facilmente raggiungibile in ogni modo: traghetto, aereo, treno, moto e automobile. Non esiste alcun tipo di difficoltà nell’arrivare da noi. In questi mesi i turisti hanno continuato a visitare le bellezze della nostra città: hanno girato tra i palazzi dei Rolli, guardato il tramonto da Spianata Castelletto, mangiato le trenette al pesto tra i caruggi del centro storico o passeggiato in corso Italia» afferma Marco Bucci, sindaco della città e commissario alla ricostruzione insieme a Giovanni Toti, presidente della Regione. «Genova è una città aperta e pronta ad accogliere tutti i 365 giorni dell’anno, sfruttando anche un clima mite che permette di godersi l’aria aperta anche nelle giornate invernali. A dimostrazione di quanto sto dicendo porto il dato dell’ultimo Salone Nautico che ha registrato l’afflusso record di oltre 175mila visitatori». 

È dalle Colombiadi del 1992, che hanno visto il rifacimento del Porto Antico su progetto di Renzo Piano, con l’apertura dell’Acquario e del Museo del Mare, con l’attribuzione nel 2004 del titolo di Capitale europea della cultura, l’iscrizione dei Palazzi dei Rolli nella lista dell’Unesco e la stagione delle grandi mostre di Palazzo Ducale, che Genova si è scoperta bella, attrattiva e ha fatto pace con le sue tante contraddizioni. 
«Subito dopo la tragedia l’Acquario ha subito una perdita del 50 per cento dei suoi visitatori, per un totale da un milione e mezzo a due milioni di euro di ricavi lordi in meno. Perdite che hanno interessato anche il Comune, cui paghiamo un canone in parte fisso in parte indicizzato sul fatturato» ricorda Giuseppe Costa, presidente di Costa Edutainment, il gruppo che fra gli altri gestisce il Galata e l’Acquario, una fra le maggiori realtà turistiche di Genova. «Sono ben oltre 50mila i visitatori che sono venuti meno, non solo nella nostra struttura ma in tutta la città, dai ristoranti agli alberghi, ai negozi. Una perdita pesante, nel pieno della stagione turistica, e tutto perché si pensava che vi fossero difficoltà ad arrivare in città, mentre il centro storico non era più difficile da raggiungere di quanto non lo fosse prima del 14 agosto. Nonostante le perdite, per non danneggiare i turisti che hanno continuato a visitarci, abbiamo deciso di non diminuire i servizi e mantenere il livello occupazionale. Ora la gente ha un’idea più precisa, le perdite si sono ridotte e per l’anno prossimo abbiamo in serbo nuove sorprese e iniziative. Psicologicamente però abbiamo bisogno che si inizi a lavorare al ponte e dimostrare così che la città, che se non si è mai veramente fermata, ha ripreso a muoversi». 

Dal giorno dopo la tragedia infatti Genova ha incominciato a interrogarsi sul dopo. Non si è rassegnata e ora è pronta ad affrontare nuove sfide: il nodo delle infrastrutture, il terzo valico (l’alta velocità per Milano), il nuovo ponte, l’ipotesi della gronda, il nuovo progetto della gronda bassa. La caduta del ponte ha ricompattato la città intorno alle sue eccellenze, ha portato istituzioni, Regione, Comune, porto, attori economici e turistici a dialogare e a collaborare fra loro e con i cittadini. Superando difficoltà oggettive, Genova è pronta a trasformare una tragedia in un’opportunità per costruire una città e una mobilità migliori. È pronta a guadagnarsi il futuro.

Foto di Francesco Lastrucci