Toscana. Elba, l'isola dell'imperatore

Il 4 maggio 1814 Napoleone Bonaparte arriva all’Elba in esilio. Il suo soggiorno forzato durò meno di un anno, eppure ha lasciato un segno profondo ancora vivo nei luoghi e nelle persone

 

Approdato all’Elba dopo un faticoso viaggio, l’imperatore in esilio si era trovato a disagio nel municipio dell’isola, il Palazzo della Biscotteria, tra i sentori delle fogne a cielo aperto, dove chiunque, anche un sicario dei Borboni, avrebbe potuto avvicinarglisi.
Appena sbarcato, il condottiero sconfitto aveva dichiarato: «Ormai sono morto». Ma subito dopo si era dedicato, come Candido di Voltaire, a “coltivare il suo giardino”, trasformando la modesta Palazzina dei Mulini, oggi museo, aperta su un magnifico panorama, nella sua nuova residenza. Lo avevano aiutato nei lavori, cui non disdegnava di partecipare di persona, i veterani della Guardia che l’avevano seguito nell’esilio. «Il lavoro è il mio elemento. Sono nato per il lavoro».
Solo l’arrivo della sorella Paolina era riuscito davvero a distrarlo. Bellissima e devota al fratello, quando una sua dama di compagnia aveva rifiutato le avance dell’imperatore l’aveva rimproverata dicendole: «Se Napoleone me lo chiedesse non esiterei a obbedire». Per lei la Palazzina dei Mulini si apriva alla mondanità con una serie di feste da ballo. Per volontà del padrone di casa gli ospiti delle serate non dovevano mai essere più di duecento. Vedendo le dame del posto in difficoltà davanti all’avvenenza della sorella e allo splendore dei suoi diamanti, l’esule aveva invano tentato di indurla a moderarsi. Paolina fingeva di acconsentire, ma non rinunciava a brillare agli occhi di tutti. Era però stata costretta a obbedire quando il fratello, da sempre allergico al nero, l’aveva costretta a cambiarsi immediatamente malgrado le rose che illuminavano il suo abito. Un atto di obbedienza ripetuto quando si era presentata in un altro colore detestato da Napoleone, il bianco, che gli ricordava la tenuta delle condannate a morte in attesa di essere ghigliottinate.

Nel delizioso Teatro dei Vigilanti, costruito sulla chiesa sconsacrata del Carmine e ancora oggi visitabile, Paolina organizzava rappresentazioni cui spesso partecipava nella parte della protagonista. A due chilometri da Procchio, andando verso Marciana Marina, c’è la spiaggia di Paolina, dove la bellissima principessa faceva il bagno nuda, dando doppiamente scandalo in un’epoca in cui i bagni di mare erano ritenuti pericolosi e indecenti anche in costume.
Nei nove mesi del suo soggiorno Napoleone avrebbe profondamente modificato l’assetto dell’isola, aprendo nuove miniere di ferro, inaugurando strade e strappandola alla sua stasi secolare. Perlustrando il suo nuovo regno, interrogava con competenza e curiosità alti funzionari e operai, suggerendo le soluzioni più idonee ai loro problemi.
Ogni domenica andava a Messa nella chiesa della Reverenda Misericordia di Portoferraio dove ogni anno, il 5 maggio (giorno della sua dipartita, come ricordano anche ai versi manzoniani “ei fu siccome immobile...”), ancora oggi viene celebrata una Messa in suo ricordo e si possono ammirare i calchi della mano e del viso del sovrano. Grazie alla presenza di Napoleone, l’Elba era diventata la meta di tutti i curiosi d’Europa, i prodotti locali non bastavano più a nutrire tutte quelle bocche e l’attività commerciale suscitata dal turismo aveva arricchito l’isola.
Il fisico dell’imperatore si era appesantito, ma la sua vitalità sembrava inesauribile. Solo durante le ascensioni più aspre si appoggiava al braccio di un aiutante. Saliva sul Monte Giove o andava a Rio Marina seguendo la strada di Rio Montagna. Gli piaceva in particolare sostare presso un belvedere aperto sull’amata Corsica, un masso divenuto poi noto come la Sedia di Napoleone. Aveva passato intense giornate nel romitorio della Madonna del Monte, a Marciana, con l’amante Maria Waleska, approdata sull’isola con il figlio naturale dell’imperatore. C’è ancora la sontuosa tenda da campo a strisce bianche e blu con frange rosse di 24 mq in cui aveva vissuto durante le campagne militari e dove pare ricevesse più intimamente la visitatrice.

La giornata di Bonaparte iniziava prima dell’alba. Fatta una rapida toeletta con il nécessaire d’oro, si spostava nello studio, dove leggeva i rapporti e dettava alcune note al segretario. Alle sette, scorsi i giornali, faceva colazione. Poi passeggiava nell’orto, dove formulava con il giardiniere nuove ipotesi di coltivazione. Dopo due ore di sonno, galoppava senza scorta per la campagna, per riprendere immediatamente a lavorare. A mezzogiorno e mezzo mangiava sobriamente, limitandosi a bere un bicchiere del suo vino preferito, lo Chambertin, allungato con l’acqua. Napoleone era affezionato a quel vino fin da quando l’aveva assaggiato all’inizio della sua carriera militare. Glielo forniva la casa Soupé et Pierrugues. Temendo di restarne senza durante la campagna di Egitto, se ne era portato dietro una grande quantità che, malgrado l’attraversamento del deserto, aveva conservato intatto il suo sapore. Finito il pranzo, Napoleone faceva il bagno o sprofondava nella lettura. Una volta riposato riprendeva le sue esplorazioni dell’isola, che si protraevano fino alle sei.
Alla cena, talora servita su un fastoso servizio di Sèvres dipinto, in omaggio alle sue prime vittorie, con vedute egiziane, partecipavano spesso degli intimi, con cui giocava abitualmente a carte. Le puntate erano rigorosamente basse, ma l’imperatore non amava perdere. Gli sembrava che la sorte gli parlasse anche attraverso quelle minuscole prove, e per vincere non esitava a barare.
Alle nove Bonaparte si metteva al piano e strimpellava sempre le stesse note. Salutati gli ospiti, si ritirava nella sua camera, dove si coricava sul celebre letto da campo solo dopo avere steso i resoconti delle campagne passate o i progetti delle riforme future.
Lettore instancabile, si lamentava della penuria di libri, malgrado ne avesse fatto venire parecchie casse da Fontainebleau, da Parigi e da alcune città italiane, dopo averli fatti rilegare con le insegne imperiali: una enne maiuscola o un’aquila. Leggeva di tutto, dai classici alla botanica, dalla chimica all’astronomia. C’erano molti romanzi settecenteschi, qualche libro di matematica e un bellissimo esemplare del Don Chisciotte in otto volumi. Nella biblioteca è ancora possibile ammirare i libri e la scrivania dell’imperatore decorata dalle corone imperiali. «Per fare buoni libri, sosteneva, bisogna studiarne molti, eppure, malgrado i molti studi, i buoni libri sono rari».

 

Il contegno di Napoleone era oscillante. Teneva a mantenere rigidamente l’etichetta di corte, per poi subito infrangerla. Allora alla solennità del regnante subentrava la collera, cui seguiva immediatamente il pentimento. Talora la sua natura intimamente giocosa sembrava prendere il sopravvento. Riferivano, perplessi, di averlo visto giocare a mosca cieca o inseguire i tacchini fuggiti dal giardino. È difficile dire in che misura l’imperatore simulasse per rassicurare i nemici.
Ma forse Napoleone recitava anche per se stesso, quando traversava i suoi domini con un lungo seguito o preparava, comprando la Villa di San Martino, oggi museo napoleonico, l’impossibile arrivo di Maria Luisa e del suo erede, il re di Roma. Lì, appena fuori da Portoferraio, si era stabilita Paolina Borghese, che si diceva avesse posato per la statua di Galatea, attribuita a Canova. Sempre lì i visitatori potevano ammirare nelle decorazioni del salone egizio gli echi delle vittorie del condottiero in Africa del Nord.
Fino all’ultimo, prima della sua evasione, Napoleone continuò a supervisionare i lavori nei suoi giardini e quelli concernenti il miglioramento dell’isola. Il suo seguito l’osservava rispettosamente quando passeggiando per i campi raccoglieva un fiore e l’esaminava a lungo in silenzio.
Quando partì dall’Elba per riconquistare il suo impero, indossava la redingote grigia delle sue battaglie. Malgrado i segni di stanchezza, dovuti a una notte insonne, il suo viso era trasfigurato e come ringiovanito dall’avventura appena iniziata. All’imbarco, il 26 febbraio 1815, si era radunata per salutarlo una piccola folla commossa che gridava: «Sire, gli elbani sono vostri figli!», «Sire, qui tutti vi amano!», «Sire, che il cielo vi accompagni!».

Fotografie di Clara Vannucci