di Luca Bonora
«L’arte è nel dna. Come il viaggio». Proseguono con lo storico dell’arte italo-francese gli incontri con personalità del mondo della cultura che hanno scelto di diventare ambassador Tci
«Io non ho mai viaggiato. O meglio, non ho mai viaggiato secondo l’accezione dei viaggi organizzati. Sono sempre partito. Da solo e con un motivo. Senza un forte motivo non si vede niente, non si scopre niente.»
Nato a Mulhouse, in Alsazia, il 17 ottobre 1949 da padre italiano e madre francese, Philippe Daverio è critico d’arte, docente, saggista, scrittore e personaggio televisivo. Ama definirsi storico dell’arte e se della sua immagine restano impresse l’eleganza eccentrica e l’immancabile papillon, è la sua capacità di affabulatore che lo ha reso un grande divulgatore dell’arte anche in televisione. Il suo ultimo libro, Grand Tour d’Italia a piccoli passi (Rizzoli), è una personale guida ai luoghi da scoprire lungo lo Stivale.
Dal 2018 è ambassador Touring: con altre personalità del mondo della cultura e dello spettacolo, ha scelto di sostenere il Touring Club Italiano secondo la propria sensibilità. «Io sostengo il Touring. Il Touring sostiene l’arte che ispira», dice. Perché l’arte, come il viaggio, è da sempre nel nostro dna; e perché anche l’arte può e deve ispirare alla valorizzazione e alla tutela del nostro patrimonio. Spiega Daverio:
«L’arte, come la musica e la danza, diventa fantastica quando entra nel cervello e si diffonde come un virus in un computer. Oggi l’arte si può trovare e comprare senza spendere cifre folli. Dovete dirlo, dovete farlo sapere. Io ho appena trovato un quadro che raffigura Radetzky e le sue truppe a Milano, nel 1848. è l’unico quadro esistente in Italia che lo raffigura, ed è nel mio studio.»
Se dovesse raccontare il Touring a qualcuno che non lo conosce, cosa direbbe?
Che mi suscita simpatia: è come un vecchio parente di cui si conosce il fascino ma non tutti i segreti. è rassicurante, garbato ma misterioso. Ha l’elegante fascino dell’obsolescenza.
Il claim di Touring è “il nostro modo di viaggiare”. Qual è il suo modo di viaggiare? Come si organizza, cosa porta sempre con sé?
Faccio molte valigie, sempre. Porto sempre troppe cose… Ricordo che molti anni fa andai a Katmandu, sulle montagne nepalesi, ospite di un amico ambasciatore appena trasferito da Buenos Aires. Lassù non avevano nemmeno il telefono. Avevo con me gli stivali da cavallo, tutte le mantelle, gli abiti da viaggio e uno smoking. All’aeroporto pagai qualcosa come 600 dollari di sovrappeso sul bagaglio.
Daverio, altri viaggi memorabili?
Una volta andai in Messico per la festa del libro di Guadalajara. Io alloggiavo in un elegante hotel quattro stelle, chi mi accompagnava in un albergo vicino, umile e pittoresco. Ma lì soggiornava anche la stampa alternativa di opposizione e fu grazie a loro che conobbi il Messico, quello vero.
Un’altra volta andai a Dakar, in Senegal, per la Biennale d’arte e mi capitò di assistere a un concorso ippico, attività estremamente insolita in quella parte del mondo. Soggiornavo in una villa a forma di U con la piscina nel mezzo, e avevo un cuoco personale che ogni mattina mi chiedeva che cosa volevo mangiare. Ho avuto tanti piccoli privilegi nel viaggiare, non lo nego. Ma quello che conta non è vedere in largo, è vedere in lungo. In profondità. Viaggiare in modo pensato, cerebrale, aiuta a scegliere in modo coerente anche il menu al ristorante.
Ora a cosa sta lavorando?
Sto scrivendo un libro di esaltazione dell’Europa, molto rischioso visti i tempi, non l’Europa economica naturalmente, ma l’Europa della cultura e dei popoli.
E nato tutto da un ciclo di conferenze che tenni al teatro Carcano di Milano e che fecero il tutto esaurito: ogni volta, 900 persone. Sarà una riflessione su quello che ci unisce e su quello che ci divide.»
Ricorda il suo primo viaggio in Italia?
Avevo 24 anni e andai in Puglia da due signore che avevano lavorato presso mia mamma. Andammo in campagna, nella terra coltivata, fra gli orti, nei loro trulli che erano trulli veri, non quelli artificiali per i turisti. Fu una delizia.
In Italia ci sono luoghi in cui, se uno ci passa, la sua vita cambia, come il Castello di Duino alle porte di Trieste, o la Biblioteca Malatestiana di Cesena. È la più antica biblioteca d’Europa, è un luogo di cui dovremmo essere fieri.
O ancora la chiesa di S. Alessandro a Milano: è il prototipo dell’architettura barocca ed è a 200 metri dal Touring. Lei ci è mai entrato? Ci vada. Subito.