di Vittorio Giannella | Foto di Vittorio Giannella
L’isola di “sovrumana bellezza” amata da Modugno per le sue spiagge e i colori unici del mare è un paradiso per turisti. Ma anche un lembo d’Italia troppo vicino all’Africa. Con le drammatiche conseguenze che racconta un film d’autore in uscita a primavera
Ultimi frammenti di terra italiana, le isole Pelagie. Con Lampedusa e Linosa sono un luogo ideale per un “primo mare” ancora lontano dalle folle estive e dal caldo opprimente. Un mare dalle innumerevoli tonalità di blu, come a Lampedusa, che non ha eguali, o con le casette multicolori di Linosa che fanno a gara con le pennellate di colori della macchia mediterranea, sempre mossa dal vento. Un piccolo mondo rimasto sempre uguale a se stesso. Fino al 15 aprile 1986. Quel giorno un evento portò per la prima volta Lampedusa alla ribalta della cronaca mondiale: dalla Libia il colonnello Gheddafi diede ordine di lanciare due missili Scud che esplosero a poche miglia dall’isola, senza colpire il vero obiettivo, ovvero la base militare Nato di Capo Ponente.
Lampedusa, fino ad allora ai margini dei principali flussi turistici, meta per pochi privilegiati, da quel giorno cambiò pelle: in seguito a quell’infausto evento bellico le immagini televisive fecero conoscere le bellezze dell’isola e la cordialità dei suoi abitanti. Di lì a poco fu costruito l’aeroporto e il turismo da quel momento è diventato la prima fonte di guadagno isolana: «La pesca ormai ci aiuta ad arrotondare il reddito» dice Pietro, 68 anni, pescatore di lungo corso, barba lunga e sigaretta ben serrata fra le labbra, mentre scarica le cassette colme di merluzzi e polpi. «Nulla a confronto di trent’anni fa, quando ero un giovane comandante e riempivamo il peschereccio di merluzzi e pagelli». Quattro parole in dialetto, una stretta di mano e il carico viene portato via da un noto ristoratore dell’isola. «Oggi è sempre più difficile tornare con un carico di pesci che ti faccia guadagnare e vivere dignitosamente».
Ma non è questo il più grande problema dell’isola in questo inizio di nuovo millennio. Lampedusa, è anche un luogo di confine, più vicina all’Africa che non alla Sicilia: dista 205 chilometri da Porto Empedocle e poco più di un centinaio dalla costa della Tunisia. Ed è questo che negli ultimi anni ne ha fatto anche la meta quasi obbligata per i barconi dei migranti africani. Ed è a questo flusso di disperati che il regista Maurizio Zaccaro ha dedicato il suo film Lacrime di sale, tutto girato nei mesi scorsi (e in uscita in questa primavera) a Lampedusa, e interpretato, accanto a molte comparse isolane, da Sergio Castellitto, traducendo in immagini l’omonimo copione scritto a quattro mani da Pietro Bartolo e Lidia Tilotta.
Pietro Bartolo è stato in questi ultimi 25 anni un osservatore privilegiato di Lampedusa. Presta infatti la sua opera di medico al poliambulatorio e accoglie, cura e ascolta i drammatici racconti dei migranti, disperati che giungono sull’isola stremati da mesi di viaggio, tra deserti, violenze e privazioni. «Dobbiamo trovare la forza e il modo di cambiare la mentalità di tutte quelle persone condizionate da falsi pregiudizi, e diffondere quel seme dell’accoglienza, della solidarietà, fondato sul rispetto dei diritti umani, e dell’integrazione di queste persone che cercano solo un posto dove essere felici, finalmente» confida Rossella, una delle comparse che svolge nel film il ruolo di una crocerossina. A testimoniare questa ormai radicata e obbligata abitudine all’accoglienza dei lampedusani c’è, in fondo alla banchina del porto nuovo affollato di gozzi, il monumento Porta di Lampedusa opera di Mimmo Paladino, dedicato proprio alla memoria dei migranti che nel mare hanno perso la vita tentando di raggiungere l’Europa; una testimonianza da consegnare, secondo i suoi ideatori Giorgio Armani e Arnoldo Mosca Mondadori, alla memoria delle generazioni future.
Lampedusa è certo tutto questo, ormai. Ma è anche una gran bella destinazione per chi ama la natura, il mare – sopra e sotto –, la solitudine, il vento e soprattutto la luce. Il vento qui è di casa. Dopo tre giorni di libeccio con raffiche violente, il mare finalmente questa notte ha consentito l’uscita dei pescherecci. È tardo pomeriggio sul lungomare di via Cameroni, la strada che costeggia il porto nuovo, nell’aria l’odore di legno vecchio e salsedine sembra provenire dal vicino deposito dei barconi, divenuti ormai legno marcio: sono quelli sequestrati in questi anni alle decine di scafisti che hanno trasportato i migranti col loro carico di sogni. Sulla banchina una decina di persone aspettano che rientrino le imbarcazioni col loro carico. «È stata una buona pesca» commenta Pietro con la sua esperienza di pescatore di lungo corso.
Lunga meno di 11 chilometri e larga al massimo 3,5 circa, l’isola di Lampedusa ha due facce: la costa settentrionale alta e accidentata con falesie bucate da grotte e faraglioni, con le onde che si infrangono le une sulle altre lasciando striature di schiume bianche e, tra le pietraie, coraggiosi cespugli di timo e malva che cercano di resistere al vento sempre teso. Come a Capo Grecale, con il faro a strapiombo sul mare che dà luce, visibile da molte miglia di distanza, e guida le navi in questo difficile tratto di mare, disseminato di scogli e secche. La costa meridionale è invece frastagliata e dà spazio a spiagge piccole ma splendide come quella della Guitgia, praticamente in paese ma che, grazie a correnti particolari, regala una sabbia candida e un’acqua di straordinaria trasparenza. Si susseguono Cala della Madonna, Cala Croce, Cala Greca, fino alla più nota e frequentata: la spiaggia dei Conigli, un luogo incantevole, considerata tra le dieci più belle al mondo e che non lascia indifferente i visitatori. Appare all’improvviso dall’alto del sentiero affiancato di asfodeli in fiore, chiusa tra ripide pareti rocciose con la sabbia bianca e il mare di un colore e trasparenza eccezionale che la fa assomigliare a uno spicchio di Caraibi. All’estrema destra, ben mimetizzata, la casa buen retiro di Domenico Modugno che qui, chissà, secondo alcuni avrebbe tratto l’ispirazione per i suoi versi più famosi «nel blu dipinto di blu» di Volare. E proprio qui si trovava quando, il 6 agosto 1994, volò via per sempre.
Due i modi per raggiungere la spiaggia dei Conigli: a piedi seguendo un sentiero largo (è vietato uscire dal percorso), che serpeggia tra la macchia profumata, o in barca, da debita distanza (sono vietati l’attracco e lo sbarco) accolti da nuvole di gabbiani reali che vivono sul piccolo isolotto dei Conigli, riserva naturale e luogo di nidificazione. Questa spiaggia, una volta all’anno diventa la nursery della tartaruga marina Caretta caretta, ormai in pericolo di estinzione. Nelle tiepide notti di maggio le tartarughe depongono le uova sotto la sabbia. Una volta localizzata l’area della posa, i volontari del Wwf delimitano la zona per impedire “invasioni di campo” e far sì che si avveri il miracolo: 150 uova che si schiudono a settembre per dare modo alle piccole creature di raggiungere il mare. Merita una visita il Centro recupero tartarughe di Lampedusa, aperto dal 2009, che si trova vicino alla stazione marittima di Porto Vecchio. Si tratta di un vero e proprio ospedale con sala operatoria, che cura e riabilita gli animali marini per ami ingoiati, o per blocchi intestinali dovuti alla plastica ingerita, scambiate dalle tartarughe per meduse, loro cibo preferito. Daniela Freggi, dinamica direttrice del centro, con l’aiuto di volontari, accompagna i visitatori per spiegare la piccola mostra a carattere divulgativo-scientifico, utilissima per apprendere notizie e curiosità sulla vita delle tartarughe e sulle problematiche dell’ambiente marino. Ai più fortunati può capitare di assistere alla liberazione di un animale in mare aperto, tra l’incredulità dei bagnanti, com’è successo a settembre a Cala Croce.
Il centro abitato di Lampedusa si sviluppa tutt’intorno al porto nuovo e a quello vecchio, che, con corso Roma è il cuore pulsante e vivace della notte dell’isola. Qui ci si ritrova per un drink, seduti in uno dei tanti localini, rinfrescati dalla brezza serale, o per assaggiare i piatti tipici, fortemente influenzati dalle varie dominazioni che si sono succedute e dalla vicinanza alla costa africana. I piatti sono segnati dal sapore intenso della cucina mediterranea e in ogni trattoria e ristorante si gustano specialità di pesce particolarmente saporite, abbinate a ingredienti della terra come capperi, finocchietto selvatico e timo. La storia geologica di Lampedusa ci dice che l’isola poggia sulla piattaforma continentale africana, Linosa al contrario è di origine vulcanica e fa parte del sistema geologico siciliano.
Diverse nella nascita, diverse nella natura, Lampedusa e Linosa, distano tra loro un’ora di aliscafo. Nell’antichità Lampedusa fu approdo di vari popoli che navigavano nel Mediterraneo (da Greci e Fenici fino ai saraceni); nel Cinquecento diventò rifugio di pirati e briganti tra cui spicca il nome del corsaro turco Dragut. La svolta giunse nel 1843, quando, per ordine di Ferdinando V, re del Regno delle due Sicilie, il capitano di fregata Sanvisente colonizzò Lampedusa. Nel 1860, in seguito alla caduta del Regno delle due Sicilie, anche le isole Pelagie furono unite al Regno d’Italia. Linosa, poco più che uno scoglio vulcanico, è stata a lungo abitata soltanto da pochi e coraggiosi Romani e Arabi, come si evince dal ritrovamento di cisterne per acqua, ma per lo più era usata come punto d’appoggio dai corsari durante le loro scorrerie nel mare siciliano. Colpiscono, quando si arriva al piccolo paese, 450 anime, tutto concentrato nelle vicinanze del molo, i colori accesi delle case, abitudine cominciata 150 anni fa, da quando l’isola fu popolata per ordine dei Borbone e i primi coloni cominciarono questo singolare modo di abbellire le loro casette. Anche nell’entroterra, che si può raggiungere con una facile passeggiata, Linosa sorprende per i filari dei vigneti che utilizzano come frangivento ordinati allineamenti di fichi d’India e, nelle parti più elevate, per la presenza di antiche colate laviche colonizzate da enormi piante di capperi.
La piccola isola è la punta emergente di un cono vulcanico che, col monte Nero, raggiunge l’altezza di 198 metri. Un paradiso per chi ama le immersioni, con l’acqua sempre limpida e subito profonda, perché il cono vulcanico s’inabissa a 300-400 metri di profondità già a un chilometro dalla riva e sprofonda a mille metri poco più in là. L’ultima eruzione, che ha formata Cala Pozzolana, risale a duemila anni fa, cosa che non spaventa affatto Rita e Giorgio che hanno deciso di sposarsi e stabilirsi qui definitivamente, portando un po’di musica e gioia per le stradine del silenzioso borgo. Un ultimo bagno nel mare davanti alla spiaggia dei Conigli a Lampedusa prima di ripartire, accerchiati da pesci di tutte le fogge, le ultime bracciate nelle decine di sfumature di blu, per godere ancora un po’ di quest’isola il cui nome oggi evoca immani sofferenze, ma rimane un luogo di innegabile, sovrumana bellezza.