di Paolo Martini
Se il mare “lava via tutti i mali”, i monti fanno rinascere. Il dilemma che colpì anche Herman Melville
Mari o monti? Anche se può sembrare solo un logorato dilemma del vacanziere, è un quesito tutt’altro che banale. In apertura di un’interessante mostra che si è chiusa a inizio 2019 sul mare e l’Europa, al Deutsches Historisches Museum di Berlino, si leggeva una celebre frase che Euripide fa pronunciare a Ifigenia (Ifigenia in Tauride): «Il mare lava via tutti i mali degli uomini». L’idea greca di una funzione rigeneratrice della sfida dell’uomo a questo elemento si riverbera anche nelle parole di Sofocle, in Antigone: «Molti sono i prodigi, ma nulla è più prodigioso dell’uomo, che varca il mare canuto, sospinto dal vento tempestoso del sud, penetrando fra le ondate che infuriano attorno». Se si guarda più a Oriente, dove ogni significato non è univoco ma contiene una correlazione, viene spontaneo citare il caso della lingua cinese, dove l’ideogramma relativo alla nostra parola paesaggio, si rappresenta nel binomio shan-shui, che sta per montagne e acque, alto e basso. Lo nota un grande sinologo come Francois Jullien, nel saggio intitolato Quella strana idea di bello (ed. il Mulino, 2012), dove spiega come addirittura il concetto stesso del bello, in Cina e in Giappone, sia arrivato soltanto alla fine dell’Ottocento, importato dall’Europa. Prima, il termine cinese che oggi si usa per bello, me˘i, trascrizione fonetica di un’ideogramma, aveva numerosi significati. Saltando alle radici moderne della nostra civiltà occidentale, e a un grande autore americano celebre per le sue storie marine, ecco la soluzione al dilemma del vacanziero suggerita da Herman Melville: «Viaggiare verso una natura grande e generosa è come una seconda nascita.
Tende a insegnare una profonda umiltà e al tempo stesso allarga la sfera della comprensiva benevolenza fino a includere l’intera razza umana». La frase fa parte di una conferenza intitolata Sui Viaggi: Gioie, Dolori e Profitti, il cui testo è datato 1859-60, anche se è stato tradotto appena nel 2013 in italiano, con altri inediti di Herman Melville raccolti sotto il titolo Viaggi e balene dalla raffinata casa fiorentina Edizioni Clichy. In realtà, nonostante la gioventù per mare, l’autore di Moby Dick nella maturità aveva sviluppato una grande passione per la montagna, in particolare per il Greylock e le cime intorno che si vedono nel parco naturale del Massachusetts (nelle foto sopra). Del resto, come nota Francesco Bagatti, il romanzo più sfortunato ma forse anche più grande di Melville, Pierre o delle ambiguità, è esplicitamente dedicato “alla maestà sovrana del Greylock” e, secondo alcune indicazioni di Melville stesso, questa montagna è stata tra le principali fonti d’ispirazione anche per la stesura dell’epopea della Balena bianca. Il Greylock, che è la vetta più nota dei monti Appalachi, nella contea di Berkshire, ha conosciuto una certa fama letteraria a metà Ottocento. Era una delle mete predilette di Hawtorne (Melville andò a vivere a Pittsfield proprio per stare vicino al maestro de La lettera scarlatta) e anche Henry David Thoreau, prima di scrivere Walden ovvero Vita nei boschi, volle trascorrere una solitaria notte all’addiaccio sul Greylock. Settanta chilometri di sentieri bene indicati nel parco lo rendono ancora oggi una montagna molto frequentata. E chissà se qualcuno vede ancora le ombre di Achab o di Ismaele così lontano dall’oceano Atlantico.