Una foto, una storia. Il sapore (perduto) di Aleppo

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II suq più grande del mondo è stato distrutto dai bombardamenti dell’artiglieria siriana nel 2012: c’erano oltre 4mila negozi lungo 13 km di stradine coperte. Oggi prova a rinascere, anche se la guerra civile siriana non accenna a finire

Era il suq più grande del mondo, l’Al-Madina di Aleppo. Nel cuore della città vecchia, tre le mura della Medina, si dipanavano oltre tredici chilometri di stradine lunghe e strette, ricoperte di mercanzie e assiepate di gente. Stradine lungo le quali si affollavano oltre 4mila stalli di artigiani e venditori che al suq avevano casa da secoli. All’interno c’erano una quarantina di Khan, i caravanserragli – molti dei quali risalgono al XIV secolo – dove si fermavano i mercanti e le loro carovane. Il suq di Aleppo era un luogo di sorprese e odori, un mondo in continuo fermento. Negli anni d’oro dell’Impero Ottomano sotto lo stesso tetto si trovavano mercanti dall’India e dall’Egitto, da Venezia e da Samarcanda: Aleppo allora rappresentava il baricento dei commerci tra Oriente e Occidente. Incontrandosi scambiavano saperi, ma soprattutto una cornucopia di oggetti: spezie e sete d’Oriente, metalli preziosi e tessuti dall’Europa, e poi pellami, lane e saponi. I celebri saponi di Aleppo in puro olio d’oliva erano prodotti in una zona dedicata del grande suq, l’al-Saboun. Ogni settore aveva una sua storica specializzazione: il suq Khan al-Nahhaseen, per secoli è stato il fulcro della lavorazione del rame; nel suq Khan al-Wazir – costruito nel 1682 – si commerciava il cotone; al al-Attareen vendevano le spezie; al suq al-Dira’ si concentravano i sarti. Ovunque brulicava vita, ovunque si potevano sentire storie lunghe secoli, ovunque si perpetuava il mito di Aleppo e delle sue genti, i più grandi mercanti in un Paese di mercanti.

Oggi il suq di Aleppo non esiste quasi più. Ha preso fuoco sette anni fa, centrato dai tiri d’artiglieria tra la fine di settembre e l’inizio d’ottobre del 2012, un anno dopo lo scoppio della guerra civile siriana. Perché le guerre fanno vittime – oltre 400mila in questo caso, cui si sommano 5,6 milioni di sfollati –, ma fanno vittime anche tra i monumenti, lasciandosi alle spalle una scia di macerie. Distruggendo in una settimana di scontri quello che è stato costruito in secoli di storia.

Ma anche se la guerra non è ancora finita qualcosa si muove, ad Aleppo. Mohammad Shawash è uno dei commercianti che ha riaperto il suo bugigattolo nel suq Khan al-Harir, quello una volta dedicato alle sete. Lui vende tovaglie di plastica, ma gli affari non vanno, perché ad Aleppo non è rimasto quasi nessuno che possa comprare alcunché. Ma come lui altri commercianti hanno sistemato alla bell’e meglio il proprio spazio per provare a far tornare la vita in quella che fino al 2016 era la linea del fronte. Da un lato gli insorti, dall’alto i militari fedeli ad Assad. Oggi la città è tornata in mano delle truppe governative, sebbene non distante si continui a sparare. Eppure gli spari, si direbbe, non riescono a bloccare il fervore del suq di Aleppo, che per secoli ha rappresentato la stessa ragion d’essere della città. L’Aga Khan Trust for Culture ha deciso di investire 45 milioni di dollari per restaurare il suq al Saghir, la vicina moschea degli Omayyadi e il grande minareto. Quel che resta della brulicante Aleppo e del suo suq provano a rialzarsi.

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