di Clelia Arduini | Foto di Paolo Cerroni
Cambiano i vertici dell'Enit, la prima intervista al nuovo presidente Giorgio Palmucci
Alla guida di Enit, l’Ente Nazionale del Turismo, che quest’anno compie cento anni, arriva uno che il turismo lo mastica da trent’anni. Si chiama Giorgio Palmucci (nella foto a destra), 57 anni, già presidente di Aica, Associazione Italiana Confindustria Alberghi, e vicepresidente di Federturismo. La sua esperienza sarà sufficiente a cambiare un ente potenzialmente strategico per la nostra economia, che molti prima di lui hanno cercato di far funzionare con scarsi risultati? L’ultima drastica cura avrebbe dovuto trasformarlo in una Ferrari e invece è rimasto un’anonima utilitaria. Non sono bastati il commissariamento, il cambiamento giuridico in ente pubblico economico, la cura dimagrante del personale. Tutto ciò ha creato ulteriore caos e immobilismo. Ora si volta pagina.
Palmucci, che cosa secondo lei non ha funzionato finora e che cosa serve all’Enit per svolgere bene il suo lavoro?
In cento anni di storia, l’ente non ha avuto le capacità per organizzarsi in funzione dei cambiamenti epocali che ci sono stati nel mondo del turismo; con il commissariamento poi si è perso tempo prezioso per ripartire e recuperare il ritardo che si era accumulato. Penso alla difficoltà causata dal referendum, con cui il turismo è stato affidato alle regioni. Ora la prima cosa da fare è lavorare sul piano triennale collegato al Piano strategico del turismo del Ministero delle politiche agricole alimentari forestali e del turismo. Quindi mi renderò conto se l’organizzazione della struttura sarà in grado di adempiere questi compiti o se sarà necessario fare integrazioni o altro.
Come può Enit essere unitario nella sua politica estera del turismo, dovendo rapportarsi a innumerevoli identità regionali?
Il lavoro di Enit deve essere di coordinamento, confronto e dialogo con le Regioni mettendo a fattore comune i punti di forza del territorio, ma il brand promosso all’estero è quello dell’Italia nel suo insieme plurale. Per conquistare nuovi mercati bisogna correre uniti. I turisti brasiliani o cinesi, per esempio, sanno che il nostro Paese si trova in Europa, pochi però conoscono Roma e Venezia. Figurarsi se sono a conoscenza delle regioni e delle meravigliose località di provincia, come Todi di cui sono originario.
Molti operatori del settore chiedono da anni di ricostituire il Ministero del Turismo. Qual è la sua idea?
Come persona, e non come presidente dell’Enit, ritengo che il turismo che rappresenta più del 12 per cento del Pil meriterebbe un ministero ad hoc, che però fu per referendum abolito dagli italiani. Detto questo, penso sia preferibile un ministero con portafoglio ancorché abbinato al Mibac e ora alle Politiche agricole, piuttosto che un dicastero senza portafoglio o un sottosegretario o quando era abbinato allo sport e allo spettacolo. Senza levare niente a questi settori, è il turismo, con potenzialità ancora inespresse, che può far crescere il nostro Pil, che può dare una forte mano alla disoccupazione giovanile perché forma e fa crescere i giovani, anche con attività stagionali, legate ai settori balneare e montano, ma che comunque danno uno sbocco a chi esce dalle scuole superiori.
Toccherà a lei realizzare le grandi incompiute di Enit, come l’Osservatorio nazionale e un hub nazionale per l’innovazione digitale.
Saranno tra i temi fondamentali che dovremo affrontare. Ormai nulla funziona se mancano i dati. La digitalizzazione su numeri certi, che arrivano in tempi utili, è un elemento portante, si vedrà poi in che modo procedere e approfondire il discorso sul sistema unico di prenotazioni, su cui ho qualche perplessità.
Che cosa desidera il turista straniero quando viene in Italia?
Desidera provare emozioni e il nostro Paese ha tutto per suscitarle: la cultura, l’enogastronomia e lo stile di vita; siamo leader anche dello shopping tourism: il Made in Italy, soprattutto nella moda e nel design è richiestissimo. Sembrerebbe facile vendere all’estero un Paese meraviglioso come l’Italia… È prima di tutto una questione di risorse, priorità e coordinamento. Ho visto i risultati ottenuti dagli enti del turismo in Spagna, Francia, Austria, Portogallo. Quest’ultimo, per esempio, che oltre a Lisbona ha poco se confrontato con l’Italia, ha puntato sul golf e ha funzionato. Noi forse abbiamo troppo e ci siamo dispersi. Dobbiamo impegnarci di più a unire e a raccontare il nostro prodotto con azioni coordinate.
Quale altro Paese al mondo, per esempio, possiede Civita di Bagnoregio o Castellabate? M
a ovunque ci sono storie e bellezze da raccontare. Basta lavorare. Il sito dell’ambasciata italiana a Mosca, che ogni settimana pubblica informazioni turistiche sul nostro Paese, è affamato di notizie, eventi, manifestazioni Made in Italy, ma le regioni stentano a mandarle. L’Enit e il Tci, il primo 100 e il secondo 125 anni, sono due giganti del turismo. Come si può concretizzare questa alleanza, iniziata negli anni Venti del secolo scorso e poi ripresa negli ultimi anni? A mio avviso una delle occasioni mancate è stata proprio una collaborazione forte tra il Tci ed Enit. Il Touring, con il suo prezioso patrimonio di conoscenze, potrebbe essere di supporto e di aiuto nelle azioni di contenuto dell’agenzia. Mi muoverò sicuramente in questo senso.