di Valerio Magrelli
Stretto tra le Ande e il Pacifico, è un Paese dalla natura sconvolgente, con deserti salati e montagne innevate. Paesaggi celebrati dal primo Nobel della letteratura latinoamericano
Se è vero che le Ande dividono in due l’America Latina in senso verticale, è anche vero che lo fanno in maniera estremamente asimmetrica. Dal lato orientale abbiamo infatti le sterminate distese del Brasile, dell’Argentina e di altri Paesi più piccoli, mentre l’area occidentale si fa sempre più esigua scendendo verso Sud, per trasformarsi nel Cile. Unica al mondo per la sua conformazione, questa lunga e strettissima lingua di terra è stata in certo modo tagliata fuori dalla nostra visuale europea. Certo, la colonizzazione non l’ha risparmiata, dando spazio addirittura a insediamenti tedeschi e protestanti, singolare presenza nella cattolica America Meridionale. Rispetto al versante più conosciuto, “l’altro lato della Cordigliera” è in ogni caso rimasto nell’ombra. Tutti noi ricordiamo, nel Cuore di De Amicis, il racconto intitolato Dagli Appennini alle Ande, ma quelle Ande indicavano appunto il versante argentino. Questo per dire quanto resti tuttora ignoto un Paese come il Cile, purtroppo tristemente famoso per le atrocità compiute negli anni Settanta dal regime di Pinochet. L’indicazione è importante, perché, come vedremo, proprio a quel tragico periodo si legano alcuni fra i massimi monumenti del Paese, ossia le tre case di Pablo Neruda, primo premio Nobel sudamericano per la letteratura (1971). Ma andiamo con ordine. Ovviamente, per visitare questo Paese, servirebbero intere settimane, tra Nord, Centro, Sud – un caso a sé la spendida Isola di Pasqua. Chi disponesse di una dozzina di giorni, potrebbe comunque farsene un’idea saltando (con dolore) la parte meridionale e insulare, per iniziare dal settentrione.
Mi riferisco al mirabile deserto di Atacama, che si raggiunge grazie all’aeroporto di Calama, a due ore di bus dal paesino di San Pedro, ottima base per alcuni giorni. Si tratta di un deserto tra i più asciutti e meno illuminati della Terra, il che spiega l’esistenza di numerosi osservatori astronomici e la diffusione di un nutrito turismo stellare, con notti dedicate a scrutare un cielo di impressionante fulgore. Riguardo al vestiario, dato che le temperature oscillano tra i 5° C e i 40° C, cosa portarsi? Tutto: dal costume per i bagni termali al piumino per visitare i geyser. Limitata ma spettacolare la fauna (con volpi grigie e branchi di vigogna), scarsa la flora, a eccezione delle cactacee (benché la superficie fiorisca di colori fra dicembre e gennaio). Nel pomeriggio del primo giorno si fa un giro in bicicletta nel villaggio, e dall’alba di quello successivo si comincia, affittando un pulmino con autista: ci aspettano centinaia di chilometri da percorrere in macchina, spesso su strade battute ma mai disagevoli. Ottima l’organizzazione complessiva: ci fermeremo nei piccoli centri di Toconao e Socaire, arrivando a 49 chilometri dal passo Sico, che segna il confine con l’Argentina. Si comincia con il Salar de Atacama, un immenso, torrido e multicore lago salino, pieno di fenicotteri. La vera sorpresa arriva poco dopo, con le cosidette Lagunas Miscanti y Miñiques, piccoli laghi rotondi color cobalto. Toccante la visione, con la solenne corona di monti innevati. Molto pungente il freddo. Eppure non è ancora tutto, poiché si resta letteralmente senza fiato di fronte alle Piedras Rojas, un ennesimo lago, ma questa volta grande, tra rocce rosse e acque di un verde tenue, flagellate da venti furibondi.
Tornati a San Pedro, ci aspettano alberghi spartani ma con bei bungalow, piscine e ristoranti incantevoli. Attenzione, però: oltre a essere la nazione più sicura dell’intero continente, il Cile è anche la più cara in assoluto. Quindi, prezzi europei, anzi, direi tedeschi, così come tedesco è in parte il carattere di questo strano popolo: non per niente, il suo esercito sconfisse da solo quelli alleati di Perù e Bolivia, proprio per conquistare la regione di Atacama (1879-1884). E ora la grande gita. Ci si muove alle 4 di mattina, per salire a 4mila metri di altitudine. Dovremo infatti vedere decine di geyser nel gelo, fino ai 10°C sotto zero. Prima che sorga il sole, il quadro appare irreale, tra torri di vapori, getti di fumo, e un paesaggio lunare (naturalmente set di molti film). Ma basta poco, e arriva il solleone, con 30°C. Ora è il momento di visitare le terme. Quando la folla le riempie, allora conviene avventurarsi a piedi lungo alcuni corsi d’acqua, come il fiume Purifìca, dentro canyon intricati e solitari. La guida, inutile ripeterlo, risulta indispensabile. Il deserto meriterebbe anche più di una settimana, comunque, prima di lasciarlo, è obbligatorio visitare almeno la valle della Morte (paesaggi senza pari) e soprattutto la vertiginosa valle della Luna, con rocce che strapiombano su una lunga distesa di sabbia dolcissima. Per finire, il tramonto sulle Ande. Certo, il turismo è di massa e lo si avverte, eppure la bellezza di questi luoghi supera gli inevitabili fastidi della calca, come dimostra appunto questo crepuscolo su un cielo sempre più simile a un campionario di colori. Ecco venuto il momento della capitale, Santiago del Cile, non troppo appariscente, soffocata di grattacieli, e tuttavia con angoli incantevoli, a cominciare dal minuto quartiere Lastarria, ricco di ristoranti che vanno visitati con la stessa attenzione del magnifico Museo Precolombiano (a poche centinaia di metri).
Mi riferisco ai bei locali in legno del Sur Patagonico, alle prelibatezze peruviane del Tambo, e infine alle ampie sale della Repùblica del Pisco, dal nome della bevanda nazionale. È da questo distillato d’uva prodotto solo in Cile e Perù che si ricava il leggendario “pisco sour”, uno squisito cocktail ghiacciato che prevede l’aggiunta del bianco d’uovo. Quanto al cibo: pesce, pesce e… ceviche, una ricetta a base di pesce e frutti di mare crudi o marinati nel limone, condita con peperoncino e coriandolo. Più lontana dal centro, ma imperdibile, la Peluqueria Franzesa, un negozio di barbiere trasformato in ristorante. Dopo di che, vale la pena fare una passeggiata al Cerro Santa Lucia (un delizioso parco primi Novecento), evitando così la lunga fila che porta alla teleferica del più vasto Cerro San Cristóbal. Qui arriviamo a uno dei monumenti nazionali cui si è accennato, ossia la prima delle tre case di Neruda. Costruita non lontana dall’attuale università, in una zona vivace e popolare, La Chascona venne iniziata dal poeta nel 1953 per un amore allora segreto, Matilde Urrutia. La sua particolarità dipende dal fatto che il proprietario ideò le stanze in maniera estemporanea, costruendole intorno a qualche oggetto che gli piaceva (un quadro, una finestra o una poltrona). Da qui il carattere bizzarro e allegro del luogo, con scale e scalette, terrazze e mansarde, un’atmosfera unica. Delle tre abitazioni, questa fu la più sfortunata, anche se la ricostruzione è fortunatamente risultata impeccabile; infatti, dopo la morte di Neruda (di pochi giorni successiva all’assassinio del presidente Salvador Allende), l’edificio fu saccheggiato e allagato. Del resto, per avere idea delle ben più gravi devastazioni causate da Pinochet, basta una visita alla terribile “Casa della memoria”, sempre a Santiago, con documenti che gelano il sangue.
Ecco venuto il momento della capitale, Santiago del Cile, non troppo appariscente, soffocata di grattacieli, e tuttavia con angoli incantevoli, a cominciare dal minuto quartiere Lastarria, ricco di ristoranti che vanno visitati con la stessa attenzione del magnifico Museo Precolombiano (a poche centinaia di metri). Mi riferisco ai bei locali in legno del Sur Patagonico, alle prelibatezze peruviane del Tambo, e infine alle ampie sale della Repùblica del Pisco, dal nome della bevanda nazionale. È da questo distillato d’uva prodotto solo in Cile e Perù che si ricava il leggendario “pisco sour”, uno squisito cocktail ghiacciato che prevede l’aggiunta del bianco d’uovo. Quanto al cibo: pesce, pesce e… ceviche, una ricetta a base di pesce e frutti di mare crudi o marinati nel limone, condita con peperoncino e coriandolo. Più lontana dal centro, ma imperdibile, la Peluqueria Franzesa, un negozio di barbiere trasformato in ristorante. Dopo di che, vale la pena fare una passeggiata al Cerro Santa Lucia (un delizioso parco primi Novecento), evitando così la lunga fila che porta alla teleferica del più vasto Cerro San Cristóbal. Qui arriviamo a uno dei monumenti nazionali cui si è accennato, ossia la prima delle tre case di Neruda. Costruita non lontana dall’attuale università, in una zona vivace e popolare, La Chascona venne iniziata dal poeta nel 1953 per un amore allora segreto, Matilde Urrutia. La sua particolarità dipende dal fatto che il proprietario ideò le stanze in maniera estemporanea, costruendole intorno a qualche oggetto che gli piaceva (un quadro, una finestra o una poltrona). Da qui il carattere bizzarro e allegro del luogo, con scale e scalette, terrazze e mansarde, un’atmosfera unica. Delle tre abitazioni, questa fu la più sfortunata, anche se la ricostruzione è fortunatamente risultata impeccabile; infatti, dopo la morte di Neruda (di pochi giorni successiva all’assassinio del presidente Salvador Allende), l’edificio fu saccheggiato e allagato. Del resto, per avere idea delle ben più gravi devastazioni causate da Pinochet, basta una visita alla terribile “Casa della memoria”, sempre a Santiago, con documenti che gelano il sangue.
Lasciamo dunque la capitale con l’idea di completare il trittico Neruda. Circa 4 ore di auto ci separano da Valparaíso (che qui tutti chiamano semplicemente “Valpo”), la quale, se da una parte deve il suo nome al navigatore Giovanni Battista Pastene (1507-1582), italiano ma al servizio della flotta spagnola, dall’altro, poco dopo la sua fondazione, fu depredata dal famigerato corsaro inglese Francis Drake. Con le sue ripide colline (i cerros), con le sue fittissime casette policrome, la cittadina sembra un ventaglio multicolore sul Pacifico. Non per niente, nel 2003, il suo centro storico è stato dichiarato Patrimonio dell’umanità dall’Unesco. È bello camminare tra il porto, le varie funicolari (ascensores), i trolleybus, bello ma faticoso: meglio perciò rivolgersi a una guida che ci accompagni in macchina per stradine piene di fascino e, ripetiamolo, che non riservano al turista spaesato alcun tipo di pericolo. Tra le tante colline (42, cioè sei volte i 7 colli di Roma!), si segnalano Cerro Pantéon, Cerro Bellavista e, per i suoi murales, Cerro Polanco, mentre, tra i ristoranti, spicca il “Fauna”. Ma, si sarà capito, qui la cosa migliore è smarrirsi nel dedalo di scorci e di gradazioni luminose.
Tornati soli, possiamo finalmente dedicarci alla visita della Sebastiana, ovvero la seconda casa di Neruda. Più suggestiva della prima? Difficile a dirsi. Certo, anche questa ha un panorama supremo, che spazia su tutta la baia. Le sue stanze racchiudono un’inverosimile collezione di “cose”: foto, sculture, dipinti, un bric-à-brac caotico, talvolta kitsch, ma francamente irresistibile – e il pensiero va al nostro Vittoriale di D’Annunzio sul Lago di Garda… Arrivati a questo punto, non resta che concentrarsi per l’ultima tappa dell’itinerario nerudiano: la casa di Isla Negra (decisamente la più grande, straripante e bella fra le tre, non fosse altro che per le polene lignee e la collezione di bicchieri). Sulla costa pacifica, però, oltre Neruda vive la Ciudad Abierta, un’utopia architettonica sorta da uno scenario selvaggio nel 1971. Frutto di una straordinaria esperienza culturale e politica, guidato dalla ricerca di nuovi linguaggi abitativi, l’insediamento consta di quasi 50 strutture (tra laboratori, luoghi di riunione, residenze per famiglie e studenti, opere all’aperto).
Occhio però ai parcheggi non custoditi, visto che i furti nelle auto sono piuttosto frequenti. E non è tutto, visto che, nel giro di pochi chilometri, il cosiddetto Litoral de las Artes y los Poetas accoglie le abitazioni di altri due grandissimi poeti cileni, Vicente Huidobro (1893-1948) e Nicanor Parra (1914-2018), nonché quella della sorella di quest’ultimo, la celeberrima cantautrice e pittrice Violeta Parra. Insomma, siamo davvero nel cuore di un paese che rappresenta l’altra faccia delle Ande, più sottile, più defilata, talvolta trascurata, ma non per questo meno affascinante.