di Isabella Brega | Foto di Mauro Parmesani
Tra vigne, uliveti e masserie da Cutrofiano a Grottaglie, dove botteghe e laboratori mantengono in vita le antiche tradizioni della ceramica
Lente, sicure, carezzevoli le mani bagnate di Valentina circondano la base di legno girevole del tornio, accompagnando lo sbocciare di un vaso da un blocco inerte di creta. Quelle mani, che aspirano alla perfezione ma non hanno paura di confrontarsi con l’errore, la rottura, il fallimento, danno forma alla bellezza. Difendono, abbracciano e impastano insieme all’acqua e all’argilla anni di apprendistato in bottega, storie di famiglia, forme, saperi e valori antichi. Il senso di un territorio, la ricchezza del passato. La speranza del futuro. Qui a Cutrofiano (Le), dove risuona ancora l’eco di un dialetto di origine greca, il griko, in quella Grecìa Salentina indecisa fra lo Ionio e l’Adriatico, nella bottega Andriani, una delle molte che rendono onore a questa cittadina dalle tradizioni tenaci, allo stesso modo masserie, vigne e uliveti circondano un abitato fatto di stradine immacolate lastricate a chianche, un pugno di edifici storici dai portali possenti e capricciosi, come Palazzo Bucci o Palazzo Calò, e moderne costruzioni a un paio di piani, strette le une alle altre, spesso coronate da terrazze.
Cuore e vanto di Cutrofiano, oltre alla Chiesa Madre, con i suoi elaborati altari laterali in pietra leccese e un dipinto di Francesco Solimena, e alla tardo barocca Congrega dell’Immacolata, a pianta ottagonale e dalla fastosa decorazione che ingabbia la parte superiore delle pareti esterne, il Palazzo Ducale, testimonianza in pietra locale del potere dei suoi ultimi signori a partire dal 1664, i Filomarini, di origine napoletana. Sobria ma elegante rielaborazione seicentesca di Francesco Manuli di un preesistente castello, sfoggia i suoi doccioni antropomorfi, i balconi traforati che si affacciano su piazza Municipio e il piccolo cortile ancora da valorizzare, così come parte del monumentale edificio. Dopo anni di abbandono, infatti, la storica costruzione è stata parzialmente recuperata dall’amministrazione comunale, che l’ha destinata a ospitare il Museo della Ceramica, appena rinnovato, e in estate la Mostra-mercato della ceramica artigianale.
La bella raccolta, istituita nel 1985 per conservare la memoria storica di generazioni di artigiani da Salvatore Matteo, espressione di quegli eroici studiosi locali che continuano ad alimentare la cultura anche nelle realtà più piccole d’Italia, restituisce l’importanza che Cutrofiano ebbe in questo campo fin dalla preistoria. In un percorso dall’antichità ai giorni nostri, espone fra gli altri frammenti messapici e romani, attrezzi e strumenti per la lavorazione della terracotta, ceramiche dipinte e maioliche prodotte nell’Italia meridionale fra il XVII e il XIX secolo, fra le quali molti pezzi provenienti dalle altre due Città della Ceramica pugliesi, Laterza e Grottaglie. E ancora piatti, mattonelle, albarelli, vasi in uso fino a una manciata di decenni fa, oltre a curiosi porta neonati simili a quelli oggi utilizzati per gli ombrelli. Non manca neanche una collezione di fischietti, donata da Mario Briosi. Una produzione secondaria delle botteghe locali, continuata oggi con inventiva e originalità da Blanco Gianni Franco nella sua Casa del Fischietto. Venduti nelle fiere per la gioia dei più piccoli, erano accompagnati da quelli di un particolare tipo che, riempito d’acqua, era utilizzato dai cacciatori come richiamo per gli uccelli.
Se molte botteghe storiche di umili ma capaci cotimàri (lavoratori della creta) come Cesàri, Alfeo, Antonaci, Galeone, hanno chiuso i battenti perché i figli hanno preso strade diverse (con la distruzione, nel caso della produzione di pupi da presepe, di tutte le matrici e i calchi per non farli cadere nelle mani dei concorrenti), Cutrofiano, legato fino a qualche decennio fa anche al comparto della calzatura, vanta ancora laboratori di qualità come le Maioliche Maglio, con le originali e raffinate decorazioni di Emanuele Maglio a motivi floreali che si rincorrono sulle superfici di vasi, piatti e lampade, o Salvino De Donatis, che prosegue la tradizione del padre Vito, colui che con le sue figure allungate e avvinghiate è passato dalla dimensione dell’artigianato a quella dell’arte. In piena attività anche Andriani, Benegiamo, Nuova Colì, maestri come Giovanni Russo o Giuseppe Colì e giovani come Danilo Parisi, Claudio Vergaro e Antonio Negro, che alimentano la speranza nel futuro di questa gloriosa tradizione. Di grande suggestione in occasioni particolari l’accensione della fornace settecentesca a legna della bottega di Donato e Antonio Colì, con la camera di cottura circolare scavata nella roccia che veniva chiusa con mattoni.
Se infatti il destino del Salento è nella pietra, Cutrofiano ha cercato con tenacia la propria fortuna e ha scritto il proprio destino nella e sotto la terra. Nelle cave di tufo, che per decenni hanno sostenuto l’economia del paese, ora abbandonate perché antieconomiche; nelle cave per la creta, fino al 1970 estratta nelle contrade Baccane, Trafise, dal Pozzo Dolce e ora acquistata nel Fiorentino. Ed è ancora la terra a custodire ai margini della cittadina, ai piedi di un’edicola con un affresco, un’antica testimonianza religiosa, la cripta bizantina di S. Giovanni, un ipogeo circolare con colonna centrale dell’VIII sec. d.C., con qualche traccia di affreschi. In contrada Lustrelle, a un chilometro circa dall’abitato, si trova invece una cava dismessa di argilla di 12 ettari, bonificata e trasformata nel Parco dei Fossili, con circa 8mila alberi. Una piacevole area verde da esplorare a piedi ma anche in bicicletta e dove, unico caso in Europa, è possibile osservare diversi strati geologici di origine marina, ricchi di quei fossili che si possono ammirare nel piccolo museo malacologico annesso.
Ultima tappa di questo tour sotterraneo di Cutrofiano lo splendido frantoio ipogeo del XVII secolo e la bottaia interrata dell’azienda agricola L’Astore, una masseria circondata da 100 ettari di ulivi e viti, che offre degustazioni e ospitalità nella propria foresteria. Se Cutrofiano si adagia placidamente fra campi e uliveti, Grottaglie (Ta) si slancia in alto, appoggiandosi su un gradone delle Murge tarantine che degrada verso il mare. Simile a una gigantesca torta nuziale la città, preannunciata dalla spettacolare gravina di Riggio (nelle cui grotte trovarono rifugio prima gli abitanti in fuga dalle incursioni dei Goti e dei saraceni e poi i monaci basiliani di rito bizantino) e dalle altrettanto spettacolari cave di tufo di Fantiano (ora teatro all’aperto), culmina nella possente mole del Castello Episcopio. La costruzione, con torre centrale, fu eretta alla fine del XIV secolo dall’arcivescovo di Taranto Giacomo d’Atri, cui si devono anche le mura cittadine e il rifacimento della Chiesa Madre, di fondazione romanica, come simbolo della potestà feudale ecclesiastica che, insieme a quella laica, governò la città per lungo tempo. Lungo i fianchi del castello, più volte ampliato e rimaneggiato, si arrampica il Quartiere delle Ceramiche, con le sue pile di anfore e giare accatastate sulle terrazze delle molte botteghe artigiane, in parte ospitate negli antichi frantoi ipogei, affollate di pumi (oggetti ornamentale a forma di pigne) e pupe (bottiglie a forma di donna opulenta e vistosamente abbigliata). La colata di botteghe e laboratori è punteggiata dagli edifici storici della città, la Chiesa Madre, con la cappella barocca di S. Ciro, il monastero delle Clarisse, il convento di S. Francesco da Paola, con il suo chiostro affrescato, la Chiesa del Carmine, che conserva un grande presepe di Stefano di Putignano del 1530, in pietra leccese policroma, uno dei più antichi d’Italia, Casa Vestita, con i resti di una chiesa rupestre e il santuario dedicato al santo locale, S. Francesco De Geronimo.
Nelle ex stalle del castello dal 1999 si trova il Museo della ceramica, con circa 400 manufatti che ripercorrono la storia ceramica di Grottaglie, favorita dall’abbondante presenza di argilla nel territorio, tanto che nel XV-XVI secolo la città divenne il maggior centro di produzione in Terra d’Otranto. Nelle sale, che ospitano in estate una mostra della ceramica e in inverno quella del presepe, si possono ammirare reperti archeologici, ceramiche tradizionali rustiche e più raffinate maioliche come i “bianchi di Grottaglie” del periodo barocco, con decorazioni verde marcio, giallo-arancio, azzurro e bruno manganese, ma anche pezzi contemporanei e presepi. Fra i nomi del passato, Francesco Saverio Marinaro, Ciro La Pesa, Domenico Caretta e Vincenzo Calò, che nel 1960, dopo anni di crisi del settore, fondò la prima fabbrica di tipo industriale e per la quale lavorarono molti maestri di Grottaglie e alcuni docenti della locale scuola d’arte, istituita nel 1887. Oggi i nomi sono fra gli altri quelli di Nicola Fasano, Rosaria Spagnulo, Domenico Pinto e Giuseppe Anti, figlio di Pietro, che ebbi modo di intervistare anni fa insieme all’altro figlio Lorenzo. Ricordo ancora l’incontro con quell’uomo semplice ma ricco di umanità e di cultura, specializzato nella produzione di maschere e vasi tratti da modelli antichi, che lo portarono a lavorare per molti musei. Incredibile l’evento che diede inizio alla sua collaborazione con il Metropolitan Museum di New York, l’istituzione che in seguito avvalorò la sua riscoperta delle antiche tecniche dei vasai attici e apuli. Durante un convegno a Taranto, Pietro conobbe un emissario del museo americano, che gli mostrò la foto di un bellissimo vaso greco appena acquistato dalla prestigiosa istituzione museale. Peccato che, come dimostrò il maestro descrivendone anche la parte che non compariva nella foto, non fosse un antico manufatto. Era uscito dalla sua bottega.