di Luca Caioli | Fotografie di Gianfranco Tripodo
A duecento anni dalla nascita del museo del Prado la capitale spagnola lucida i suoi tanti tesori e si rivela una città aperta e accogliente... non solo per i giovani, ma per tutte le generazioni
Scuse perfette per venire a Madrid? I duecento anni del Museo del Prado. I quattrocento della Plaza Mayor. I cento dall’arrivo, in città, di Federico García Lorca e della prima linea di metro. La finale della Champions League 2019. Una caña (birra chiara) e una tapa, al sole, nel Parco del Retiro, chocolate con churros (dolce tradizionale) a San Ginés quando è ancora buio. La gente di Madrid che poi di Madrid non è. Malasaña e Chueca, el Barrio de las Letras e los Jeronimos… E ci fermiano qui perché di ragioni per fare un giro nella capitale spagnola ce ne sono innumerevoli. Madrid non ha bisogno né del Colosseo, né della grandeur di Parigi, e nemmeno dei grattacieli di Manhattan per conquistare lo straniero. Chi scrive può dirlo a ragion veduta, dato che sono la bellezza di 18 anni che vive qui, a 667 metri sul livello del mare, nella Meseta meridionale ai piedi del Sistema centrale, nella città situata lungo il corso del fiume Manzanarre, tre milioni e mezzo di abitanti, la più popolosa della Spagna. Ma che cos’ha di speciale Madrid? Lasciamo stare, per il momento, musei, teatri, stadi, parchi, mostre, architettura e persino la gastronomia e l’enologia.
La cosa che più affascina il nuovo arrivato, il turista o lo studente Erasmus è il gusto per la vita, la voglia di vivere che si respira da queste parti. Rendersene conto è facile, basta uscire un venerdì o un sabato sera – ma anche un qualsiasi giorno della settimana con un tempo, che, come quasi sempre a Madrid, se non è bello è clemente. Basta fare quattro passi nel Barrio de las Letras, per esempio. Il cuore letterario della città, il quartiere de Las Musas, là dove, nel Siglo de Oro, erano vicini di casa Miguel de Cervantes, Lope de Vega e Francisco de Quevedo. Le strade lastricate e strette che rimandano a nomi di un antico passato (vedi Calle de las Huertas, la via degli orti) sono sempre affollatissime. Percorse da un popolo intergenerazionale, interclassista e internazionale; un popolo che ama, come si dice qui, disfrutar, godersi la vita, la notte, il cielo, la compagnia, l’amore e la città.
Madrid è intergenerazionale: ai tavoli di Plaza Santa Ana, sotto la facciata bianca dell’Hotel Me Madrid Reina Victoria un palazzo degli anni Venti con tocco modernista, non trovi solo i giovani, trovi anche le signore ottantenni che, uscite dalla chiesa dove hanno reso omaggio al Cristo di Medinaceli baciandogli i piedi, vanno a farsi una birretta alla Cervecería Alemana. Il locale che negli anni Cinquanta frequentavano Ernest Hemingway, il torero Luis Miguel Dominguín e Ava Gardner, la donna piú bella del mondo secondo lo scrittore americano. Perché Madrid è anche una città per vecchi. Da queste parti un over 65 a zonzo per locali non si sente fuori luogo. E non sono fuori posto nemmeno quelli che di anni ne hanno sessanta di meno. Non stiamo scherzando: capita davvero, e spesso, di vedere neonati tirar tardi. Li vedi in carrozzina alle 2 del mattino o addormentati come angioletti (si fa per dire) sul tavolino di marmo di una terrazza mentre i genitori finiscono la birra e chiacchierano con gli amici.
Madrid è interclassista, perché non sembra ci siano muri fra chi ha il portafoglio gonfio e chi fatica ad arrivare a fine mese. La strada è di tutti. La notte pure. Il gusto per vivere è lo stesso, le possibilità monetarie molto diverse. Anche se c’è da dire che nemmeno la crisi economica che ha colpito la Spagna dal 2007 al 2014 è riuscita a cancellare gli usi e costumi iberici. Invece di andare a cena, si opta per una birra e una tapa, ma non si rinuncia a uscire di casa almeno una sera a settimana. Non si rinuncia alla marcha. È parte del dna spagnolo, un’informazione genetica che il forestiero cerca subito di fare sua. Perché agli stranieri questo stile di vita piace. In questo sono favoriti dal fatto che Madrid è accogliente, con tutti. Non ha la puzza sotto il naso, forse perché, storicamente, è città di emigranti.
Qui non ti senti dire, come capita in altre città della Spagna e in molte capitali europee «che accento strano ha lei....», con quell’aria di superiorità e sufficienza che fanno venire la mosca al naso. Qui non vieni guardato male se per strada tieni per mano o baci il tuo compagno del tuo stesso sesso. «Ames a quien ames Madrid te quiere» («Chiunque ami, Madrid ti ama»), è lo slogan dell’Orgullo, alias Gay Pride. Sì, Madrid è una città aperta, diventata per le persone LGBT un luogo dove sentirsi liberi e sicuri. Certo, era un po’ provincialotta rispetto ad altre realtà europee, ma negli ultimi dieci anni si è scossa la polvere di dosso. E va veloce, ma senza fretta. Sicuramente conta l’effetto Carmena, ovvero ciò che ha fatto, negli ultimi quattro anni, Manuela Carmena, 75 anni, avvocatessa e sindaco della città. Ma anche le precedenti amministrazioni comunali e regionali di segno opposto (centrodestra) hanno contribuito a svecchiare e modernizzare Madrid. Oggi prendi il trasporto pubblico, le piste ciclabili, le biciclette, i monopattini e le vetture elettriche, il car and moto sharing, i marciapiedi sempre più grandi, il centro in via di pedonalizzazione: Madrid è a metà strada fra Svizzera, per sicurezza e servizi, e Olanda per le due ruote e i parchi. Un incredibile balzo in avanti operato non solo dal settore pubblico. Anche il privato si è dato da fare per cambiare il volto della città. Bell’esempio di futurismo sono Las Cuatro Torres in procinto di diventare cinque. Grattacieli di acciaio e cristallo là in fondo al Paseo de La Castellana. Sorti su quello che era la Ciudad Deportiva, il centro d’allenamento del Real Madrid, hanno trasformato lo skyline della città.
A proposito: la seconda torre, la PwC, nera, luccicante, 236 metri di altezza, l’unica progettata da architetti spagnoli (Carlos Rubio Carvajal e Enrique Álvarez-Sala Walter) ospita i trenta piani del Eurostars Madrid Towers, un hotel di cinque stelle. Un simbolo di com’è cambiato il settore alberghiero.
I nuovi hotel sono venuti su come funghi. Alcuni storici come il Ritz, aperto nel 1910, sono in via di ristrutturazione, altri come il Villamagna sono stati completamente rinnovati. L’offerta di posti letto è aumentata esponenzialmente. La città si è imbellettata e si è preparata ad accogliere nuovi visitatori. Sono aumentate le fiere, i congressi, i bus rossi a due piani, gli itinerari guidati. E i risultati non sono mancati: 10,2 milioni di turisti nel 2018 (il 2,7 per cento in più rispetto al 2017) che vengono soprattutto da Stati Uniti, Regno Unito, Italia, Francia e Germania; in crescita Cina e Messico. Ormai Madrid è insieme a Barcellona una delle mete turistiche europee preferite.
Ma nonostante l’arrivo dei low cost strapieni, dei grupponi di giapponesi che al Prado si piazzano davanti al Giardino delle delizie di Hieronymus Bosch per ore, nonostante la globalizzazione e la gentrificazione, Madrid conserva ancora il suo spirito, il suo ritmo, le sue abitudini, i suoi tempi lenti, che non saranno europei, ma che non dispiacciono a chi ci vive. Mantiene ancora una facilità nei rapporti umani che pare di un tempo andato, da paesone. È facile conoscere gente, qui gli altri sono più disponibili, più aperti, meno sospettosi.
Tutto ciò ne fa una capitale facile e sicura in cui ognuno può seguire un proprio itinerario. Guidato dai sensi. Prendi l’olfatto: Victoria Beckham, l’ex Spice Girl, la moglie del bel David calciatore di professione, disse che Madrid puzzava d’aglio. Dissento: se c’è un odore predominante è quello di fritto. Seguendolo dalle parti di Plaza Mayor o della stazione di Atocha incontri i baretti specializzati nel bocadillo de calamares (il panino imbottito di calamari fritti). Fa strano come il pincho de tortilla (un assaggio di frittata di patate) insieme al caffè e latte, ma se ci si fa l’abitudine non è male.
Il gusto. Sul tema non c’è che l’imbarazzo della scelta. È consigliabile iniziare masticando lentamente, molto lentamente una lamina di jamón de Jabugo di quello buono. Assaporarlo fino a che non si sciolga in bocca. È il viatico perfetto per l’iniziazione del palato ai toni della città.
La vista. In poche centinaia di metri nel Paseo del Arte ci sono le meraviglie del museo del Prado, quelle del museo Thyssen-Bornemisza, della Caixa Forum, del Reina Sofia Guernica di Pablo Picasso.
L’udito: las castañuelas (le nacchere) insieme alla chitarra classica rappresentano l’anima della musica e del ballo flamenco. In città i posti migliori per ascoltarlo sono Casa Patas (calle Cañizares, 10) o al Corral de la Moreria (calle de la Moreria, 17).
Il tatto. L’importante è non farsi notare, insomma serve un gesto discreto. Ma per chi per chi ama il calcio o per chi ricorda l’urlo di Marco Tardelli nel 1982 accarezzare il prato del Santiago Bernabéu è una sensazione forte. E un’altra bella scusa per venire a Madrid.