Viaggiare Leggeri. In coda da quasi un secolo

Il problema del turismo di massa, forzato e inconsapevole, non è un fenomeno di oggi. Già nel 1926...

Nel mondo dei troppi malati d’artrite osteoarticolare per la sindrome del pollice da smartphone, ha ancora un senso porsi la domanda che mosse Stefan Zweig a scrivere il memorabile elzeviro Viaggiare o essere fatti viaggiare? L’articolo, che fu pubblicato il 1° luglio 1926 dal settimanale della biblioteca universale Reclams Universum, una delle storiche collane di libri popolari, nasceva da un casuale incontro dello scrittore viennese con le prime comitive di turisti americani. Zweig, grande intellettuale e viaggiatore snob, che ci ha lasciato nel Mondo di ieri una testimonianza unica di com’era la grande mitteleuropa prima della follia nazista, si era messo in testa di dover «combattere la nuova forma burocratica, meccanica, del turismo di massa, e dell’industria del viaggio»: «Tutti quelli che sono portati in viaggio, invece di viaggiare – spiegava Zweig – da qualche parte a uno sportello pagano il prezzo per il giro turistico con il portafogli, ma non pagano l’altro prezzo, quello più alto e più prezioso che proviene dalla volontà interiore, dall’energia in tensione». E ancora: «La vita moderna ordinata ha il vantaggio anche di farci risparmiare energie. Ma il viaggio deve essere sperpero, rinuncia all’ordine per il caso, al quotidiano per lo straordinario».
Oggi, paradossalmente, una certa autenticità nel viaggio si può provare solo scegliendo mezzi ordinari e di tutti i giorni, come le linee di pullman, e si può anche ipotizzare che nella grande riscoperta di questo mezzo, che poi le varie Flixbus hanno cavalcato, non ci sia solo la componente economica, ma un’attrattiva legata alla riscoperta della lentezza e di una socialità d’altri tempi.

Infine, se si vuole davvero continuare a far sì che un viaggio possa essere ancora, come voleva Zweig, «una scoperta non solo del mondo esteriore ma anche del nostro particolare mondo interiore», forse il modo migliore è seguire un itinerario culturale organizzato. Del resto, è ormai impossibile provare «quella strana sensazione che viene dalla fierezza di avercela fatta» del viaggiatore ai tempi di Zweig: dovunque e comunque si vada è tutto mappato, battuto, commercializzato.
I non-luoghi del sistema dei trasporti e delle comunicazioni ci chiudono dentro una gigantesca e imperforabile bolla, che ha persino la sua rappresentazione fisica nella cappa del riscaldamento globale. E allora, rispetto a un presuntuoso, inattuabile fai-da-te, oggi è più impegnativo accettare l’idea di dover dedicare attenzione a quel che ci dice una guida, con rispetto ed educazione, senza magari continuare a scorrere sul cellulare le notifiche di facebook o di whatsapp. Così, alla fine, anche il turismo consapevole combatte l’Adhd (Attention Deficit Hyperactivity Disorder, ovvero Disordine da deficit d’attenzione per iperattività), sempre più diffuso con l’uso eccessivo dei dispositivi elettronici.
Un’altra estensione di questa svolta antitetica alle riflessioni di Zweig, si nota, in fondo, dalle lunghe code di pubblico e dal grande successo delle varie giornate d’apertura straordinaria di luoghi delle nostre città che più di un’organizzazione propone. Sono ormai rituali obbligatori anche in occasione delle fiere di maggior richiamo, come il Salone del Mobile a Milano, e spesso danno vita a un nuovo calendario di eventi ad hoc come per esempio i vari weekend “Open House”.
Verrebbe voglia di parlarne come di un esito paradossale del modello flâneur di Walter Benjamin (un altro grande, contemporaneo di Zweig, altrettanto sfortunato come destino personale): ci si lascia viaggiare per le nostre stesse città, ma non più solo a caso, bensì sfruttando qualche opportunità organizzata. Siamo come dinanzi a un’imprevedibile riscoperta della bellezza di “essere viaggiati”, e magari pure a chilometro ­zero: questo forse è uno dei pochi effetti positivi della bolla.

Fotografie di Archivio Tci