Toscana. Quelle strane terre oltre la Torre

Luca Bonora

Un pastaio cavaliere del lavoro, un ex fotografo che inventa profumi, un castello virtuale e l’unico birrificio geotermico d’Europa: in provincia di Pisa ci sono un mondo, e persone, che non ti aspetti

«State dietro la linea blu» ammonisce la guida. «Perché?» chiedo. «Per il rumore». Poi, prima che abbia il tempo di chiedergli altro, indossa le cuffie di protezione, si avvicina all’impianto e gira la pesante rotella che libera il soffione.
Quindici minuti prima, la guida che mi accompagna nella visita del sito archeologico industriale di Larderello raccontava che a fine Ottocento qui lavoravano 1.500 persone, impegnate nello sfruttamento dell’energia geotermica. Soffioni boraciferi, getti di vapore bollente che uscivano dal terreno in quest’angolo di Toscana al confine fra le province di Pisa e quella di Grosseto. Il territorio di Pomarance (di cui Larderello è una frazione), Castelnuovo Val Di Cecina e Sasso Pisano un tempo era chiamato la Valle del Diavolo. Paesaggi inquietanti, con pozze di fango ribollente e rocce dall’aspetto lunare.
La centrale geotermoelettrica di Larderello – dal nome del suo fondatore, Francesco de Larderel – entrò in funzione nel 1913. Fu la prima al mondo. Oggi sono 35. Producono il 3 per cento del fabbisogno energetico nazionale, e detto così sembra poco. Il 27 per cento del fabbisogno della Toscana, e già suona diverso.
Ѐ uno scenario bizzarro, quello della Valle del Diavolo, con queste enormi ciminiere, larghe e tozze, che sembrano centrali nucleari. Ad alimentare le centrali, 500 pozzi produttivi e centinaia di chilometri di condutture che come un gigantesco serpente di metallo attraversano strade e colline, trasportando vapore ed energia. Per estrarre il vapore dalla terra, i pozzi scendono oltre i duemila metri di profondità. Invece quello cui siamo davanti, dietro la linea blu, profondo “solo” 740 metri, non è più in produzione ed è diventato un’attrazione turistica.

I visitatori vengono qui durante il tour del sito e del museo Enel della Geotermia, ospitato dentro Palazzo de Larderel, che racconta la storia del luogo. Questo pozzo ha una portata di oltre dieci tonnellate l’ora e una temperatura di 180° C. Ma questi sono solo numeri e non rendono l’idea. E nemmeno il rumore. Perché quando la guida gira la rotella, dall’impianto inizia a uscire una nuvola bianca, densa, spessa e urlante. Siamo dietro la linea eppure ci dobbiamo tappare le orecchie. La nuvola diventa sempre più grande. Raggiunge e supera i venti metri di altezza. Ѐ come se fosse stata strofinata un’enorme lampada di Aladino e il genio imprigionato al suo interno stesse riprendendo la sua forma naturale. Il rumore è così forte che copre anche i pensieri. «Non te l’aspettavi una cosa del genere in Toscana, eh?» mi chiede Fabrizio Quochi, della Camera di Commercio di Pisa. Eh no. Ma ho già capito che sarà una sorpresa continua. Perché della Toscana classica, conosciuta ovunque nel mondo, qui non sembra esserci traccia. In compenso ci sono luoghi come questo.
A due passi da qui, a Sasso Pisano, Edo Volpi ha aperto cinque anni fa “Vapori di birra”, un birrificio che sfrutta i vapori geotermici per produrre birra. Un’iniziativa unica. Volpi ha lavorato 34 anni nel mondo della geotermia e quando è andato in pensione ha realizzato il suo sogno. Produce otto tipi di birre diverse, dalla weiss alla belgian ale. Si chiamano Sulfurea, Ipagea, Magma, «perché con il nostro lavoro vogliamo raccontare anche il nostro territorio, che è straordinario».

 

C’è un filo rosso di eccentrica genialità nelle persone incontrate in terra pisana. A Montegemoli, frazione di Pomarance, in un rustico così isolato che al confronto il Mulino Bianco è un condominio in centro a Milano, Andrea Martini fa il pane nel forno a legna, usando farina tipo 2 e lievito madre. Dai suoi forni escono dieci quintali di pane di Montegemoli al giorno, che va a rifornire tutta la costa toscana. Andrea ha 48 anni e abita a Cecina, a 35 minuti di auto da qui. Si è alzato alla una e ha inziato a lavorare alle due. Come mai è finito a fare un lavoro come questo? «A me non mi garba dormire la notte», risponde, e torna a impugnare la pala.
Sempre a Pomarance, sempre in una grande casa isolata, podere Santa Chiara, Claudio Gaiaschi distilla oli essenziali. Milanese, 69 anni, ex fotografo, quindici anni fa molla tutto e viene qui a realizzare il suo sogno. «Fin da bambino, ero affascinato dagli orti e dai loro profumi». Ha inventato uno spray alcolico per i bartender, solo olfattivo, che vende in tutto il mondo. Oltre agli oli essenziali puri produce e vende olio d’oliva aromatizzato in 18 essenze diverse. Un lavoro di nicchia, raro e prezioso.

 

Anche i borghi qui hanno qualcosa di inaspettato. Peculiarità che hanno contribuito a farli diventare Bandiere arancioni. Come Lari, dove la rocca è talmente inglobata nell’abitato che quasi non si distinguono le mura. E anche il cortile interno non è molto scenografico. Eppure, nella regione dei mille castelli, questo è uno di quelli che metterei nell’elenco degli imperdibili. Merito della geniale intuizione avuta nel 2016 dagli amministratori locali. Anziché impegnarsi in un restauro tradizionale degli interni, che sarebbe durato anni e costato cifre difficilmente sostenibili per un piccolo Comune come questo – Casciana Terme Lari, 12mila abitanti, 12 frazioni di cui Lari è la più grande –, hanno realizzato un restauro virtuale. In ogni stanza, un proiettore proietta su dipinti e affreschi le parti mancanti, ricostruendole sotto gli occhi dei visitatori. Non solo, video con figuranti in costume raccontano la gestione del castello e la vita dell’epoca, dal lavoro dell’amministratore del feudo alla confessione di un prigioniero nelle carceri.

 

Ѐ ai piedi della rocca che faccio la scoperta più sorprendente di tutto il viaggio. Merito di Luca, che lavora al Pastificio Martelli e mi accompagna nella visita di questo storico luogo dove si produce pasta di grano duro, trafilata al bronzo «il bronzo rende la pasta ruvida così prende meglio il sugo», spiega puntiglioso. Dal 1926 il pastificio è gestito con sapienza e passione della Famiglia Martelli. Dino Martelli, classe 1945, è cavaliere del lavoro e racconta con orgoglio il giorno in cui, nel 2018, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella venne a trovarlo e gli strinse la mano. Luca mi pianta gli occhi negli occhi e con tono minaccioso chiede: «Lei lo sa dove sono nati i fusilli?». Sembra una domanda da Chi vuol essere miliardario. D’istinto penso Napoli, ma se me l’ha chiesto le origini sono molto più vicine. «Il primo documento in Italia in cui si nomina il fusillo è del 1284 e appartiene a un forno pisano», proclama solenne. «I fusilli nascono a Pisa, e questo spiega anche perché i giri della pasta sono sette: sono i piani della Torre pendente».
Chi l’avrebbe mai detto: a Pisa hanno anche le mani in pasta.

Anche su Peccioli, borgo collinare fra la val d’Era e la val di Cecina, sventola la Bandiera arancione. Il centro storico, raggiungibile con un modernissimo ascensore che lo collega al parcheggio multipiano di viale Mazzini, vanta un polo museale, gestito dalla Fondazione “Peccioli Per”, con quattro aree espositive: il Museo di icone russe e il Museo di incisioni e litografie, entrambi a Palazzo Pretorio, il Museo d’Arte sacra e il Museo archeologico. In tutti l’allestimento è assai curato e fruibile, ma è di quello archeologico che mi sono innamorato. Occupa un palazzo in precedenza di proprietà di un’azienda vinicola e i reperti sono esposti in quelle che erano le antiche cantine. Cantine che a loro volta erano state realizzate sfruttando grotte artificiali di origine etrusca, per cui abbiamo un museo nel museo, con reperti etruschi esposti in “bacheche”... etrusche.
A Peccioli c’è grande interesse anche verso l’arte contemporanea e negli anni sono state realizzate installazioni permanenti che hanno reso unico il vecchio borgo. Lungo il belvedere, accanto all’uscita del nuovo ascensore panoramico che affiancherà quello già esistente, c’è Lo sguardo di Peccioli di Vittorio Corsini. Su pannelli rettangolari di varie dimensioni è stampato un particolare del volto di centinaia di pecciolesi: gli occhi. Una moltitudine di sguardi rivolti all’orizzonte e al futuro. Forse è questo il segreto: guardare lontano. Inseguire i propri sogni, come hanno fatto Edo, Dino, Claudio e molti altri.

Foto di Clara Vannucci