di Mario Tozzi
In Italia il lupo non è solo una specie protetta, è anche una risorsa naturale. Eppure c’è ancora chi lo teme e lo considera come il cattivo delle fiabe
È incomprensibile che, nel XXI secolo, ci sia ancora in Italia qualcuno che voglia abbattere i lupi, creando un problema che non esiste e lasciandosi andare a un’atavica ferocia non più giustificata. Quando passeggio per i boschi dell’Appennino, nei luoghi più isolati, spero sempre di vedere un’ombra che si allontana, magari un esemplare rimasto indietro rispetto al branco, o un giovane curioso che possa incrociare il mio sguardo e poi dileguarsi. Ma è sempre difficile incontrare un lupo in libertà, eppure questo animale rappresenta una delle specie più emblematiche del nostro patrimonio non solo naturale ma anche culturale.
Dopo aver penato anni per reintrodurre il lupo appenninico sul territorio, sterminato da decenni di caccia feroce e inconsulta (in passato c’erano addirittura taglie per la sua uccisione come specie nociva), ed essere passati da un centinaio di esemplari ai 1.600 di oggi, si riparla di dare il via all’uccisione “legalizzata” di una specie altrimenti protetta. Tutto questo perché i lupi sarebbero troppi. Vale la pena ricordare che ogni anno circa il 20% dei lupi italiani muore non per cause naturali, ma per lo spietato bracconaggio di cacciatori e pastori: circa 300 individui uccisi con lacci, trappole e bocconi avvelenati, anche nei parchi nazionali.
È un problema di rapporti fra uomini e animali selvatici nei paesi avanzati: è possibile la convivenza, almeno nelle zone protette? D’altro canto non ci sono prove documentate sull’efficacia degli abbattimenti, e, anzi, l’effetto potrebbe essere addirittura opposto, aumentando i lupi vaganti a causa della scomposizione dei branchi. E certamente giustificherebbe il bracconaggio, altrimenti perché consentire l’abbattimento “legalizzato”?
Sebbene la popolazione nazionale del lupo sia in ripresa, non esistono ancora dati scientificamente robusti sul raggiungimento di una condizione favorevole sul lungo periodo. Ma, al di là dell’efficacia, la possibilità di uccidere una specie protetta con un così alto valore simbolico (e lo stesso discorso vale per orsi, camosci, lontre e linci) non sembra proprio un ottimo segnale, neppure da un punto di vista culturale. Altri sistemi ci sono: per esempio, la sorveglianza del pascolo, la presenza di buoni cani da guardianìa, le recinzioni fisse e mobili elettrificate. Metodi accessibili anche grazie ai fondi europei. Nella stragrande maggioranza dei casi la combinazione di questi strumenti riduce notevolmente il rischio.
Il lupo è un selettore naturale, che controlla la dimensione delle popolazioni delle prede (oggi un grave problema, come dimostrano i cinghiali) ed elimina le carcasse degli animali. Difendere il lupo vuol dire anche riuscire a proteggere a cascata gli habitat in cui esso è presente, insieme a molte delle altre specie che in essi convivono. Ma, purtroppo, è sempre la stessa storia: si lotta per anni per restituire un minimo di naturalità a territori compromessi e, appena si ottengono risultati, ecco che saltano fuori interessi, vecchie paure e un’apparente impossibilità di convivenza di fondo.