di Diogene
Promenade attorno al Vieux Port, cercando lo spirito della metropoli
«Marsiglia non è una città per turisti». Così Jean Claude Izzo, nel suo Casino Totale, riassume l’essere di una città sventrata. Distrutta nel suo reticolo di strade, tortuose e malate, che dalle colline scendevano al Vieux Port, il Porto vecchio. I tedeschi nel 1943, non venendo a capo di quei carrugi fetidi, pieni di umanità ostile, proveniente da Paesi di razze inferiori, e di miserabili destinati alla giornata, ne avevano dinamitato, scientificamente, i muri perimetrali che si appoggiavano gli uni agli altri, legati dagli archi e dai sottopassi, le pietre angolari, le scale dietro le facciate dalle finestre, nere di fuliggine e sporco, come gli occupanti. Avevano fatto sfollare gli abitanti che non se ne erano andati e poi: Bum! Con una sola esplosione avevano azzerato la radice di una delle più antiche città dell’Europa.
Tra i dinamitardi teutonici, come è d’uso per gli abitanti di quel complesso Paese, vi doveva essere qualche ufficiale in cui Goethe, l’amore per l’arte e per la storia, non erano ancora stati seppelliti dall’avvento dell’odio come misura della vita, sentimento che periodicamente traversa, come una tramontana, il cuore d’Europa. La Maison diamantée, l’Hotel de Cabre, la Loggia dei mercanti, l’Hotel Dieu – ospedale che aveva visto tutte le infezioni, malattie epidemiche e brutture dell’Africa e del Medio Oriente – erano stati salvati, come denti molari sopravvissuti alla estirpazione degli altri dalla mandibola.
Le Vieux Port chiuso dalle fortificazioni della Francia del Secolo d’oro, oggi musei, ha per chi arriva dal mare, l’aspetto di un lungo pellegrinaggio di ristoranti, caffè, bistrot, da cui si aprono le strade verso le incombenti colline, e al centro gli alti alberi maestri che, con il loro ciangottio delle drizze reso costante dal Mistral, inseguono il (raro) rumore di gabbiani. Sul molo, dove più era invisibile il retro della città, dominato allora dalla distrutta chiesa di Saint Michel, si apre la strada principale di cui tutti vanno fieri, la Canebière, rafforzata da Gaston Deferre, sindaco partigiano che aveva ricostruito la città, con i condomini che mostrano l’anonima architettura di metropoli bombardata da tutti, tedeschi, italiani e americani. Il cuore della città portuale da cui si partiva per le colonie, le case fatiscenti, primo approdo per arabi, beurre, neri, indocinesi, le baracche per le epidemie che sino alla prima metà del Settecento ne avevano ridotto la popolazione, quasi opera di una igiene naturale come nei branchi di camosci o stambecchi, non esiste più, neppure nella memoria. Solo le fotografie della fine dell’Ottocento e dell’inizio del Novecento, ne mostrano l’affollamento e la polvere.
Non che sia scomparso il crogiuolo di umanità della porta del Maghreb e dell’Africa. Cours Julien ne è la riprova. Sbrindellato, verniciato in ogni angolo da imbrattatori di strada, con i manifesti stracciati e illeggibili, i marciapedi sbocconcellati, le insegne di negozio stinte e incomplete, le vetrine non pulite, il sapone di Marsiglia Liocorne dappertutto, fa da proscenio a una gioventù sfaccendata, incappucciata, scura, accovacciata, che parla poco, gioca a pétanque in ogni angolo che lo permette, beve birra e fuma erba. Indolente e inutile come una palude. Poi, dalla cima del cours Julien, nella piazza formicolante di persone sedute ai caffè che la occupano con le poche aiuole prive di vegetazione, scendono vertiginosamente le scale verso il mare divise dai corrimano in ferro dalla vernice scrostata tra il verde e il grigio e da ovali pelati, con tracce di palme.
Marsiglia è diventata una città per turisti: nello specchio che sovrasta la banchina del Vieux Port, dove tutti si riflettono in un selfie collettivo, e dall’altra parte di cours Julien, verso ovest, delimitato dalla avenue de la Republique, nel centro multiculturale, coperto da una rete mimetica di pietra, nello spazio aperto di fronte al mare che porta alla cattedrale, nel lindo quartiere del Panier, convertito al turismo dei localini, dei negozietti e delle piazzette, nel saliscendi della collina, sino alle Opere di Misericordia dei derelitti opera (costosissima) di Pierre Puget, il Michelangelo della Francia, scultore, pittore, figlio di Marsiglia ma educato in Italia.