Torino va al mercato

Simone ParolariSimone ParolariSimone ParolariSimone ParolariSimone ParolariSimone ParolariSimone ParolariSimone ParolariSimone ParolariSimone Parolari

Porta Palazzo è il cuore gastronomico della città e il mercato centrale la nuova sintesi tra tradizione e modernità dove i cuochi, non ancora chef, amano sperimentare, tra specialità regionali e atmosfere nordafricane

La prima cosa che ho capito di Torino è che non l’avrei capita tanto facilmente. E questo di solito mi fa subito innamorare. È una città che ne racchiude tante. Ci sono i palazzi sabaudi e le fabbriche della Fiat, i tesori del Museo Egizio e i misteri dei simboli esoterici, i caffè storici e i festival elettronici, l’esclusività aristocratica della collina e l’anima popolana dei mercati, l’archeologia del Quadrilatero e il post industriale delle OGR, Officine Grandi Riparazioni, il liberty del quartiere Cit Turin e la modernità della nuova Nuvola Lavazza. Tante storie per mondi diversi, che si rivelano soltanto a chi se li va a cercare. Perché la riservatezza dei torinesi non è soltanto proverbiale. E allora ho provato ad attirarli allo scoperto, chiedendo loro di raccontarmi il quartiere più controverso, amato, temuto e in fermento della città. «Porta Palazzo è il grande ventre di Torino» dice entusiasta Umberto Montano, che torinese non è, ma qui ha da poco inaugurato il suo terzo Mercato Centrale, dopo quello di San Lorenzo a Firenze e della stazione Termini di Roma. Finalmente un progetto di riqualificazione che ha le carte vincenti per far rinascere il PalaFuksas, abbandonato per anni come una nave fantasma nel cuore di piazza della Repubblica. «Ora è una grande arena degli artigiani del cibo, quello semplice della tradizione del saper fare all'italiana, dove gli chef si chiamano ancora cuochi e si mangia tutti insieme attorno a lunghi tavoli collettivi» spiega Montano.

Una nuova bella occasione per questa Porta Palazzo dai molti problemi e dalle tante opportunità, che ha da sempre il cibo come attore protagonista. I riflettori si sono finalmente riaccesi sul più grande mercato di quartiere d’Europa, mentre si ristrutturano palazzi e si aprono ostelli boutique. La prossima rivoluzione è attesa per l’autunno e si chiamerà Combo. Dove c’era l’ottocentesca caserma dei vigili del fuoco sono in arrivo una casa per i viaggiatori, una web radio e un luogo d’incontro dove gustare prodotti locali 24 ore su 24 (thisiscombo.com). È l’inizio di una nuova epoca che guarda al turismo. Torino saprà trovare la sua via fra la banalità della gentrificazione e l’oblio dell'immobilismo? Percorrendo le strade di Porta Palazzo con chi l’ha scelta – per lavoro, per caso o per passione – si percepisce che la concretezza torinese ha già saputo conciliare ben altri cambiamenti, perché poggia sulla storia di una grande capitale. Se vi siete chiesti perché l’animale simbolo della città sia il toro e le fontanelle si chiamino torelli, sappiate che Giulio Cesare durante la campagna di Gallia stabilì qui un accampamento militare che battezzò Julia Augusta Taurinorum, dal nome della popolazione locale dei Taurini. Porta Palazzo coincide con la parte più meridionale dell’antico insediamento e l’esplorazione del quartiere può cominciare proprio dagli scavi romani.
Dalla Porta Palatina, una delle porte romane del I secolo a.C. meglio conservate al mondo, al mosaico raffigurante il mito di Atteone, riportato alla luce dai recenti lavori di riqualificazione del monastero francescano di via delle Orfane e presto aperto al pubblico. «Durante l’ultima ristrutturazione sono state trovate vestigia romane anche nei seminterrati del Museo Egizio», spiega il direttore Christian Greco, che ha scelto di vivere proprio a Porta Palazzo: «Perché è questo il quartiere più vitale, da dove sta ripartendo la città». Racconta del piacere di andare al mercato il sabato, dove la spesa è più ecosostenibile e i rapporti più autentici. «È sempre una scoperta. Mi ricorda i grandi mercati del Cairo e posso anche fare due chiacchiere in arabo con i venditori». Sotto la guida di Christian Greco il Museo Egizio ha avviato molte attività in città, compresa la collaborazione con lo Spazio Zero Sei di piazza della Repubblica per offrire un’accoglienza su misura ai suoi visitatori più giovani (programmazerosei.it) e il PapiroTour, un ciclo di mostre e conferenze dei suoi curatori nelle biblioteche rionali (dal 3 al 28 settembre la tappa alla biblioteca Italo Calvino di Porta Palazzo; museoegizio.it).

«Torino ha la grande capacità di includere», secondo lo chef stellato Davide Scabin, che nel quartiere è arrivato di recente con la bottega Carbone Bianco nel Mercato Centrale. Nato nella vicina Rivoli – dove c’è il suo Combal.Zero (due stelle Michelin, all’interno del castello che ospita il Museo di Arte Contemporanea; combal.org) – a Porta Palazzo ci passava da ragazzo soltanto per prendere il pullman per le Valli di Lanzo, dove lavorava in un ristorante dopo la scuola. «Non avevo tempo di fermarmi, ma già mi divertiva osservare dal finestrino il suo allegro casino. Oggi i miei sous chef vengono qui in cerca di spezie. A Porta Palazzo si trova il migliore ras el hanouth della città (una miscela di circa 30 ingredienti, il cui nome in arabo significa: il capo del negozio, nda). È arrivato qui grazie all’ultima ondata migratoria dal nordafrica, come quando negli anni Sessanta comparvero sui banchi le prime cime di rapa e i lampascioni dal Meridione». Quelli erano gli anni della “mala”, quando Porta Palazzo si chiamava Porta Pila (la chiamano ancora così i torinesi doc), delle canzoni in dialetto del cantautore Gipo Farassino, della città divisa in caste raccontata ne La donna della domenica di Luigi Comencini (tratto dall’omonimo libro di Fruttero e Lucentini). Scabin ha intuito perfettamente l’anima della zona: «Porta Palazzo è palcoscenico dei cambiamenti sociali di Torino fin dalla sua nascita, quando i Savoia decisero di spostare scambi e traffici fuori dalle mura, affidando la realizzazione della piazza più grande della città al celebre architetto Filippo Juvarra». A due passi da Palazzo Reale e con base ottagonale, fu denominata piazza Vittoria, per diventare della Repubblica soltanto dopo il referendum del 1946. Passeggiando per il quartiere non è difficile ritrovare tracce degli splendori dell’epoca sabauda. Dalla più recente Tettoia dell’Orologio, eretta nel 1916, ai due padiglioni ottocenteschi in muratura, uno dei quali ospita il Mercato del Pesce (i lavori di riqualificazione dovrebbero partire nel 2020). E ancora l’elegante atmosfera francese della Galleria Umberto I e la suggestione delle Ghiacciaie Reali, oggi al piano seminterrato del Mercato Centrale, diventate luogo per rappresentazioni e concerti grazie alla loro acustica.

Oltre ai banchi alimentari di piazza della Repubblica, il sabato a Porta Palazzo c’è un altro mercato, quello delle pulci del Balon, che diventa Gran Balon ogni seconda domenica del mese. Nelle vie che conducono verso la Dora, le uniche curvilinee di Torino, si possono fare grandi affari, ma soprattutto si fa un tuffo nel passato, in un allegro e caotico circo del vintage e delle cianfrusaglie. Quando c’è il Gran Balon, il pranzo della domenica è di rito alla Trattoria Valenza (via Borgo Dora 39, anche a cena tranne la domenica e il lunedì), un’osteria dall’atmosfera sospesa nel tempo con tutti i classici in menu e il gran finale del caffè della casa. Poco più avanti, nel bell’edificio a mattoncini che fu l’Arsenale Militare, si formano scrittori e talenti della comunicazione nella Scuola Holden fondata da Alessandro Baricco (via Borgo Dora 49; scuolaholden.it).
Spostandosi di un paio di isolati lungo il fiume, c’è il Condominio Museo (via la Salle 16; condominiomuseo.it), progetto artistico di integrazione sociale ideato da Brice Coniglio, del duo Coniglio Viola. Negli spazi comuni di questa casa di ringhiera in decadenza sono nati eventi e installazioni frutto di residenze di artista, premiate da collaborazioni importanti come quelle con Giorgio Griffa e Michelangelo Pistoletto (il programma aggiornato sulla pagina facebook). Gli inquilini, in gran parte stranieri in condizioni difficili, sono stati coinvolti nella selezione delle opere e delle candidature internazionali. Per scrivere questo articolo ho chiesto ai mie amici Simona e Pietro, entrambi professionisti della comunicazione che hanno scelto di vivere a Porta Palazzo con le loro famiglie, di prepararmi una lista di consigli di quartiere. Fra banchi della frutta e dritte per il pranzo, tutti e due i loro itinerari conducevano proprio qui, davanti a una vecchia poltrona abbandonata nel giardino del Condominio Museo, insieme a Brice Coniglio. Perché Porta Palazzo non è il solito mercato alla moda come i tanti che stanno aprendo in mezza Europa. Ha una identità complessa, fatta di storia, arte, cultura e inclusione sociale. Sospeso fra la voglia e la paura di cambiare, il quartiere immagina il suo futuro, sperando che la mongolfiera del Balon, seppur fra qualche difficoltà e intoppo, continui a volare e le scritte al neon Amare le differenze di Michelangelo Pistoletto si accendano comunque ogni sera in 39 lingue diverse sulla Tettoia dell’Orologio di piazza della Repubblica.

Foto di Simone Parolari