Evergreen. La nostra estinzione

GettyImages

Se continuiamo a trascurare gli habitat degli animali, stavolta saremo noi umani a pagarla cara

Un milione di specie viventi sta rischiando l’estinzione (secondo il rapporto Ipbes dell’Onu pubblicato a maggio 2019),   ma nessuno fra i sapiens sembra preoccuparsi più di tanto. Eppure la prossima estinzione di massa, la sesta, rischia di essere tragicamente anche la nostra. Ma questo tema è assente da qualsiasi dibattito e orizzonte culturale: nessuna paura di estinguerci, mentre erodiamo risorse, salute complessiva dell’umanità e i fondamenti stessi dell’economia.
Il tasso di estinzione delle specie è oggi decine o centinaia di volte superiore a quello che è stato di media negli ultimi dieci milioni di anni. Il 37% delle conifere è a rischio estinzione, così come il 25% dei mammiferi, il 39% dei mammiferi marini, il 41% degli anfibi, il 19% dei rettili, il 13% degli uccelli, il 7% dei pesci, il 27% dei crostacei e il 10% degli insetti. Sono percentuali spaventose, numeri allarmanti che, però, non inducono ad azioni significative, nell’illusione che le altre specie non servano agli uomini che, invece, campano solo grazie a loro.
Lo sconvolgimento degli habitat naturali, la caccia, la pesca e l’eccessivo prelievo di risorse, il cambiamento climatico provocano una crisi della biodiversità tale da sconvolgere l’equilibrio degli ecosistemi terrestri. Una crisi iniziata circa 10mila anni fa con l’agricoltura, ma che ha subito un’accelerazione spaventosa negli ultimi secoli, soprattutto a causa dell’eccessiva pressione demografica dei sapiens.

Quando l’uomo moderno appare sulla scena provoca rapide estinzioni di altri viventi, soprattutto grandi mammiferi e uccelli. Un tempo, per dirne una, uccelli simili a pinguini si trovavano anche al Polo Nord: l’Alca impennis campava egregiamente prima di incontrare i marinai che solcavano l’Atlantico, interessati a cibarsene e a prelevare il suo prezioso piumino. Fu massacrata e si estinse definitivamente nel 1844. Il Raphus cucullatus (meglio noto come dodo) era una specie di grande piccione terricolo che si aggirava pacifico sull’isola di Mauritius prima di essere sterminato a bastonate dagli europei, in meno di cento anni dal loro arrivo: l’ultimo esemplare fu avvistato nel 1662.

I sapiens si muovono sulla Terra buttando all’aria gli ecosistemi: nessun’altra specie si comporta in quel modo. I cambiamenti sul pianeta sono la regola, ma dove passa l’uomo si distruggono gli habitat e si va ben oltre la competizione darwiniana per le nicchie ecologiche che, infatti, quando si parla di altri viventi, continuano a rimanere sostanzialmente integre. Dove passa l’uomo no, il degrado e la distruzione cancellano letteralmente i viventi e i loro habitat naturali.
Nel 2010 tutti i governi del mondo dichiararono che nessuna specie si sarebbe estinta, anzi, che nessuna avrebbe più neppure rischiato di farlo. Non è andata così. E il danno, in ultima analisi, è soprattutto per noi. Se la biodiversità è una biblioteca con miliardi di volumi, quello che stiamo facendo alle specie dei viventi è bruciare quei libri prima di avere imparato a leggerli.