Madeira, uno splendido isolamento

Lorenzo De SimoneLorenzo De SimoneLorenzo De SimoneLorenzo De SimoneLorenzo De SimoneLorenzo De SimoneLorenzo De SimoneLorenzo De SimoneLorenzo De SimoneLorenzo De Simone

Nell’oceano Atlantico davanti alle coste del Marocco, l’arcipelago portoghese è riemerso sulle mappe del turismo grazie al suo cittadino più conosciuto, il calciatore Cristiano Ronaldo. Ma qui c’è molto di più...

 L'ultimo re di Madeira è Cristiano. Detta così vien da pensare a certi vescovi-principi nella Germania medievale, a disfide per il potere temporale e lotte di religione. E a ben vedere sempre di fede si tratta. Perché, anche se c’è il rischio di suonare blasfemi, quella del Cristiano Ronaldo da Funchal nell’arcipelago di Madeira è una specie di religione laica e popolare. Calciatore, uomo immagine, società unipersonale cui fa capo un brand da miliardi di euro, accumulatore seriale di trofei, padre di tre figli, mito vivente, considerato a seconda dei gusti sex symbol o tamarrissimo, Cristiano Ronaldo per Madeira – dove è nato 34 anni fa – in questo momento rappresenta tanto, tantissimo. È colui che ha riposizionato sulla mappa geografica questo arcipelago portoghese sperso nell’Atlantico, 545 chilometri a nordovest della costa africana. Per secoli isola di passaggio nella navigazione dei portoghesi verso le colonie dell’Oltremare, Madeira negli ultimi decenni si era ritagliato il ruolo di destinazione turistica un po’ in tono minore, una sorta di Canarie senza spiagge, amata da un pubblico attempato di inglesi e nord europei in fuga dai rigori meteorologici che qui cercavano una temperata, accogliente, tranquillità. Tranquillità da salotto, pacchetti all inclusive, compreso il tè delle cinque e l’immancabile, trasgressivo bicchiere serale di buon vino fortificato, quel Madeira dolciastro che una volta era l’unico brand dell’isola.

Invece il successo planetario del calciatore della Juventus ha riposizionato Madeira sulle mappe e le ha dato una nuova popolarità turistica che strizza l’occhio ai più giovani. Merito, va detto, anche del più prosaico miglioramento dei collegamenti aerei verso l’arcipelago che ha beneficiato dell’apertura di nuove rotte da tutta Europa (con o senza scalo a Lisbona/Porto), abbassando il balzello che scoraggiava molti potenziali visitatori: il prezzo del biglietto aereo. Adesso, vento permettendo (pare sia una delle piste più difficili del mondo), si atterra felici all’aeroporto di Funchal, che comunque, per non sbagliare, è stato già intitolato a Cristiano Ronaldo (dicono non sia scaramantico), e si inizia a scoprire che in quest’isola vulcanica c’è di più che vino, tranquillità e vista oceano. Perché se prima chi veniva a Madeira si limitava a svernare nei grandi hotel che si susseguono nella zona litoranea di Funchal, tutti con piscina scenografica, vista dell’alba e accesso comodo al casinò, oggi ha la possibilità di visitare e vivere tutta l’isola, approfittando della gran varietà di paesaggi e delle attività all’aria aperta. Basta non soffrire di vertigini e affittare un auto.

Un giorno ci si può inerpicare fino a Pico do Arieiro, vetta di quasi 2mila metri di altezza che si raggiungono guidando per un’ora una strada che sale verticale dal mare. Al mattino quassù le nuvole scendono veloci e sembrano lo scenario della Cavalcata delle Valchirie, una cascata bianca che domina un paesaggio appuntito e vulcanico, tra ginestre, rocce nere, rosse e granata, capaci di render felice come un bambino i geologi. Mentre si sale dopo ogni curva si apre una vista immensa sull’Atlantico che tutto avvolge. Vista che accompagna qualsiasi escursione si decida di fare. Ci sono quelle spaventose, come a Cabo Girão, dove da poco hanno inaugurato una terrazza panoramica a picco sul mare, con il pavimento di vetro che sembra di camminare sospesi sul nulla, a 580 metri d’altezza. E ci sono quelle inaspettate, come quando si arriva a Curral das Freiras, paesello che se ne sta rannicchiato sul fondo di quello che sembra il cono di un vulcano spento, posto scelto nel 1566 dalle Clarisse per fuggire ai pirati francesi, un piccolo mondo perduto lontano da tutto. Come è ancor più sperduto Fajã dos Padres. Minuscola lingua di terra franata dalle falesie e per secoli accessibile solo dal mare. Divenuta ritiro estivo dei Gesuiti, venne trasformata in una coltivazione intensiva di manghi e avocado quando gli ordini religiosi vennero aboliti.

Oggi è un posto strano: un ristorante cui si accede con una funivia, una piantagione bio di frutta tropicale e una manciata di casette trasformate in appartate stanze sull’oceano. Ma sono tante le possibilità per vivere questa sensazione di splendido isolamento. A sud e nel centro dell’isola si può camminare nella natura solitaria lungo le levadas, antichi canali per l’irrigazione delle piantagioni di canna da zucchero e bananine. Corrono per decine di chilometri, alcuni attraversano la foresta laurisilva – foresta primaria di bassi lauri che un tempo copriva tutta l’Europa, oggi conservata solo qui – come nel caso della levada che da Queimadas va a Caldeirão Verde. Altri tagliano un’immensa distesa di mirtilli selvatici e cespugli di erica arborea e, seguendo controcorrente i canali, portano a cascate.

 

Ovunque colpisce la varietà dei paesaggi, che cambiano rapidamente come cambia rapidamente il tempo: «Quatro estações num dia» dicono. Ma sempre senza inverno. Anche se, certo, affacciandosi sulla costa nord, tra Santana, Faial e Porto da Cruz sembra di esser sbarcati in un altro continente, verde e tropicale, fatto di vapori umidi che salgono in cielo, terrazzamenti strappati a montagne coperte di vegetazione e vigneti che si nutrono della salsedine e del vento. E proseguendo ci si inoltra nell’isola percorrendo stradine in cresta, così mirabolanti e verticali da far atterrire chi soffre di vertigini; anche se moderne gallerie evitano ore di dentro e fuori, sali e scendi, tra un promontorio e un villaggio dal sapore coloniale. Strade strette e ben tenute, tutte nuove, pagate dall’Unione europea, i cui fondi sono serviti a rendere più accessibile l’isola. Così se prima per arrivare dall’altro capo, a Porto Moniz,
ci voleva mezza giornata adesso in un’ora si arriva. E si può andare solo per fare il bagno al tramonto immaginando che all’orizzonte, in fondo, molto in fondo ci siano le Bermuda. Un bagno, sia chiaro, nelle piscine che qui chiamano naturais, ma invero sono un impasto di cemento e roccia, riempite di acqua salata e qualche pesce che ogni tanto salta dentro. Piscine che – si sappia – sono quasi l’unico modo di fare il bagno in mare a Madeira. Perché l’isola è tutto fuorché destinazione balneare per chi si aspetta di crogiolare
al sole. Le spiagge balneabili sono una dozzina in tutta l’isola, un paio di sabbia fine e nera, il resto di ciottoli, molte sferzate da vento e onde da surfisti.

Ma chi vuole il mare inteso come spiaggia non deve abbattersi: l’altra isola abitata dell’arcipelago, Porto Santo, che dista tre ore in traghetto da Funchal, è una grande destinazione balneare. Merito di un’unica immensa spiaggia di sabbia chiara, lunga 8 chilometri e larga abbastanza da non sembrare mai affollata. Del resto Vila Baleira, unico insediamento dell’isola, è abitato tutto l’anno da poche migliaia di persone e ha una manciata di ottimi alberghi, spalmati tra gli alberi a lato della spiaggia, il che la rende una scelta ai limiti dell’esotico. Specie se la si lascia alle spalle e si fa il periplo dell’isola, addentrandosi in maestose solitudini vulcaniche, scoprendo paesaggi che diresti irlandesi per la vastità delle vedute che si aprono sull’oceano. Quello stesso oceano su cui si affaccia Funchal, piccola capitale della regione autonoma, fatto che la rende piacevole, viva e non solo turistica, anche perché qui si concentra il 50 per cento dei 230mila abitanti dell’isola. Le montagne scoscese che le fanno da corona sono punteggiate di casette abbarbicate sul fianco brullo: a prima vista ricordano certe sterminate città del Sudamerica e si rimane perplessi. Poi spiegano che fino a tre anni fa tutto era coperto da una fitta vegetazione e invece adesso tutto è alquanto spelacchiato. Colpa dell’uomo, anzi di un uomo, che ha appiccato un devastante incendio che ha consumato in giorni da tregenda il patrimonio boschivo di questo lato dell’isola. Isola il cui nome non per nulla discende dal legno (madeira in portoghese) di cui è sempre stata ricca, anche quando nel 1419 due navigatori al servizio del principe Enrico il Navigatore la avvistarono annettendola al regno lusitano. Il più importante fu João Gonçalves Zarco, come attesta la statua che lo celebra nel centro storico. Poca cosa rispetto a Cristiano Ronaldo, che ha una statua sul porto e perfino un museo. All’interno, dentro una teca è conservata una parte infinitesimale delle lettere che gli arrivano, quasi lui fosse Babbo Natale e l’isola Rovaniemi. Spesso l’indirizzo è solo Cristiano Ronaldo, Madeira, Portugal. Ma basta e avanza.

Fotografie di Lorenzo De Simone