di Vittorio Giannella | Foto di Vittorio Giannella
Ben sette Comuni Bandiera Arancione del Touring Club, due siti patrimonio dell’Umanità Unesco, chef famosi e decine di eccellenze culturali. Sulle colline della provincia di Foggia si trovano alcune delle realtà più sconosciute e attraenti dell’intera regione. Da scoprire a ritmo lento, tra reperti archeologici, miti, leggende e deliziosi piatti rigorosamente a chilometro zero.
Dici Puglia e pensi subito al Salento, al Gargano, quasi mai alla Daunia. Attraversata da un’autostrada che velocemente trasferisce i più ad affollare le spiagge lungo la costa, questa antica terra dei Dauni, oggi in provincia di Foggia, è quella che ha ottenuto più riconoscimenti in fatto di qualità turistica e ambientale regionale: su 13 Comuni a qualità certificata Bandiera Arancione dal Touring Club Italiano ben sette sono da queste parti: Bovino, Orsara, Troia, Sant’Agata di Puglia, Rocchetta Sant’Antonio, Alberona e Pietramontecorvino. E non mancano anche due siti Unesco: la Foresta Umbra e la grotta di San Michele a Monte Sant’Angelo. Una terra questa di bellezza e cultura, tradizioni ed enogastronomia, dove uva, olive e grano, grazie a mani sapienti, vengono trasformati in prodotti inconfondibili. La Daunia ha le carte in regola per attrarre i turisti curiosi di natura, storia ed arte. Musei e castelli, il paesaggio con la distesa dei colli morbidi, le sue sconfinate praterie di grano, i paesi arroccati, tutti a guardare dall’alto il fondovalle venato da fiumiciattoli stagionali. E poi l’articolato sistema di tratturi, percorsi per secoli dalle greggi portate qui dall’Abruzzo e dal Molise a svernare, ora al vaglio Unesco per farli diventare patrimonio mondiale immateriale. Qui nacquero e decaddero civiltà come quelle dei Dauni e Sanniti che hanno lasciato in eredità veri e propri “giacimenti” di archeologia. La scommessa? Rivitalizzare i paesi e le comunità che cercano di sopravvivere allo spopolamento progressivo. Uno sforzo che i piccoli comuni stanno compiendo grazie ai fondi regionali in arrivo, da usare per valorizzare e comunicare le bellezze naturali e culturali, nonché per renderle fruibili ai turisti. I monti Dauni spiccano per eccellenze, un’area montana collinare che è anche punto di contatto con Molise, Basilicata e Campania, un’affascinante sconosciuta le cui qualità vanno scoperte piano piano. In prima linea in questi sforzi di conoscenza le Bandiere Arancioni del Tci. A cominciare da Bovino, situato in posizione strategica lungo la via consolare che la collegava a Napoli, che ha visto l’alternarsi di diversi popoli: Longobardi, Saraceni, Bizantini e Normanni; tutti hanno lasciato segni tangibili della loro presenza. Nel centro storico colpiscono per bellezza i portali in pietra e la cattedrale in stile romanico, mentre domina su tutto il castello ducale che ingloba lo splendido museo Diocesano.
Non è da meno Orsara di Puglia, altro Comune Bandiera Arancione che, nonostante conti solo 2.700 abitanti, è anche Città slow (associazione di cittadine ispirate da Slow Food), ha ottenuto il marchio di Comune amico del turismo sostenibile itinerante (dall’Unione Club Amici, associazione di camperisti), infine ha ricevuto il premio Antichi sapori delle Puglie (assegnato dall’Associazione difesa dei consumatori). Non male per questo nugolo di case circondato da boschi e sorgenti, intriso di storie di angeli e monaci guerrieri, di abati e pellegrini. Visitando la grotta di San Michele sembra di sentire ancora i canti dei fedeli, o di vedere il signore dei cavalieri spagnoli Calatrava scendere le scale della spelonca: è la magia della suggestione. A Orsara la vita scorre semplice, e a dettare la concezione del tempo sono l’alternarsi delle stagioni e i rintocchi delle campane della chiesa di San Nicola, non certo le lancette dell’orologio. Ma non mancano i problemi: lo spopolamento che costringe l’amministrazione a ricercare formule per far rimanere le braccia giovani, le più forti per non farla morire. «Ad aggravare la situazione» spiega il sindaco Tommaso Lecce, «ci si mette la scarsa viabilità, non certo un’eccellenza, abbinata alla modesta rete di servizi per il trasporto pubblico». Passeggiamo con lui e alcuni consiglieri comunali giovanissimi nei vicoli del centro storico, per scoprire angoli preziosi, ingentiliti da palazzetti nobiliari e archi in pietra, forni antichi che bruciano ancora paglia, inebriati dai profumi delle pietanze che provengono dalle cucine delle case. Poi una musica jazz si diffonde nell’aria e, per incanto, ci ritroviamo seduti ad ascoltare le prove di un gruppo di ragazzi alle prese con tromba, chitarra e batteria. Ma in questi anni di emigrazione senza sosta c’è stato chi è andato controcorrente: Peppe Zullo, chef di livello internazionale, ha deciso anni fa di tornare nella sua Orsara dopo aver lavorato oltreoceano, rilanciando la cucina del territorio. Il suo motto “simple food for intelligent people” lo si intuisce nella sua cucina, con vista sui campi e sull’orto dei sapori dimenticati, dove prendono vita piatti di un’alimentazione ancestrale trasformati in ricette di primo piano nella cucina moderna di qualità. Lampascioni, fave, cicorie, orecchiette di grano arso e cime di rape, nella sua scuola diventano ingredienti primari per i futuri chef provenienti dal Giappone, Canada e Stati Uniti, venuti fin qui per imparare e ispirarsi a questa cucina contadina del Sud.
Il tratto di strada sinuoso che da Orsara porta a Troia, con le sue onde di terra verdissime ventilate da gigantesche pale eoliche e le greggi di pecore che si muovono liberamente, lo fanno assomigliare a un angolo d’Irlanda piuttosto che alla Puglia classica di mare e oliveti. Altra Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, Troia, deve molto della sua bellezza al legame indissolubile con la Chiesa cattolica che ha lasciato un segno indelebile nell’arte e nell’architettura del borgo. Tutte le viuzze portano alla cattedrale in stile romanico, sulla cui facciata spicca il rosone a 11 raggi finemente lavorato; gli interni conservano colonne imponenti e affreschi. Accanto, da non perdere, la visita al museo della cattedrale per ammirare gli exultet, rotoli miniati d’immenso valore storico artistico, contenenti testi e canti dell’annuncio della Pasqua (sec. XI-XII), scritti in un verso per i più colti, disegnati nell’altro per renderli comprensibili agli analfabeti: dei 31 esistenti al mondo, tre sono qui. Usciti dalla cattedrale sarà difficile resistere a un peccato di gola nella dirimpettaia pasticceria che sforna la Passionata, un dolce di ricotta vaccina e ovina ricoperta con pasta di mandorle. Ripercorrendo antiche strade che i pastori utilizzavano per spostare le greggi, si arriva a Lucera, città d’arte con uno dei castelli medievali più grandi d’Europa. Voluto da Carlo I D’Angiò e terminato da Federico II, è difeso da una cinta muraria estesa per quasi un chilometro. Oltre all’anfiteatro romano di ragguardevoli dimensioni, in ottime condizioni, Lucera è sede del duomo, con gli splendidi affreschi della cappella Gallucci, e del museo civico Giuseppe Fiorelli ricco di testimonianze della storia millenaria della città. Sono esposte qui le ceramiche arabe (sec. XIII) che attestano la presenza della colonia saracena voluta da Federico II di Svevia. L’Imperatore Stupor Mundi dimorò a lungo in Daunia che amò a tal punto da lasciare tracce della sua presenza, fino alla sua morte, avvenuta a Castelfiorentino nel 1250, a pochi chilometri da Torremaggiore, dove oggi rimangono poche pietre, che dominano un paesaggio agreste di grande serenità.
Dal belvedere di Faeto, sferzato dai gelidi venti balcanici, ai piedi del monte Cornacchia, tetto di Puglia con i suoi 1151 metri d’altezza, si vede bene il fondovalle e, a destra, il più piccolo paese di Puglia, Celle San Vito, 200 anime, teatro nel 1269 di furiose battaglie tra i soldati francesi dell’esercito di Carlo I D’Angiò e i Saraceni arroccati a Lucera. Ma ora nessun nemico è all’orizzonte. I soldati di D’Angiò si fecero raggiungere dalle loro famiglie, si stabilirono qui e fondarono i due borghi, perpetuando la lingua francoprovenzale che ha rischiato di scomparire. Oggi, grazie a uno “sportello linguistico” organizzato da un gruppo di giovani della cittadina ispirati dall’art. 6 della Costituzione che tutela le minoranze linguistiche, l’idioma francoprovenzale non corre più rischi. Poco lontano, a Casalvecchio di Puglia, c’è un’altra piccola isola linguistica: qui si parla infatti ancora l’arberisht, ovvero la lingua albanese più antica, portata sin qui dagli antenati di Skanderbeg, il più valoroso dei guerrieri albanesi del 1400 contro i turchi. Bisogna attraversare fertili campi di ortaggi per raggiungere Ascoli Satriano, che appare come un nido d’aquila nella parte più alta di queste terre ondulate che si spianano e si dissolvono verso il Tavoliere, con le terre arate e glabre, se non fosse per quei pochi alberelli messi lì per fare ombra alle greggi nelle estati caldissime. Terre, queste, che hanno restituito tombe della prima età imperiale e, in località Faragola, i resti di una villa romana da poco danneggiata da un vigliacco incendio. All’entrata del paese non bisogna perdere una visita al museo civico archeologico dove ammirare i due Grifoni che sbranano una cerva, statua in marmo policromo (IV sec. a.C.), opera unica nel suo genere. Dal parco archeologico sulla cima della collina del Serpente, la vista spazia fino al Gargano e al mare. Così lontano, così vicino.