Sardegna. Aggius, tra artisti e galletti di Gallura

Erica CostaTore LutzuAndrea AlteaMario SorgatoErica CostaAndrea AlteaMario SargatoMaxxi

Nell’entroterra nord della Sardegna l’arte e la cultura contemporanea si intrecciano con quella tradizionale per mantenere viva la comunità. Tra cori, murales, leggende e telai. A cominciare da quelli di Maria Lai

Capita a volte ad Aggius, piccolo borgo arroccato nel cuore della Gallura sarda, che gli ospiti siano accolti dagli ipnotici canti dei cori locali come Il galletto di Gallura (così chiamato da Gabriele D’Annunzio) e il coro Matteo Peru. Capita anche di ritrovarsi improvvisamente coinvolti nel “ballo tondo”, o dell’amicizia, nella piazza del paese. Per fortuna capita anche di sedersi poi con le gambe sotto al tavolo ad assaggiare i piatti tipici preparati dalle donne e dagli uomini aggesi. Sul volto di chi viene da fuori lo sbalordimento è come davanti a un film spettacolare. Aggius ha l’accoglienza nel dna, è un paese antico, ma di giovani innovativi che sanno sperimentare, che valorizzano l’arte in ogni sua forma, creano bellezza con i telai, con la pittura, con la scultura, con la fotografia e con il cibo e il vino. Aggius, Bandiera Arancione del Touring Club, deve molto a Maria Lai l’artista sarda che, più di dieci anni fa, realizzò 14 telai che da allora sono sulle pareti degli edifici del centro storico (quest’anno ricorre il centenario della nascita dell’artista celebrata con una importante retrospettiva al Maxxi di Roma, vedi box). Il progetto lo chiamò Essere è Tessere, ma fu solo la base per quello che, 10 anni dopo, ha trasformato il paese in un museo a cielo aperto coinvolgendo altri artisti. L’idea nata nel 2008 si è materializzata nel 2018 con AAAperto, un museo di arte contemporanea open air, appunto, con le opere a decorare case e palazzi. Passeggiando nei vicoli, i primi ad attirare l’attenzione sono ovviamente i telai colorati di Maria Lai che raccontano di tradizioni locali e di donne, di tessuti e di memoria.

Ad Aggius ognuno mette a disposizione della comunità il proprio sapere per valorizzare la cultura e il territorio. I giovani, bravi a usare i social, promuovono il paese sul web, conservano i canti antichi con strumenti super tecnologici, sviluppano app e chiamano artisti a decorare case e strade; molti di loro sono sardi, oppure sardi acquisiti, magari stranieri innamorati di questo originale borgo. Le porte dei magazzini e dei garage sono dipinte dall’artista locale Simone Sanna, alcune case sono decorate da Tellas, segnalato dall’Huffington Post tra i 25 street artist più influenti della scena mondiale. Passeggiando per i vicoli ci si imbatte anche in grandi opere di Narcisa Monni, di Rosanna Rossi, di Josephine Sassu, di Paschetta, nella collezione Ripa di Meana e nelle creazioni di Gabriel, Polinas, Zaza Calzia, Vittoria Soddu, Simona Tavassi. E sulle pareti delle case si può ammirare la mostra permanente di immagini Dove c’è un filo c’è una traccia, allestita dal fotografo Mario Saragato proprio per celebrare la tessitura come simbolo di cultura attraverso gli scatti di 14 maestri della fotografia. Nonostante gli abitanti siano più o meno 1.500, Aggius ospita anche il museo del Banditismo e il Meoc (Museo etnografico Oliva Carta Cannas). Il museo del Banditismo sembra il set di un film anni ’50, con l’ufficio del vecchio commissariato, catene, manette, foto e mandati di cattura in bianco e nero e le copie delle dure sentenze comminate ai malviventi che hanno segnato questo territorio con faide sanguinose. Storie protagoniste del romanzo Il muto di Gallura di Enrico Costa dedicato alle gesta della banda del più famoso bandito aggese, Sebastiano Tansu. Ma per gli abitanti del paese, le sanguinose faide tra le famiglie erano, prima di tutto, la ribellione alle pretese eccessive degli esattori delle tasse. Nella Rampa di Li Pazi, una scalinata al centro del paese, le famiglie rivali andavano a fare la pace, in genere di breve durata. La visita al Meoc, il museo etnografico, è invece un viaggio nella storia e nelle tradizioni popolari galluresi dal 1600 fino a oggi, con costumi antichi, tappeti e arazzi e oggetti legati all’economia locale.

Perché ad Aggius le tradizioni e i mestieri non hanno conosciuto interruzioni: le tessitrici continuano a sedersi ogni giorno davanti a telai, le querce vengono sempre spogliate dal sughero per produrre i tappi che chiudono le bottiglie di vermentino o di cannonau. I maestri fabbri battono come sempre il ferro trasformandolo in manufatti che decorano le case di pietra, gli orafi ripetono i gesti dei loro padri e dei loro nonni per creare i bottoni e i tipici gioielli sardi. Sulla via principale si aprono le porte dei panettieri, dei macellai e delle enoteche che vendono le eccellenze enogastronomiche. Nei piccoli ristoranti e agriturismi si cucinano solo i piatti tradizionali: “la suppa cuata”, preparata con fette di pane raffermo, fette di formaggio fresco e grattugiato, “li bruglioni”, ravioli ripieni di formaggio o ricotta, con uova, zucchero e limone, “li ciusoni” gnocchi fatti a mano, le lumache al sugo e il classico “pulcheddu” (il porcetto arrosto). I coraggiosi possono assaggiare “la rivea” interiora di capretto o di agnello, allo spiedo, avvolte con l’omento (una sorta di rete di grasso di maiale) e gli intestini, cotte alla brace o in forno. Ad Aggius l’ospitalità va oltre il luogo comune perché il paese Bandiera Arancione fa anche parte delle Comunità Ospitali, una rete di località che propongono ai turisti esperienze e incontri nel paese. Un tutor, un abitante del borgo, accoglie gli ospiti e li introduce alla vita della comunità, con percorsi nella natura, visite guidate alle botteghe, degustazioni delle ricette tipiche, e ovviamente partecipazione alle feste, con balli e canti tradizionali. E proprio il canto, così radicato in Sardegna, accompagna tutte le cerimonie, le feste e il lavoro. Ad Aggius c’è persino una sala tecnologica dedicata al canto polifonico, Casa Peru, dove è esposta una lettera di D’Annunzio del 1928: «È forse la sola musica, tra le tante che io ho udito, dove possa riscontrarsi una verginità millenaria, è musica assolutamente intatta da influenze esterne e da influssi barbarici». I 5 cantori eseguono i loro canti disposti in cerchio, stando in piedi, e guardando le labbra dell’intonatore (bozi). Iniziano sommessamente, ma lentamente avvolgono gli ospiti in un coro di emozioni e suoni primordiali, eterni, perfetti per festeggiare il patrono o le feste religiose, l’amore e il matrimonio, le nascite, ma anche la morte. E così si rimane ipnotizzati, coinvolti in balli sfrenati, quasi di casa. A volte in Sardegna capita.