Evergreen. Spiagge libere: una questione aperta

Nonostante l’Italia abbia migliaia di chilometri di costa, decine di isole più o meno grandi e il Mediterraneo intorno, è sempre meno lo spazio non occupato da stabilimenti balneari. Uno scandalo sul quale occorre ragionare

 

Siamo il Paese del mare, delle isole e delle spiagge, ma solo il 23 per cento delle nostre coste è ancora selvaggio, tutto il resto essendo già ampiamente toccato o compromesso. Nel dettaglio del nostro Paese, sono solo 1860 km i tratti lineari di costa più lunghi di 5 km ancora liberi e con un buon grado di naturalità. Non bastasse, oggi la spiaggia libera in Italia è un diritto troppo spesso negato, tanto che, in spiagge famose come Mondello, si è arrivati al punto inevitabile di transennare il bagnasciuga per lasciarlo, almeno quello, alla pubblica balneazione. Tanto che sono arrivate le prime diffide ai sindaci di alcune località costiere per difendere il diritto di accesso alla spiaggia e impedire le proroghe già invocate. Siamo al punto che in molte spiagge d’Italia è diventato quasi impossibile beneficiare di uno spazio che sarebbe di tutti perché demaniale.
Il numero di spiagge in concessione è cresciuto: si è arrivati a una vera e propria privatizzazione dei litorali in assenza di controlli. Tutto ciò in evidente contrasto con la Direttiva 123/2006/CE (art. 12) che impone che ”qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza”.

La Direttiva prevede inoltre che “l’autorizzazione venga rilasciata per una durata limitata e non possa prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami”. La proroga fino al 2034 (!) è in evidente contrasto con le regole europee come confermato con chiarezza dalla perentoria sentenza della Corte di Giustizia Europea. Il rischio è la procedura di infrazione e l’annullamento degli atti comunali.
Se si considera un dato medio (sottostimato) di 100 metri lineari per ognuna delle concessioni esistenti, si può stimare che in Italia oltre il 60& delle coste sabbiose è occupato da stabilimenti balneari (in alcuni Comuni si arriva all’80% e libere rimangono solo quelle non balneabili). Circa 30mila sono le concessioni demaniali marittime in continuo aumento per 19,2 milioni di metri quadri di lidi sottratti alla libera fruizione. Il rischio è che si continui in una corsa a occupare ogni metro con stabilimenti che, in assenza di controlli come avvenuto fino a oggi, di fatto rendono le coste italiane delle coste privatizzate. Tutto ciò con canoni demaniali bassissimi, a fronte di guadagni rilevanti. Nel 2016 lo Stato ha incassato poco più di 103 milioni di euro dalle concessioni a fronte di un giro di affari stimato da Nomisma fra i 5 e i 15 miliardi di euro annui. Si tratta di sei euro al metro quadro all’anno, contro un guadagno che può arrivare, nelle spiagge “di lusso”, a centinaia di euro al metro quadro al giorno. Se arrivasse la procedura di infrazione, tutti i cittadini si dovrebbero sobbarcare il costo aggiuntivo della multa (100 milioni di euro) che addirittura annullerebbe il poco ricavato. La parola scandalo è, in questo caso, più che appropriata.