Il viaggiatore. Gli artisti e Notre-Dame

Da Victor Hugo a Prosper Mérimée, Marcel Proust e Gabriele d'Annunzio fino a Marc Chagall ed Henry Miller, tutti gli artisti hanno sempre avuto un rapporto d'amore con la cattedrale di Parigi. 

«Tutti gli occhi si erano alzati verso la sommità della chiesa… In cima alla galleria più elevata, più in alto del rosone centrale, c’era una grande fiamma che montava tra i due campanili, con turbini di scintille, una grande fiamma disordinata e furiosa», scrive Victor Hugo in Notre-Dame de Paris. Secondo lui i restauri erano stati più dannosi delle rivoluzioni che si erano accanite su quel monumento. Bisognava rispettare la storia. «Come le grandi montagne anche i grandi edifici sono opera dei secoli». Uno dei passatempi preferiti di Prosper Mérimée – scrittore e archeologo francese – era andare con gli amici a mezzanotte a mangiare un gelato sulla cima di una delle torri di Notre-Dame, mentre un gufo svolazzava intorno. Contrariamente ai suoi contemporanei, l’autore della Carmen amava il gotico. Molti anni dopo, quando la conservazione dei monumenti storici era diventata la sua principale preoccupazione, Mérimée fece restaurare insieme all’architetto Viollet-le-Duc la cattedrale, dando da vivere a una generazione di artisti impiegati a sostituire o ad aggiungere elementi scultorei a quel monumento trascurato. Per le nuove statue, Viollet-le-Duc si era ispirato in parte ai frammenti affiorati dagli scavi archeologici nel sito di Notre-Dame, ma l’ispirazione maggiore era venuta dalle altre cattedrali gotiche francesi. Un giorno Napoleone III gli aveva detto sorridendo: «Sembra che lei e Viollet-le-Duc distruggerete Notre-Dame». Lo scrittore gli aveva assicurato che ne avrebbero lasciato qualche traccia, ma l’imperatore stava già pensando ad altro.

L’autore della bibbia del Decadentismo, Controcorrente, Joris-Karl Huysmans, aveva dedicato a quel maestoso monumento un lungo saggio, La simbolica di Notre-Dame. A suo parere i restauratori si erano lasciati abbagliare dall’aspetto esterno, trascurando l’anima della cattedrale. Le due torri rappresentavano la Vergine Maria e la Chiesa che vegliavano sulla città ai loro piedi. Il tetto era l’emblema della carità. Le tegole erano i cavalieri che la difendevano dai pagani impersonati dai temporali. Nel 1913 Gabriele d’Annunzio era entrato nella cattedrale con un codazzo di eleganti signore entusiaste di sentire la musica dell’organista della chiesa, molto apprezzato dal poeta. Una notte, in una tregua dell’asma, Marcel Proust si infilò sulla camicia da notte il cappotto foderato di pelliccia e si fece portare davanti alla cattedrale di Notre-Dame, dove sostò due ore al freddo a guardare le statue degli apostoli scolpite sul portale di Sainte-Anne «dove da otto secoli c’è un’umanità molto più affascinante di quella che ci capita d’incontrare».

Gli artisti amavano quel sogno di pietra. Un giorno Henry Miller rimase ipnotizzato da quel monumento: «Notre-Dame si leva come un sarcofago dall’acqua. I doccioni sporgono sulla facciata di merletto. Incombono come un’idea fissa nella mente di un monomaniaco». E Marc Chagall ne fu folgorato: «Oh, se riuscissi, a cavallo di una chimera di pietra di Notre-Dame a tracciare con le mani e le gambe la mia strada nel cielo!»