Il viaggiatore. Siam tre piccoli ambasciator...

Alla fine del Cinquecento, quattro adolescenti giapponesi vennero in Europa. diplomatici? No, erano i primi turisti

Il 1° marzo 1585 arrivarono in Italia quattro ragazzi giapponesi, di tredici, quattordici anni, tutti di origini più o meno nobili, che furono accolti da duchi, granduchi e papi come fossero veri ambasciatori di un favoloso regno d’Oriente. Ma erano solo l’avanguardia del turismo giapponese dei nostri giorni.
A organizzare questo viaggio promozionale scambiato per missione diplomatica, fu il gesuita Alessandro Valignani che da qualche anno viveva in Giappone, dove i gesuiti erano considerati dei poveri emigrati in cerca di fortuna.
In Europa, il Giappone si chiamava ancora Zipangu e galleggiava sui confini della leggenda: difficile far proseliti in quella situazione. Fu così che Valignani fece partire quei giovani, da poco convertiti al Cristianesimo, affinché il Papa si convincesse a dare ai gesuiti il monopolio delle missioni in Giappone. I cosiddetti ambasciatori erano in realtà due: Mansho Itō (capomissione e interprete), battezzato Mancio cinque anni prima, e Chijiwa Seizaemon (ambasciatore aggiunto), battezzato Michele. A loro furono affiancati altri due tredicenni di rango inferiore, quasi dei valletti: Hara Maruchino e Nakaura Jingorō, rispettivamente Martino e Giuliano.
Partirono da Nagasaki il 20 febbraio 1582 con una nave portoghese, che arrivò a Lisbona due anni dopo. Filippo II, re di Spagna e Portogallo, li ricevette in pompa magna e loro gli consegnarono tre lettere di signorotti giapponesi (daimyo) con le quali i firmatari dichiaravano completa sottomissione al re di Spagna, convinti che questo bastasse a tenere lontani altri daimyo intenzionati a conquistare i loro territori. Iniziò così un giro trionfale tra Spagna, Portogallo e Italia con visite a chiese, conventi e palazzi di varia nobiltà. La giovane età, l’esotismo del loro aspetto e la bellezza dei kimono aprivano tutte le porte.

Dopo più di tre anni tra Spagna e Portogallo, i giovani sbarcarono a Livorno il 1° marzo 1585, visitarono Pisa e, scortati da trenta lanzichenecchi, raggiunsero Firenze, dove il granduca di Toscana Francesco I de’ Medici li ospitò a Palazzo Vecchio e li coprì di regali. Da bravi giapponesi, in una sola settimana visitarono tutto il visitabile, ma più d’ogni altra cosa apprezzarono la fontana del Nettuno, con quelle rotonde nudità in bella vista proprio in mezzo a piazza della Signoria.
Il gran tour continuò a Siena, Bagnaia e poi a Roma, dove furono ricevuti da due papi, Gregorio XIII e il suo successore Sisto V, che sbandierò la loro visita come un atto di sudditanza al papato. Lasciata Roma, i quattro ragazzi proseguirono il viaggio accolti sempre con omaggi, festeggiamenti e scorte d’onore. Arrivati a Venezia, incontrarono il Doge e furono portati in gondola a Murano, dove rimasero stupiti dalla lavorazione del vetro. Il senato della Serenissima commissionò al Tintoretto i loro ritratti; opere a lungo ritenute perdute finché, nel 2008, fu individuato il dipinto raffigurante Mancio agghindato alla spagnola, attribuito a Domenico Robusti – figlio del Tintoretto –, che nel 2016 fu esposto con gran successo in Giappone.
Ovunque andassero suscitavano curiosità e uno strascico di commenti. Scrisse un attento osservatore ferrarese: «Avevano le facce tutte a un modo, che non si distinguevano l’un l’altro e egualmente i loro servitori somigliavano ai padroni, e detti signori si meravigliarono assai che nei nostri paesi noialtri non fossimo simili l’un l’altro di volto». Con quelle facce un po’ così, gli ambasciatori raggiunsero Genova l’8 agosto 1585 e si imbarcarono per Lisbona da dove, il 13 aprile 1586, salparono alla volta del Giappone, che raggiunsero nel giugno 1590.
Erano passati otto anni e mezzo dalla loro partenza.