Riscopriamo la geografia. Uno strumento per capire l'oggi

Mari, monti, confini... ma soprattutto persone

La geografia è un sapere di base, il cui valore formativo e potenziale conoscitivo sono banalizzati e misconosciuti se ridotta a uno sterile apprendimento mnemonico di toponimi e di nozioni. Il bisogno di emancipazione da questo approccio si ritrova già in testi di geografia britannici della fine del 1800, in cui si sceglie di raccontare le caratteristiche di paesaggi e territori ricorrendo a brani letterari per “imprimere nell’immaginario dei giovani un ricordo vivido e luminoso dei territori in cui le storie vengono ambientate, invece di aride descrizioni che, imparate a memoria, vengono spesso dimenticate” (Pictures of Travel in Far-Off Lands: A Companion to the Study of Geography, Londra, 1872). Conoscere i fattori naturali e antropici in grado di influenzare il clima a livello locale e globale, la differenza tra clima e tempo meteorologico, la posizione dell’Italia nel Mediterraneo e il prevalente sviluppo costiero del suo territorio (quasi 8mila km) sono informazioni utili che debbono essere certo patrimonio comune. Esattamente però come la consapevolezza che in un contesto come quello europeo, e italiano in particolare, il progressivo innalzarsi della speranza di vita alla nascita e il conseguente invecchiamento della popolazione hanno la necessità di essere bilanciati dalla creazione di opportunità e di condizioni di sicurezza sociale per contingenti di popolazione attiva in ingresso. Che il fenomeno delle migrazioni non sia “arginabile” o gestibile attraverso l’innalzamento di muri o azioni di respingimento sistematico è un’evidenza che dovrebbe entrare nel patrimonio di conoscenze di base e, quindi, diffuse. L’andamento del tasso di immigrazione in Italia (il rapporto tra immigrati e residenti), anche a confronto con il tasso dei Paesi “sviluppati” o dell’Europa meridionale, è in linea con la sua collocazione nell’attuale sistema di produzione del lavoro e della distribuzione ineguale della ricchezza. La dimensione strutturale del fenomeno migratorio può essere ignorata solo consapevolmente e per secondi fini. La questione non è infatti come fermare o contrastare l’immigrazione, che diventa irregolare e/o clandestina solo in funzione di dispositivi di leggi che limitano la libertà di movimento, ma altresì decidere come consolidarne il ruolo di volano dello sviluppo sociale ed economico e di quali strumenti dotarsi per garantire interventi tempestivi e adeguati al cronico verificarsi di emergenze umanitarie (belliche e/o ambientali).

I fenomeni migratori e la gestione degli stessi non devono rappresentare un problema in quanto tale per un Paese che voglia considerarsi civile, socialmente sviluppato ed economicamente avanzato. La realtà, a volerla raccontare per quella che è, è che l’impatto e la gestione dei flussi migratori evidenziano le inadeguatezze e le criticità di un sistema Paese come quello italiano, insufficiente in materia di politiche sociali (contrasto alla povertà, cura e riduzione del disagio sociale, sviluppo dei programmi di edilizia popolare e agevolata, finanziamento di istruzione, ricerca, sanità, ecc.) e di governo del territorio, sia in termini di esercizio del controllo (contrasto alla criminalità organizzata, al lavoro nero, all’evasione fiscale), sia nella cura dello stesso (questione meridionale, deficit infrastrutturale, consumo di suolo, marginalizzazione sociale ed economica delle aree periferiche, delle aree interne e delle aree rurali, dissesto idrogeologico, prevenzione e mitigazione rischio sismico e ambientale). E difatti l’Italia non solo ha perso 5 posizioni nella graduatoria mondiale dell’Indice di Sviluppo Umano, passando tra il 1990 e il 2017 dalla 17esima alla 22esima, ma vede tornare significativamente a crescere l’emigrazione verso l’estero, connotata da un preoccupante brain drain (fuga dei cervelli, emorragia non compensata da uguali movimenti in ingresso di risorse umane altamente qualificate). Una corretta educazione geografica alla cittadinanza, impartita attraverso una rigorosa didattica della geografia, troppo spesso entrambe ancora snobbate e/o poco praticate, rappresenta di fatto la condizione affinché tutto ciò non risulti maldestramente confutabile e altresì patrimonio comune di conoscenza... o forse è proprio per questo che, nel nostro Paese, storicamente non se ne supporta adeguatamente l’insegnamento (sic!).