di Gabriele Miccichè | Foto di Maria Spera
Il suo romanzo, I leoni di Sicilia, ispirato all’epopea della storica famiglia palermitana è stato il libro rivelazione della stagione. Touring ha chiesto all’autrice, Stefania Auci di accompagnarci tra ville e tonnare, piazze e palazzi, che segnarono l’era dei Florio e impressero uno stile a Palermo
Palermo non è mai stata felicissima» dice Stefania Auci, contraddicendo il paradigmatico titolo del libro dello storico Rosario La Duca Palermo felicissima. L’autrice è il fenomeno editoriale dell’anno con I Leoni di Sicilia primo volume della saga che vede protagonista la famiglia Florio a Palermo. Ci troviamo a piazza Marina in un bar che si trova proprio dove era la sede della Compagnia Battelli a vapore fondata nel 1840 da Vincenzo Florio. A Stefania abbiamo chiesto di guidare i lettori di Touring in giro nella Palermo della storica famiglia. Il suo è un libro sincero, onesto, vero. E di grande successo. E c’è da domandarsi come mai non sia stato scritto prima. La vicenda dei Florio è intimamente legata allo sviluppo della città siciliana dall’inizio dell’Ottocento sino agli albori della seconda guerra mondiale. Paolo e Vincenzo Florio si trasferiscono a Palermo da Bagnara Calabra in seguito al terremoto che nel 1783 devastò le coste della Calabria. Aprono quella che al tempo si chiamava aromateria, un negozio di spezie o meglio una drogheria si direbbe oggi. E fanno fortuna soprattutto grazie a Ignazio e Vincenzo jr.
La saga narrata dalla Auci conduce attraverso una storia che è soprattutto la storia di Palermo e della Sicilia degli ultimi due secoli. Gli intraprendenti Florio fanno fortuna con i mezzi che sono oggi riconosciuti come le risorse fondamentali dell’isola (ma che prima di loro non lo erano per niente): le stoffe, il cortice (ovvero il chinino che guariva dalla malaria), lo zolfo, il Marsala. Vincenzo poi ha un’idea geniale. Il tonno, che sino allora era conservato sotto sale, si può conservare sott’olio e commercializzare in scatole di latta. Nasce così un’industria che rappresenta un marchio di fabbrica dell’isola. È da piazza Marina che comincia il nostro giro. La piazza, che sino al medioevo era un golfetto bagnato dal mare, è dal 1300 uno dei luoghi del potere della città. È dominata dal palazzo Steri (o palazzo Chiaramonte, dalla potente famiglia che lo fece costruire all’inizio del XIV secolo). Qui si trovavano i magazzini della dogana, dove i Florio ricevevano le loro mercanzie. Il palazzo è oggi sede del rettorato dell’università e al suo interno è possibile visitare la Sala dei Baroni impreziosita da un soffitto ligneo realizzato tra il 1377 e il 1380 raffigurante un bestiario medievale e disegni geometrici di grandissimo fascino. Lo Steri dopo essere stato sede dei vicerè di Sicilia dal Seicento al 1782 ha ospitato il Tribunale dell’Inquisizione. In una delle sale del palazzo si trovano anche i graffiti che i prigionieri dell’Inquisizione disegnavano in attesa del loro giudizio. Leonardo Sciascia ne ha scritto pagine di toccante umanità. Il palazzo ospita anche il dipinto che è forse il più celebre di Renato Guttuso, La Vucciria.
Stefania è una donna schietta, sincera. Si appoggia con le mani al palazzo e dice «questo luogo mi fa sentire la storia della città». E lo fa senza affettazione, spontaneamente. Cuore della piazza è il giardino Garibaldi. È progettato dall’architetto Giovanni Battista Filippo Basile e come scrive la Guida Rossa del Touring Club “venne sistemato a square” secondo il modello che prendeva piede nelle grandi capitali europee, Londra, Parigi e Berlino sopra tutte. Il giardino si segnala per la presenza di due magnifici ficus magnoloides delle vere cattedrali naturali e tra gli alberi più grandi d’Italia. Giovanni Battista, che introduce le prime architetture Art Nouveau a Palermo, ancora prima che a Milano, Roma, Torino, è il padre di Ernesto il cui nome è indissolubilmente legato a quello dei Florio: sarà lui a costruire Villa Igiea e il villino Florio di viale Regina Margherita, veri simboli della Palermo liberty e della Palermo dei Florio. Dopo ci dirigiamo a piedi verso via dei Materassai. Oltrepassato viale Vittorio Emanuele, il Cassaro (dall’arabo al Qasr, la fortificata) una delle strade più antiche della città, tracciata già in periodo fenicio, si raggiunge il quartiere forse più pittoresco della città, la Vucciria (dal francese boucherie, macelleria). «È la città dei contrasti, Palermo» dice Stefania indicando il palazzo che, con ogni probabilità, fu la prima sede dell’impresa dei Florio.
La scrittrice è nata e cresciuta a Trapani ma da più di dieci anni vive a Palermo. «La mia città d’adozione. Persino la cucina è piena di contrasti: pensa all’agro e al dolce della caponata…». Accanto a questo edificio, una volta signorile, ci sono l’equivalente dei bassi napoletani, povere casuzze senza storia. La via dà poi su piazza del Garraffaello, una piazzetta dominata da una fontana che la leggenda voleva abitata da coccodrilli e oggi in via di restauro da parte di privati. È il cuore, con la vicina via dei Chiavettieri, della movida palermitana. Dopo questo tuffo nel centro storico della città è il momento di muoversi in macchina. Direzione la costa dell’Arenella e i contigui Cantieri Navali, la meta è la mitica Villa Igiea. Ma prima di raggiungerla ci fermiamo nel quartiere che è delimitato dai cantieri navali e dall’Arenella. Un quartiere che al disagio economico e sociale aggiunge una forte presenza mafiosa. È qui che Stefania, in un liceo, lavora come insegnante di sostegno. Un lavoro delicato che la mette quotidianamente a contatto con ragazzi e famiglie in condizioni difficili. Ed è qui che si trova il suo pescivendolo di fiducia dove ci fermiamo a comprare il pescato. Villa Igiea, nata come sanatorio è oggi un albergo di lusso. Il complesso che degrada elegantemente sul mare grazie a un prezioso giardino è ricco di raffinati dettagli decorativi – maioliche, ferri battuti, intagli in pietra. Il giardino è chiuso da un falso tempietto che ne sottolinea il fascino senza tempo. Gli interni molto eleganti trovano la loro più bella espressione nel salone Basile, un vasto spazio che ha conservato gli arredi originali realizzati dalla falegnameria Ducrot e arricchito da una straordinaria decorazione parietale che si deve al pittore Ettore De Maria Bergler che con grande eleganza riprende la favola dell’Aurora e del Tramonto o Floralia. È un trionfo di quello che è stato forse l’ultimo stile pienamente ottimista: un tripudio di bellezze femminili e di delicati motivi floreali che sottolineano un momento di intensa fiducia nel futuro. La villa affaccia sul mare, su un porticciolo turistico e una passeggiata nel suo giardino, una sosta presso la fontana che lo domina, sono un vero momento di refrigerio in una calda giornata estiva.
Poco distante, sempre in contrada Arenella, si trova la Tonnara Florio dove sorge la villa detta dei Quattro Pizzi, così chiamata per le quattro guglie in stile neogotico che la coronano. Negli eleganti ambienti fu ospitata, tra gli altri, la zarina di Russia che ne fu tanto affascinata da farla riprodurre integralmente a San Pietroburgo (esiste tuttora). A fianco sorge un mulino a vento realizzato per la macina del sommacco, attività fiorente in Sicilia agli inizi del secolo XX, un materiale da cui si estrae il tannino, elemento fondamentale per la concia delle pelli. Fu l’ultima dimora di Ignazio jr. Entrambi gli edifici furono progettati dall’architetto Carlo Giachery. Di nuovo verso il centro della città. Non lontano da piazza Politeama si snoda l’elegante via Regina Margherita dove si trova forse il più audace dei progetti legati ai Florio disegnato da Ernesto Basile: la Villa Florio. In origine si trovava al centro di un vasto parco. Oggi si eleva all’interno di un piccolo giardino dominato dalla nuova, non sempre felice, edilizia della città. Possiamo affermare, senza timore di esagerazione, che la villa è un piccolo capolavoro dell’architettura liberty, una delle prime d’Europa peraltro, costruita a partire dal 1899. L’edificio – dopo un incendio nel 1962 – ha subito un rigoroso restauro nel 2013 che ha visto ripristinare anche alcuni arredi interni tra cui le stoffe alle pareti eseguite sugli stampi originali conservati alla facoltà di architettura dell’Università di Palermo.
È questo il simbolo vero dell’età dei Florio. Di qui è passata l’aristocrazia e la grande borghesia europea degli inizi del Novecento. È qui che si svolgevano le leggendarie feste in cui donna Franca Florio divenne l’emblema della sua epoca. Ed emblematica è la vicenda del ritratto che di lei fece Giovanni Boldini. Commissionato nel 1901, all’apice dell’ascesa della famiglia dal marito Ignazio, il quadro fu terminato davvero soltanto nel 1924 quando i Florio non potevano più permettersi l’acquisto di un’opera di un pittore tanto quotato. Dopo essere stata esposta alla Biennale di Venezia del 1903 finì nella collezione Rotschild, poi – nel 1997 – è stato acquistato dai Caltagirone, per un periodo proprietari dell’hotel di villa Igiea e oggi appartiene alla collezione privata dei marchesi Marida e Annibale Berlingieri che lo conservano a palazzo Mazzarino, in via Maqueda, e lo scorso anno l’hanno restituito alla città, esponendolo in una mostra a villa Zito. L’ultima tappa del giro alla ricerca dei Florio è piazza Camporeale, poco lontana dal villino Florio. «Ci vediamo all’Olivuzza» era un modo dei Florio con cui invitavano gli amici nella loro villa. Un tempo tutta l’attuale piazza era un paradiso verde dove si affacciavano le ville della nobiltà siciliana. Oggi è una zona molto trafficata non lontana dal palazzo arabo-normanno della Zisa. Tra la piazza attuale e via Serradifalco sorgono i quattro edifici che un tempo costituivano il cuore della villa all’Olivuzza dei Florio, anch’essa circondata da un vasto parco.
Il primo, che oggi ospita il Circolo Unione, conserva la leggendaria stanza delle rose dove dormiva donna Franca: il nome si deve a un pavimento con un trompe-l’œil che riproduce una distesa di petali di rosa, comprato da Ignazio Florio per la moglie all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Sulla piazza affaccia un edifico che ospita l’Ordine degli architetti e una farmacia che è tuttora decorata con un magnifico tetto a cassettoni. Gli altri due edifici sono in uno stato di penoso abbandono. Le suggestioni di questa visita – non completa perché ci sarebbero ancora lo stand Florio nella costa meridionale di Palermo in borgata Romagnolo e le magnifiche ville nell’arcipelago delle Egadi: a Favignana dove i Florio possedevano un’altra tonnara, nell’Ottocento il più grande stabilimento industriale d’Europa, e a Levanzo (ora di Prada) dove la famiglia coltivava la vite – sono tante. Averlo fatto con l’autrice de I Leoni di Sicilia è stata un’occasione di guardare una città che non sembra poi così infelice.