Controcanto. A Genova tutta la vita è commercio

Una perlustrazione del centro storico di Genova, città mercante per antica tradizione, nelle cui vie tutto è commercio

Via S. Lorenzo riprende il colorito e l’aspetto della città superba, salendo dal porto, tra l’acquario, l’ascensore che sale senza meta, il Bigo, il finto galeone, le panchine sotto le palme, il suq, con la stessa autenticità della kasbah di Dubai. La graticola di S. Lorenzo, i leoni, con i grandi che proteggono i piccoli, che reggono le colonne con la policromia del Ponto, della Crimea e dell’Armenia, da cui veniva la ricchezza e la potenza del Banco di S. Giorgio, la navata laterale, cosparsa di sculture e i portali incisi da caratteri gotici, danno il messaggio della città protesa sul mare. Tutto nella via è commercio: il ferramenta esperto nei “ferri” e negli “ottoni”, il rigattiere stanziale ma errante per gli oggetti, ammassati alla rinfusa, la linea di venditori di strada che applaudono la saltimbanco, in verticale sulle braccia, a fare esibizione per un fotografo, accovacciato, sui lastroni di pietra. Si sale così, nell’anima della città, dal minuto commercio alla cima del sestiere del molo, in fronte al Palazzo Ducale (nella foto, piazza de Ferrari, ndr), come sarebbe arrivato qualunque viaggiatore dal mare, con il segno della potenza divina e poi di quella terrena.

Genovese e quindi mercante è stata la Repubblica, in tutte le classi, come lo è il risparmio, l’avarizia, come allora si diceva, che faceva storcere il naso ai viaggiatori abituati al lusso e all’inazione. Se ne vede traccia nel messaggio fuori dal chiosco dell’edicola di piazza Matteotti: «Sabato pomeriggio chiuso per malattia, domenica mattina aperto». Una preghiera, una invocazione a non essere abbandonato dalla propria clientela, una orgogliosa affermazione di voler guarire, una maledizione verso la sorte che obbliga a chiudere bottega nel pomeriggio di un sabato affollato, una capacità divinatoria e prognostica che il commercio riesce a suscitare. Nella descrizione dei viaggiatori di allora, la regola dei Rolli, cioè di alloggiare e nutrire a turno gli ospiti della Repubblica, si mischiava al desiderio di fare affari e i primi piani dei palazzi si riempivano di mercanzie, campionario ed esposizione, show room che pagavano le spese di casa, ridotte all’osso. Gli stretti vicoli nascondono altri palazzi, altre chiese, che hanno scale di pietra nera e decorazioni pittoriche o maiolicate nelle volte dei salotti, chiusi nella vista, dalle case di fronte.

La preziosa Guida Rossa della Liguria fa fatica a divincolarsi nel groviglio di pietre, sculture, decorazioni, architravi e e portali, che si sovrappongono, nelle varie stagioni della Superba. I caratteri tipografici si riducono nel tentativo di ricomprendere le opere dei Cambiaso e degli altri pittori del Cinquecento e del Seicento nelle case sopravissute ai bombardamenti, degli Spinola, dei Grimaldi. Si rimane estasiati nella descrizione del vico San Marcellino «che sottopassa a d. con un’arcata acuta la Torre del Piccamiglio, in conci e mattoni, con giri di archetti nel coronamento, eretta nel 1437 da Giov. Zerbi», non tanto perché il turista frettoloso, sbarcato dalle navi da crociera non ne avrà mai contezza, ma per la cura, l’attenzione, l’amore per la città, che ha avuto l’estensore della Guida Rossa, nel sottolineare la torre, anche se il valore artistico è poco. Verso il mare il groviglio dei vicoli è murato dai portici e i piani bassi ospitano l’ultima ondata di immigrati, con le barberie dai nomi del maghreb, i negozi etnici affiancati alle pasticcerie storiche. E alla sera, gli ambulanti di colore tornano dall’Acquario, con la loro mercanzia di cinture, accendini, oggetti in plastica, cover per smartphone e si avviano ai portoni dal volto di pietra scolpito, e ritornano a casa. Il sole sorgerà ancora.