di Mario Tozzi
Le bistecche dei Sapiens provengono da quel che resta della foresta amazzonica
Al momento in cui scrivo, sono ancora vive le cicatrici della più tremenda serie di incendi che abbia funestato la foresta pluviale amazzonica (foto a destra e in basso) e sono ancora evidenti le ceneri della foresta boreale siberiana attaccata dalle fiamme in estate. Le foreste bruciano da sempre? Che cosa abbiamo perduto? Perché? Si poteva evitare? E, infine, a che servono gli alberi? Questo annus horribilis non arriva certo inaspettato: ogni minuto che passa il pianeta Terra perde 30 ettari di foresta. Una cifra enorme, soprattutto se rapportata al passato, quando il mondo era un’unica immensa foresta, popolata da miliardi di animali, punteggiata di lagune e percorsa da fiumi. Ma già con le prime civiltà la predominanza assoluta della foresta fu pesantemente intaccata da agricoltura, caccia, pastorizia e metallurgia, e poi i palazzi, le flotte e l’uso bellico che divorarono legname fino alla distruzione dei boschi sacri teoricamente inviolabili. Infine la pressione demografica e il furore bonificatorio dei nostri avi, ansiosi di ridurre a pascolo o a terreno agrario qualsiasi bosco o palude. Da allora abbiamo bruciato e tagliato, e, in sostituzione, abbiamo piantumato solo boschi di scarso pregio. In cambio ne abbiamo ricavato un paesaggio degradato, aria meno pulita, frane e alluvioni. E abbiamo perso l’incredibile ricchezza della vita del pianeta, acqua pulita e possibili farmaci.
Ma oggi il pericolo è più grave che in passato, perché le aree forestate si sono sensibilmente ridotte e perché i sapiens sono sempre di più. E perché il cambiamento climatico in atto andrebbe moderato, se non annullato, mentre bruciare i boschi lo aggrava emettendo quantità colossali di CO2. I colpevoli sono gli agricoltori e le grandi imprese zootecniche e agro-industriali multinazionali che usano il metodo “taglia e brucia”: gli alberi vengono tagliati in estate e poi lasciati in campo per perdere umidità, infine bruciati. Al ritorno delle piogge, l’umidità del terreno denudato favorisce lo sviluppo di coltivazioni nuove per l’allevamento, responsabile dell’80 per cento della deforestazione in corso nella foresta pluviale. Un nuovo terreno che, vale la pena ricordarlo, sarà fertile solo per pochi anni, costringendo a nuovi denudamenti. Le bistecche dei sapiens provengono da quanto resta della foresta pluviale amazzonica.
Si sarebbe potuto fare qualcosa, per esempio spedire satelliti in grado di individuare un incendio alla sua prima scintilla, ma poi non sarebbe comunque stato possibile intervenire, perché i più vicini sono proprio quelli che hanno appiccato il fuoco, e che ci guadagneranno di più in termini di territori e allontanamento degli indigeni. Ci sarebbe voluto l’esercito subito, ma il “militare” Bolsonaro ha esitato settimane. Inoltre nessuna battaglia contro il fuoco si vince dall’alto, anzi: quando interviene un mezzo aereo si può essere sicuri che quel fuoco ha vinto. Quelle battaglie si combattono soprattutto in termini di prevenzione a terra. Ma bisogna volerlo. Come bisogna volere evitare che si ripetano catturando e punendo i responsabili, unico deterrente che funziona contro i criminali del fuoco, in questo caso responsabili di un crimine contro l’umanità. Quando avremmo capito che la foresta è un valore non dato dalla somma dei singoli alberi (cui pure si potrebbe attribuire un prezzo), tanto quanto il valore di un computer non sta nel prezzo dei suoi singoli componenti in silicio, allora forse avremmo fatto un passo in avanti.