di Silvestro Serra | Foto di Giuseppe Carotenuto
L'ambasciatore Umberto Vattani racconta la genesi e il futuro delle collezioni d'arte del Ministero degli Affari Esteri. Visitabili grazie al contributo dei volontari Touring
Vent’anni di impegno e di rapporti con i maestri dell’arte contemporanea: 496 opere di 273 artisti. Costo zero. Nessuna opera è stata acquistata ma sono tutte lasciate in comodato d’uso gratuito. È la Collezione d’arte contemporanea del Palazzo del Ministero degli Affari Esteri, la Farnesina, che già nel piazzale antistante accoglie dagli anni Settanta i visitatori con la Grande Sfera di Arnaldo Pomodoro dedicata “agli italiani che onorano la Patria nel mondo”. Una grande raccolta di capolavori moderni (tele, mosaici, installazioni, sculture, murales...) lunga sei chilometri e mezzo, spalmata tra saloni, corridoi, scaloni, uffici (1.500 le stanze, 5mila i dipendenti) nell’immenso palazzo romano sede del Ministero degli Affari Esteri, firmato dall’architetto Enrico Del Debbio negli anni ʼ39-43 del Novecento, insieme ad Arnaldo Foschini e a Enrico Ballio Morpurgo, e da lui completato negli anni Cinquanta.
Una Collezione che, però, cambia e si aggiorna continuamente, grazie all’accordo con artisti, galleristi, eredi. Tutti italiani gli artisti coinvolti, da Giacomo Balla a Piero Dorazio a Carla Accardi, da Fortunato Depero a Jannis Kounellis (greco ma con cittadinanza italiana), da Alberto Burri a Mimmo Paladino, da Michelangelo Pistoletto a Luigi Ontani, da Toti Scialoja a Emilio Vedova, ai fratelli Arnaldo e Giò Pomodoro... L’ambasciatore Umberto Vattani, per due volte segretario generale della Farnesina, già consigliere diplomatico di tre presidenti del Consiglio, 20 anni fa è stato l’ideatore, l’anima e il sostenitore di questa iniziativa.
Ambasciatore Vattani, facciamo il bilancio dei primi 20 anni di questa specialissima galleria d’arte, aperta al mondo intero giacché alla Farnesina passano i rappresentanti delle nazioni in relazione con l’Italia.
È nata nel 1999, quando non esistevano ancora i templi dell’arte contemporanea in Italia; c’era solo la Gnam. Il Maxxi di Roma, il Mart di Rovereto, il Museo del Novecento di Milano, il Madre di Napoli sono tutti arrivati dopo. Siamo stati dei precursori. Volevamo che il Ministero rappresentasse l’immagine dell’Italia di oggi, della ricerca scientifica, dello spazio, della medicina, dell’architettura, dei tanti campi in cui primeggiano i talenti dei nostri connazionali. E fra questi, ha un ruolo importantissimo l’attività artistica. Fare in modo che in questo campo si capisse che l’Italia non è ferma a Giotto, a Michelangelo, a Caravaggio, ma è anche Burri, Boccioni, De Chirico, Fontana e tutte le avanguardie.
Dare un’immagine contemporanea del Paese nel campo dell’arte. Vi fu un episodio che mi fece capire che si poteva fare di più. Quando si profilò la visita di Stato del Presidente Cossiga a Londra, io ero il numero due dell’ambasciata. Mi venne in mente che, anziché portare i tradizionali doni, potesse essere più originale regalare una fontana d’autore. Un artista italiano che contribuisse ad arricchire il paesaggio urbano della capitale inglese, sì che ne potessero fruire tutti i londinesi. Ne parlai a Roma con il Presidente: gli sembrò singolare ma fu accolta l’idea.
Conoscevo bene il sindaco di Londra, per cui ottenni le necessarie autorizzazioni. Questa fontana, The Italian Fountain, con al centro una scultura di Emilio Greco che rappresenta una Nereide, è tuttora in Carlos Place, a pochi passi della nostra ambasciata, e fu molto apprezzata sia dalla famiglia reale sia dai londinesi. Lì vicino c’era una chiesa di gesuiti irlandesi e sorse il dubbio che avrebbero potuto obiettare sulla rappresentazione della signora nuda che si specchiava nelle acque. Spiegai loro che era una citazione di Omero e la cosa passò liscia. L’operazione, sostenuta dagli istituti di credito italiani a Londra, non costò nulla al contribuente italiano.
Altri esempi di questa diplomazia dell’arte?
Ho continuato su questa linea e, nel 1990, in occasione della presidenza italiana dell’Unione Europea, presidente del Consiglio Giulio Andreotti, deliberammo il negoziato per la moneta unica. Per festeggiare l’intesa, offrimmo un’opera di marmo del ceramista, scultore e pittore savonese Mario Rossello, come auspicio di una crescita della comunità economica. L’albero ritratto dalla scultura ci sembrava ideale per simboleggiare lo sviluppo dell’Unione. E non mi sono fermato lì. Oggi nel mondo ci sono disseminate una decina di opere di artisti italiani. A Strasburgo una scultura di Consagra di sei metri per quattro; a New York una grande sfera di Arnaldo Pomodoro all’ingresso delle Nazioni Unite: non si può entrare nel Palazzo di Vetro senza vederla.
Quando ero ambasciatore a Berlino, riuscii a far installare accanto al Reichstag una grande scultura rappresentante un cavaliere, caduto ma non disarcionato, opera di Marino Marini. E, poi, abbiamo donato alla Russia, in occasione della visita di Gorbaciov in Italia, un grande disco solare di Pomodoro che si trova davanti al museo di arte contemporanea di Mosca: la prima opera che il visitatore vede è italiana. All’interno dell’edificio del Parlamento europeo a Bruxelles abbiamo collocato un cavallo alto 5 metri e 40 di Mimmo Paladino. All’epoca, fu necessario un negoziato con i 14 deputati questori del Parlamento perché nelle istituzioni europee non desiderano opere permanenti. Ma in questo caso fecero un’eccezione e hanno dovuto smontare le porte per farla entrare.
Qual è l’aggancio istituzionale di questa “strategia dell’arte”?
Lo trovammo nell’art. 9 della Costituzione: “La Repubblica onora le arti e il genio.”
Quali sono state le reazioni degli autori a questa “strategia dell’arte”? E in Farnesina?
Al Ministero nel 1999, eravamo alla fine del secolo, ci sembrò un buon momento per ricordare e valutare quello che quegli anni ci avevano regalato attraverso l’arte. Cominciammo a riempire il palazzo, che era praticamente vuoto, di opere. Chiesi a Consagra un bronzo d’imponenti dimensioni. «Scegli», mi disse. E io presi il più grande. Poi arrivarono le tele di Piero Dorazio, Carla Accardi, Antonio Sanfilippo, Giulio Turcato e il grande neon di Lucio Fontana che ha il suo gemello al Museo del Novecento di Milano; due opere di notevoli dimensioni di Alberto Burri e Ettore Colla; in più Marino Marini, poi Novelli, Afro, Mirko Basaldella.
Le reazioni interne? Non tutti prestano una particolare attenzione all’ambiente in cui lavorano. Alcuni ignoravano le vicissitudini attraverso le quali l’architetto Enrico Del Debbio riuscì a completare l’edificio, destinato a tutt’altro e quante volte il suo progetto dovette cambiare forma, oltre che localizzazione. Il primo catalogo delle opere, pubblicato un anno dopo l’avvio della Collezione, riportava una splendida ricostruzione storica del Palazzo della Farnesina raccontata da Paolo Portoghesi. Le stesse considerazioni valgono per l’ambiente interno. L’arrivo delle opere creò negli atri monumentali del Ministero, una “prossimità”, una presenza nuova e inaspettata che costrinse molti diplomatici a rendersi conto che avrebbero dovuto condividere lo spazio con degli sconosciuti.
Per dirla con Heidegger, le grandi sculture di Marino Marini, di Arturo Martini, dei fratelli Pomodoro e di Paladino, «aprivano al prodigioso e rovesciavano l’ordinario». Sconcertato qualcuno avrà pensato che il Ministero era più bello prima dell’arrivo delle opere di Penone o di Leoncillo. Vi fu sorpresa e stupore. Molti colleghi, quando videro le sculture, a loro avviso incomprensibili, si chiesero cosa stesse succedendo e alcuni addirittura mostrarono il loro disappunto. Un ministro degli Esteri meteora andò oltre, cercando di rimandare indietro tutte le 150 opere che avevamo già raccolto, con la motivazione che fosse rischioso custodirle alla Farnesina. Io ero in un’altra trincea, destinato a Bruxelles per preparare la nostra presidenza Ue e non potevo presidiare il ‘fortino’. Mio fratello, che ai tempi era ispettore generale al Ministero, si assunse tutta la responsabilità, dichiarando che avrebbe risposto di eventuali furti con il suo patrimonio personale, cosicché tutto si risolse in una bolla di sapone. Anche il Ministro, che uscì dal Governo.
E tra gli illustri visitatori?
L’ex segretario di Stato Usa, Madeleine Albright, rimase così sorpresa davanti alle opere esposte nel Salone d’Onore che chiese al ministro di allora, Lamberto Dini, di visitare l’intero piano. Reazioni simili giunsero da vari ministri stranieri. Un politico francese mi confessò che avrebbe provato a fare la stessa cosa a Parigi. Ma non era facile. Il Quai d’Orsay è un edificio del Secondo Impero tutto ori e stucchi, le opere contemporanee non si adattavano all’architettura del palazzo e finì con un buco nell’acqua. Se il Ministero fosse rimasto a Palazzo Chigi, dov’era fino agli anni Sessanta, forse sarebbe riuscito difficile anche a noi. Però siamo stati dei precursori, anche alla luce di quanto sta facendo il Presidente Mattarella al Quirinale, con la raccolta di arte contemporanea appena inaugurata.
Il progetto è basato sul comodato gratuito.
Dove sono collocate le opere? Si segue un criterio museale?
Certo, nel senso che la Collezione conferma l’impostazione di base, secondo la quale le opere non sono un orpello, una decorazione a fini estetici, bensì sono parte integrante dell’ambiente e raccontano il Paese attraverso i protagonisti delle sue espressioni artistiche. Per sottolinearlo, furono inizialmente collocate nei luoghi aperti, negli atri, nello Scalone d’Onore, nei corridoi: si evitò di inserirle negli uffici. Con l’aumento del loro numero fu giocoforza sistemarle anche nelle sale di rappresentanza e di riunione. Ma il concetto di un percorso, di un itinerario è sempre lì ed è stato evidenziato con la creazione di un Floor Plan. Le opere hanno ora raggiunto il rilevante insieme di quasi 500 unità. Non appartengono al Ministero che non avrebbe mai potuto acquistarle: sono prestate degli artisti, dai loro familiari o dalle fondazioni. Sin dal primo momento, riuscii a far capire che lo spazio grandioso di cui disponeva l’edificio della Farnesina era adatto a ricevere e a contenere opere contemporanee anche di grandi dimensioni. Ma che era altresì in grado, a sua volta, di “offrire" ai diplomatici, ai visitatori, alle delegazioni straniere, quanto il suo spazio contiene, rimanendone contaminato.
Avere adottato la formula del comodato fa sì che, rispetto a un museo o una galleria, la Collezione Farnesina sia una creazione in divenire: le opere rimangono in esposizione per un certo periodo, poi tornano al legittimo proprietario. Vi è un regolare turn over di opere e artisti. Tutti gli autori sanno, sin dall’inizio, che le opere che entrano nel palazzo sono destinate a far parte di una narrativa sempre in evoluzione. Aldilà degli aspetti giuridici, il prestito da parte degli artisti costituisce indubbiamente un “dono” di un momento di grazia della creatività. Per fugare ogni dubbio, dirò che il Ministero non desidera acquistare nulla e ha sempre rifiutato di acquisire la proprietà anche nei casi, e non sono pochi, in cui gli artisti hanno fatto il beau geste di offrirle in donazione. La verità è che, attraverso il prestito, si è creato un rapporto particolare tra comodante e comodatario, perché la generosità del primo è tale da non attendersi alcuna contropartita. Sono grato a Pietro Consagra il primo a concederci in prestito una sua scultura. Ha dato l’esempio che ha suscitato eguale generosità in tutti gli altri artisti.
Come si scelgono gli artisti e le opere?
L’asticella è molto alta e non si scende da lì. Questo assicura la qualità della Collezione e la sua rappresentatività del valore dell’arte contemporanea italiana. All’inizio ci fu molto vicino il critico Maurizio Calvesi, coadiuvato dall’allora giovane Lorenzo Canova. Poi fu creato un comitato scientifico con diverse anime, scelto tra i direttori di gallerie nazionali di arte moderna e curatori di chiara fama che potessero fare insieme valutazioni e rispondessero a criteri di obiettività. Oggi ne fanno parte Gabriella Belli, Cristiana Collu, Fabio De Chirico, Luigi Ficacci, Gianfranco Maraniello, Anna Mattirolo, Federica Pirani e Angela Tecce, consulenti straordinari.
Come funziona il turn over delle opere?
Per dirlo con Bergson: «La vita è sempre creazione, imprevedibilità e, nello stesso tempo, conservazione integrale e automatica dell’intero passato». Ci piace l’idea di questo dinamismo intrinseco. La Collezione non è un accumulo statico, ma una galleria viva. I prestiti durano tra i tre e i cinque anni. Di Marino Marini arriverà, in occasione dei vent’anni, oltre alla Pomona già presente, un cavallo dal museo di Pistoia; di Burri si aggiungerà un Sacco del 1955, una delle prime opere; poi, tornerà in prestito dal Mart La Rissa di Fortunato Depero. Quando fu sistemata la prima volta nello Scalone d’Onore, l’allora ministro Dini mi chiese: «Perché l’avete messa così in evidenza?». Gli risposi: «Noi diplomatici ci illudiamo di saper sedare le risse all’estero, ma qui all’interno è più difficile».
Ora, a partire dalle celebrazioni del ventennale della Collezione, scatterà la fase Farnesina due…
Il segretario generale della Farnesina, l’ambasciatore Elisabetta Belloni, è la prima donna a ricoprire questa carica. La stimo molto, ha una forte attenzione per la Collezione, giacché comprende appieno il valore della diplomazia culturale, e sono lieto che abbia intenzione di rilanciare l’iniziativa in occasione del ventesimo anniversario. Tutti i piani del palazzo ospitano opere degli ultimi decenni. Il secondo piano, con l’avvento degli artisti più giovani, ha cambiato aspetto ed è un vero spettacolo della nuova arte italiana. Sono in arrivo simbolicamente, altre 20 opere. Tornerà Paladino; si aggiungeranno un disco di Arnaldo Pomodoro, tele di Giuseppe Capogrossi, due mosaici inediti di Massimo Campigli, il Trittico dell’Angelo di Emilio Vedova e altri. Per l’occasione è stato edito anche un catalogo d’arte con una presentazione di Elisabetta Belloni, e un mio testo, oltre a quelli di Greta Alberta Tirloni, Paolo Serafini e Cesare Biasini Selvaggi.
Ospiterete anche la nuova generazione di artisti del XXI secolo, che si affidano a differenti modalità espressive?
In realtà ce ne sono già diversi. La scelta si rivela più difficile quando ci si avvicina agli artisti emergenti. Bisogna intercettare nuovi linguaggi e nuovi messaggi, avere la mente aperta al futuro. La caratteristica della Collezione è di svilupparsi scegliendo di volta in volta nuove direzioni. Ho sempre pensato che gli antichi fossero nel giusto nel ritenere che il passato fosse davanti e non dietro di noi. Dietro di noi è il futuro che è invisibile ed è ancora nel processo di divenire a noi precluso. Davanti a noi ci sono ovviamente i grandi artisti del passato ma anche coloro che hanno lasciato opere più recenti, fino agli artisti più giovani. Proprio perché sono davanti a noi non possiamo ignorarli. Il comitato ha recentemente scelto alcune opere di Oriana Persico e Salvatore Iacolesi che lavorano sull’intelligenza artificiale e di Luca Pozzi e Carola Bonfili la cui ricerca artistica è ibridata con le tecno-scienze. Sono tutti artisti che rappresentano il passaggio al nuovo secolo. Vorremmo essere da sprone per promuovere anche nelle rassegne internazionali l’arte italiana del XXI secolo, ponendoci come apripista. Alcune iniziative in tal senso sono allo studio.
Come la presenza di queste opere può giocare un ruolo di facilitatore in diplomazia?
Certamente facilita il dialogo, estendendolo a temi culturali, di regola meno controversi. Ci sono poi momenti in cui, nel corso di un negoziato, l’atmosfera si fa più tesa e magari la vista di un’opera d’arte può creare un diversivo.
Della presenza dei volontari del Touring Club Italiano di supporto all’apertura al pubblico della Collezione, che idea si è fatto?
La collaborazione dei volontari Touring per rendere fruibile la Collezione Farnesina funziona benissimo: si prendono cura con grande entusiasmo dell’accoglienza ai visitatori. Grazie a loro il Ministero degli Affari Esteri riesce a fare accedere il grande pubblico a una raccolta che rivela la ricchezza e la diversità del panorama artistico italiano moderno e contemporaneo. L’attività congiunta con il Touring Club Italiano è un valore aggiunto che apre un dialogo fra l’istituzione e il cittadino, secondo i canoni dell’arte d’oggi, per cui il lavoro degli artisti appartiene alla comunità e con essa s’interfaccia.
Se dovesse descrivere la singolare vita di questa Collezione, come la riassumerebbe?
La Collezione Farnesina è un gioiello espositivo in continuo divenire. Da venti anni proietta l’arte italiana nel mondo, rivelando e facendo apprezzare la ricchezza e la diversità dei movimenti artistici che hanno attraversato il nostro Paese nel Novecento. Questa raccolta d’arte stupisce le delegazioni straniere come sorprende il pubblico che visita periodicamente il Ministero degli Affari Esteri, grazie al supporto dei volontari del Touring, e rende orgogliosi gli studenti che si apprestano a gareggiare nello smisurato campo dell’arte con i loro pari. La Collezione, vera ambasciatrice del talento e della creatività dei nostri artisti, ha attraversato più volte gli oceani, ha percorso migliaia di miglia verso Nord e Sud, Est e Ovest. è soprattutto verso il Mediterraneo, però, che la Collezione può svolgere il compito di far comprendere ciò che, come popolo, ci unisce e ci emoziona. Ora si apre ai giovani talenti emergenti, selezionati da una severa commissione di esperti di chiara fama, affinché nelle grandi rassegne internazionali la voce dei nostri artisti possa farsi sentire chiara e forte.