Sardegna/1. San Sperate: arte in piazza

Gianmario MarrasGianmario MarrasAttila Kleb-Noarte2007Attila Kleb-Noarte2007Attila Kleb-Noarte2007

Grazie alla sfida di Pinuccio Sciola, lo scultore che faceva suonare la pietra, un borgo del Campidano è diventato una galleria diffusa d’artisti internazionali

Lui, Pinuccio Sciola, lo scultore che faceva cantare le pietre, non c’è più. Ma San Sperate, il suo paese, la sua creatura, la sua sfida e il suo orgoglio, non è mai stato così energico e vibrante. Il paese-museo circondato da frutteti di peschi, mandorli e aranceti, nel cuore rigoglioso del Campidano, conosciuto come la capitale del muralismo in Sardegna, si trova oggi al centro di una straordinaria rete di appuntamenti culturali, fulcro di una platea internazionale di artisti, scrittori, viaggiatori. Tutto inizia agli inizi degli anni Settanta, quando in quel piccolo agglomerato contadino, popolato da 4mila abitanti e 2mila asini, Pinuccio Sciola torna da un lungo viaggio a Città del Messico e inizia a tinteggiare i muri delle case costruite in fango, contagiato dall’energia di David Alfaro Siqueiros, muralista messicano tra i protagonisti della “rivoluzione dei muri bianchi”. Occhi azzurro-cielo e mani da gigante, Sciola decide così di avviare uno dei primi processi collettivi d’arte pubblica, invitando studenti e compaesani a imbiancare le facciate delle case per manifestare, in forma creativa, i disagi e i problemi quotidiani di una comunità dispersa nella memoria. Un sogno e una scommessa la sua, che però, da lì a poco, trasformò un paese refrattario alla bellezza, in una piccola Parigi della Sardegna. Complici del successo, decine di giovani artisti stranieri, soprattutto donne, arrivati a San Sperate attratte dalla fama che andava conquistandosi il paese: praticamente adottati dalle famiglie locali, vivevano gomito a gomito con la gente del posto in cambio delle loro opere. Ma a seguire Sciola e la sua colorata koinè di amici speratini, artisti e studenti furono in tanti, compreso il muralista senese Francesco Del Casino che a Orgosolo, dove visse per oltre 20 anni, ripropose l'esperimento dei murales in chiave marcatamente politica.

A San Sperate, insieme ai laboratori e alle performance a cielo aperto, nascono e si solidificano amicizie preziose, come quella tra il poeta Nino Landis e il muralista Angelo Pilloni, due uomini le cui passioni, estro e forza di volontà riuscirono a generare azioni in grado di trasformare il volto del territorio. Tra poche risorse e mille difficoltà, San Sperate inizia così a schiudersi al mondo, trasformandosi in un centro culturale ricco di scambi e confronti. Dalla Danimarca arriva la carovana dell’Odin Teatret, capitanata dal regista Eugenio Barba, in paese nascono il gruppo teatrale La cooperativa Maschera e la Compagnia Antas, mentre nelle botteghe si avviano laboratori artigianali come quelli di ceramica tenuti da Giampaolo Mameli che sceglie originali lavorazioni manuali associate a incessanti sperimentazioni. A metà degli anni Settanta la fama di Sciola arriva in “Continente”. Docente stimato e imprevedibile, affetto da quella che da queste parti chiamano ‘barrosia’, ovvero quella volontà a “viaggiare in direzione ostinata e contraria” come l’avrebbe poi definita Fabrizio De Andrè dal suo rifugio gallurese, lo scultore viene invitato nel 1974 a esporre le sue opere alla Biennale d’Arte di Venezia. Un approdo in laguna che non passa di certo inosservato e che lo vede protagonista, assieme a un’ottantina tra amici e compaesani, di insolite performance e cortei. Alla sera, tra le calli di campo Santa Margherita e piazza San Marco, una folla di attori, artisti di strada, musicisti e affabulatori, accompagnati da originali strumenti a fiato e manufatti in ferro, scende in piazza per mostrare l’anima più autentica della Sardegna, ostile all’immagine di un’isola formato cartolina dedita ai piaceri del jet set. La Biennale d’Arte regala a Sciola fama e notorietà e, al suo ritorno, San Sperate lo accoglie a braccia aperte. Sono gli anni in cui inizia a colorare l’asfalto delle strade con resine speciali dai colori pastello, a costruire divani e panchine in pietra per il suo Giardino megalitico e sono anche gli anni delle prime sperimentazioni nel suo Giardino sonoro, un bosco al confine del paese in cui dispone con cura centinaia di monoliti che, una volta tagliati e sfiorati con le mani o un archetto, emettono suoni suggestivi. «Le pietre nascono nuvole. Siamo noi che gli diamo i vestiti – raccontava sorridendo davanti al volto di spettatori sbigottiti –. Le nostre pietre parlano e cantano, perché hanno molte storie da raccontare...». Il sindaco Enrico Collu, favorevole alla trasformazione di San Sperate in paese-museo, tenta come può di arginare le mille iniziative del suo compaesano imprevedibile. La sera, nel Giardino Sonoro, a rischiarare i profili di alberi e pietre si moltiplicano i fuochi e i falò, mentre nelle vie del centro, per onorare il pasto condiviso tipico della tradizione “sparadesa”, si organizzano chilometriche tavolate a cielo aperto che mettono a soqquadro il traffico della zona. «Era un gran visionario – racconta oggi il sindaco –, impossibile enumerare tutte le sue idee: aveva in progetto di coinvolgere i più importanti artisti d’Europa disseminando di sculture tutta la statale 131, la colonna vertebrale dell’isola che collega Cagliari a Sassari. E voleva anche modificare la bandiera della Sardegna, col caratteristico simbolo dei quattro mori sostituendolo con più pacifici bronzetti nuragici».

Col trascorrere degli anni nel paese-museo si moltiplicano gli appuntamenti ideati da associazioni culturali e compagnie teatrali. Nel 2005, assieme a Paolo Lusci, oggi presidente del Premio Dessì di Villacidro, e a Mariano Corda, artista scenografo, Sciola fonda “NoArte”, il centro internazionale di scambi e confronti che porta a San Sperate decine e decine di artisti per un’unione culturale che mette la Sardegna al centro di una visione artistica del mondo. In 50 anni, i murales diventano oltre 500 mentre convegni, laboratori e festival animano le vie cittadine (ndr, lo scorso maggio, la Biennale Internazionale d’Arte di Cerveira, la più antica del Portogallo e della Penisola Iberica, ha scelto proprio il Comune del Campidano per il suo debutto in Italia). Pasionario e dalla creatività inarrestabile, Pinuccio nell’estate del 2011, viene invitato da Paolo Fresu, jazzista sardo di stanza a Parigi, sul palcoscenico del Festival di Berchidda per un concerto che rimarrà scolpito nella storia della musica. Le sue pietre sonore vengono suonate assieme al percussionista Pierre Favre, inondando la piazza con la musica scaturita dai blocchi di basalto (“la pietra che conserva la memoria del fuoco”) e di calcare (“la pietra che conserva la memoria del mare”). Pablo Volta, Moni Ovadia, Vittorio Sgarbi, Philipe Daverio, Gloria Campaner e Michael Nymon sono solo alcuni tra musicisti e intellettuali divenuti negli anni amici di Sciola, l’artista che nonostante la popolarità raggiunta non smetteva di camminare scalzo per le vie del paese, offrire granatina di uva ghiacciata all’ombra del suo giardino e offrire il caffè alla mattina ai suoi vecchi amici in bicicletta, compreso tziu Giuliu Podda, volto simbolico del festival di cultura popolare Cuncambias scomparso pochi mesi fa all’età di 105 anni. La fama dell’uomo che faceva cantare le pietre arrivò anche al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che, in occasione di un suo viaggio sull’isola, volle conoscerlo di persona nominandolo Commendatore. Nel 2016, forse sentendo arrivare la sua fine, nella chiesa romana di San Pietro in Vincoli, Sciola volle far cantare per l’ultima volta le sue pietre proprio di fronte al Mosè di Michelangelo, l’artista rinascimentale che per tutta la vita aveva cercato di dare voce al volto muto della pietra.