di Oscar Fremantle
Non ci sono solo i sentieri per Santiago. Questa regione nel nord ovest della penisola iberica, poco nota agli italiani, nasconde tante sorprese in natura e in cucina. E una lunga storia di terra e di mare
«Pellegrino»? «No, turista!». Così viene da rispondere ai gentili e premurosi locali incontrati per strada, parafrasando il Massimo Troisi di Ricomincio da tre, da parte di chi arriva e attraversa la Galizia, questa estrema regione atlantica della Spagna nordoccidentale, e non ci è arrivato camminando, scarponi ai piedi, bastone con la conchiglia di San Giacomo in mano e zaino sulle spalle (ma c’è chi ci va anche in bicicletta o a cavallo). Un ospite diverso rispetto alle decine di migliaia di pellegrini, appunto o viandanti che intraprendono uno dei numerosi cammini (da quello inglese a quello del Nord, da quello francese a quello della plata, da quello portoghese a quello primitivo...) che da secoli portano tutti, dopo centinaia di chilometri, sulla piazza e nella cattedrale di Santiago de Compostela. E non a caso il fortunato volume illustrato edito dal Touring Club Italiano si intitola appunto I cammini di Santiago (in attesa, per la prossima primavera, della nuova edizione della Guida verde Il cammino di Santiago con pagine d’autore a firma dello scrittore e provetto camminatore, il bolognese Enrico Brizzi). Possibile che non ci sia altro in questa vasta regione iberica se non le tracce della millenaria leggenda che vuole che un prete abbia visto cadere una stella in un campo (compos stela) e proprio in quel punto abbia trovato uno scheletro decollato riconosciuto subito da un vescovo come il corpo dell’apostolo martire sul quale costruire la chiesa e poi la mega cattedrale? Insomma, c’è dell’altro oltre ai campi di stelle nella gaelica Galizia? Partiti con questa domanda siamo presto arrivati alla conclusione che, destinazione Santiago a parte, si può visitare la Galizia anche per altre e altrettanto attraenti motivazioni.
E magari con altre aspirazioni che non quelle che attraggono i cristiani (e ultimamente molto più i laici) a mettersi alla dura prova fisica ed esistenziale per centinaia di chilometri, fino ad abbracciare da dietro la statua del santo apostolo e farsi affumicare dall’enorme botafumeiro, il grande turibolo per l’incenso che pende dal soffitto della cattedrale e che un tempo serviva per disinfettare gli infangati pellegrini. I motivi per arrivare in quella che già per i romani era Finisterre, la fine del mondo conosciuto, il punto più occidentale del continente europeo non mancano davvero. Così noi del Touring, che pure siamo sostenitori del turismo lento, dei cammini, della scoperta di luoghi e abitanti fuori dai percorsi più battuti dal turismo di massa, questa volta siamo rimasti immediatamente rapiti dalla vastità e varietà del paesaggio: spettacolari scogliere di granito a picco sull’oceano e tante rias (piccoli fiordi in corrispondenza delle foci dei fiumi), ma anche da imprevedibili spiagge selvagge di sabbia chiara e fine e da un mare, anzi da un oceano, dai soprendenti colori caraibici. Ma occhio a non resistere alla tentazione di un tuffo: si rischia di restare letteralmente senza fiato. L’acqua è decisamente troppo fredda per noi mediterranei. E tanto per restare sulla costa, ci hanno colpito anche i fari come la bimillenaria Torre di Ercole a La Coruña che è ancora accesa dal tempo dei romani oltre che i graziosi villaggi di pescatori e i parchi nazionali delle isole Atlantiche che conservano zone rupestri e tracce archeologiche degli insediamenti preistorici. L’entroterra non è stato meno affascinante con i suoi piccoli borghi medievali di pietra, i curiosi horreos (lunghe dispense di legno su palafitte di granito, utilizzate per conservare e proteggere dagli animali predatori i raccolti, che sembrano tante cappellette), e le grandi distese di vigneti. Il tutto in un panorama a perdita d’occhio di colline, valli e montagne apparentemente ancora non stravolto dalla eccessiva presenza dell’uomo e una natura in gran parte intatta.
Per andare su temi più prosaici un tour galiziano ha anche voluto dire la scoperta della gastronomia locale che è basata su una cucina di terra e soprattutto di mare ed è tra le più rinomate (e premiate) della penisola iberica e una serie di visite delle cantine che producono grandi vini, rossi e bianchi a denominazione docg. Una sosta, anzi tante soste, obbligata è stata quella fatta per visitare gli storici pazos, palazzi in gaelico, ovvero le cinquecentesche residenze nobiliari rurali (molte sempre aperte ai visitatori) anch’esse costruite in granito e circondate da magnifici giardini all’italiana o all’inglese, che conservano piante e fiori provenienti dai cinque continenti (la Spagna era allora un grande impero transoceanico), tra cui le più antiche e rinomate specie di camelie. In breve tempo siamo stati letteralmente coinvolti nella scoperta della singolare storia e dalla geografia originale di questa penisola iberica un po’ magica, così diversa dagli stereotipi classici, lontana dai luoghi comuni sangria- corride-flamenco-sole e relax balneare e fatta invece di riti, canti e lingue gaeliche (il galiziano è una lingua ufficiale come il catalano), di antiche leggende di sirene e marinai e di testimonianze di popoli preistorici e fortemente segnata dai resti del passaggio e del dominio degli antichi romani. Così lasciata Santiago agli stanchi pellegrini sdraiati sulle levigate pietre della piazza della cattedrale, ci siamo diretti verso la costa sud fino a Cambados, una cittadina sul mare che è un’altra “cattedrale”, anzi un vero santuario dei frutti di mare e del vino albariño. Allevamenti di cozze flottanti in corrispondenza dei rias e appartenenti alle famiglie dei pescatori, cantine storiche ospitate da secolari palazzi come il Pazo de Fefiñans, una sequela di stanze arredate come nei secoli passati con foto di gruppo di famiglia alla Gattopardo, mobili scuri, suppellettili e, alle pareti, mappe e carte geografiche del mondo allora conosciuto. Il tutto affacciato su un rigoglioso orto-vigna-giardino. Un breve tratto di strada panoramica lungo la costa tra spiagge candide ma con l’onda atlantica zeppa di surfisti, ci ha portato a Sanxenxo e a O Grove dove ci siamo imbarcati per visitare uno dei numerosi allevamenti di mitili, in corrispondenza del Ria de Arousa. Queste piattaforme di legno (a gestione familiare), ruotano con le correnti, ma sono ancorate al fondo con delle catene e forniscono tonnellate di molluschi tanto che la Galizia è diventato il secondo produttore mondiale, ovviamente dopo la Cina. Al Pazo de Rubiáns, a Vilagarcia abbiamo scoperto un po’ di storia della Spagna dei conquistadores. Il proprietario nominato vicere del Perù si era costruito una dimora adeguata al titolo che oggi gli eredi aprono ai visitatori per far ammirare i mobili, il lusso, gli archivi e i documenti di un Grande di Spagna.
Un’occasione anche per visitare la fornita cantina del doc Rías Baixas e la variegata collezione di storiche camelie, che ai suoi tempi doveva essere un vero e proprio simbolo di potere. Una passione per questi fiori che resiste: il giardino insieme ad altri, fa parte della Ruta delle Camelie. Un altro modo ancora per visitare la Galizia. Da Santiago a Fisterra, l’antica Finis terrae dei consoli romani, ci sono 80 km che molti pellegrini ancora inesausti compiono per arrivare al punto più occidentale dell’Europa. Ne vale la pena. Tra spiagge solitarie e dopo i due accoglienti villaggi di Muros e Carnota (con il più grande horreo) e una deviazione a Ézaro per le sue magnifiche cascate (in parte rovinate da una insulsa centrale elettrica) si arriva alla fine del vecchio mondo, al faro, all’oceano: di fronte solo l’America. Davvero emozionante anche se il nome Costa da Morte, ricorda gli innumerevoli naufragi delle navi. è ora di tornare a Santiago per ammirare certo il centro storico della città, patrimonio mondiale dell’umanità dell’Unesco, le stradine, i portici, le piazze, il magnifico parador, una volta ospedale dei pellegrini ora super albergo di stato proprio accanto alla cattedrale, i chiostri, i conventi. Ma anche per assaggiare finalmente la tanto decantata cucina gallega. Prima al mercato con la giovane chef stellata Lucia Freitas, poi nel suo ristorante, A Tafona; infine a Casa Marcelo, altro stellato con tavolo in cucina. Esperimento riuscito. Aplausos!