di Tino Mantarro | Fotografie di Vittorio Giannella
Da Ravenna a Firenze sul Cammino di Dante, ripercorrendo i passi dell’esilio del poeta quasi otto secoli dopo. Un percorso nato da due amici visionari che attraversa i panorami selvaggi e inaspettati della Romagna appennica e il parco delle Foreste Casentinesi
«Ma lo sai te che Dante ti è passato davanti casa?»
«Davanti casa, ma che vai dicendo»
«Certo, lì “sul rivale” sinistro del Montone nel Duecento transitava il cammino che dalle colline scendeva a Ravenna, la via percorsa da Dante per l’ultimo esilio».
Alle volte bastano poche parole orecchiate per caso per cambiare i destini di vite intere. Così, se una lunga tradizione evangelica vuole che Paolo sia stato folgorato sulla via di Damasco, Giordano Bezzi lo è stato sulla via di Dante. «Ero a una conferenza di topografia medievale, sarà stato il 2011. C’era lo storico Pietro Barberini che parlava della viabilità in questa zona nel Duecento» racconta Giordano, informatore del farmaco in pensione, ex campione di motocross e pilota di aerei ultraleggeri, uno che a definirlo vulcanico gli fai un torto, troppo riduttivo. «Gli ho spiegato dove vivo e mi è ha detto che la strada medievale passava proprio da lì, davanti casa, sull’argine del Montone, ti rendi conto?». E nel raccontarlo, otto anni dopo, ha ancora lo stesso entusiasmo di allora, quando gli bastarano poche frasi per fargli scattare la molla e iniziare a pensare a un Cammino dedicato a Dante.
Un itinerario ad anello tra la Romagna e il Casentino toscano che unisse la città dove il poeta è nato, Firenze, con quella dove è morto ed è da allora sepolto, Ravenna, ripercorrendo idealmente i passi del suo esilio, a inizio del XII secolo, settecento anni fa. «Andata e ritorno sono quasi 400 chilometri, dico quasi perché un chilometraggio esatto non c’è, dipende dalle deviazioni “dantesche” che si vogliano fare» aggiunge Oliviero Resta, ex-dipendente Enel che tiene a freno gli entusiasmi di Giordano e si occupa della parte burocratica di questa impresa. Un cammino senza dubbio duro, perché si sale, e spesso tanto, e perché lungo la via non ci sono molte occasioni per ristorarsi e fermarsi a dormire. Un cammino sorprendente a livello naturalistico, perché la valli forlivesi sono tanto belle quanto poco frequentate, e perché avvicinandosi alla Toscana ci si addentra nel Parco delle Foreste Casentinesi e la silenziosa maestosità delle sue faggete.
Tutto parte e arriva dal centro di Ravenna, davanti al tempietto neoclassico costruito nel 1780 dove sono conservate le ossa del poeta. Un posto dove le scolaresche vengono portate in un pellegrinaggio laico che sembra interessare più le professoresse che gli studenti, ma dove nessuno perde l’occasione di farsi un selfie. Un angolo dantesco a due passi dal Museo Dantesco che rappresenta un buon punto dove, se ce ne fosse bisogno, rinverdire il sapere “liceale” prima di mettersi in marcia. Da qui parte la prima delle 21 tappe che arriva a Oriolo dei Fichi, un piccolo balcone sulla pianura Padana, poi si sale per Brisighella, Marradi e la Toscana, lungo un gran bel percorso. Un Cammino così sarà pure il sogno visionario di Giordano e Oliviero, ma nella realtà lo si sta costruendo con l’aiuto di un sacco di gente. Persone come Osiride Guerrini, insegnante di lettere appassionata di storia locale con una predilezione per la topografia medievale, che ha approfondito la Ravenna di epoca dantesca fornendo una consulenza scientifica al Cammino. «Occorreva piantare delle bandierine, segnalare quali erano le vie percorse nel Duecento, fare raffronti con quel che il poeta scrive nella Commedia, perché Dante era un bravo geografo e la riempiva di riferimenti» prosegue Osiride citando le terzine che parlano del territorio ravennate.
O come Silvia Rossi, giovane guida laureata in storia medievale che ha aiutato a scrivere i tabelloni informativi sparsi lungo tutti i posti tappa. «Su questi cartelli vengono citate alcune terzine dei vari canti e viene raccontata la storia dei diversi luoghi» spiega. Anche perché un Cammino sta in piedi se è ben segnalato: se i viandanti smarriscono la diritta via allora è dura, non c’è Virgilio che tenga. «Ma se succede ci chiamano e andiamo a recuperarli, l’abbiamo fatto un sacco di volte» rassicura Giordano. Nel tracciare il percorso hanno cercato di renderlo il più semplice possibile, prediligendo i sentieri in cresta perché più panoramici, ma ogni tanto qualcuno si perde lo stesso. «Abbiamo messo i nostri recapiti sul sito perché ci sentiamo in qualche modo responsabili. Davvero, io quelli che camminano sul nostro percorso li considero tutti amici miei» aggiunge.
E infatti gli ospitalieri – come vengono chiamati coloro che sui cammini offrono ospitalità – condividono lo stesso spirito d’accoglienza. Come accade all’agriturismo Marzanella, una bella struttura dove ceni in una sala grande, quasi fossi uno di casa, e dalle finestre si gode una vista della campagna che ripaga delle fatiche. O come dalla Lorena, trattoria che si incontra nella frazione Fiumicello, quando si è sulla via del ritorno, scendendo dal passo della Calla verso Premilcuore, un paese Bandiera Arancione Tci che solo per il nome merita una sosta. All’uscita del bosco, sopra un laghetto per le trote La Lorena è uno di quei posti che tengono alto il nome della trattoria romagnola con un’infilata di salumi scovati nei paesini della zona cui si abbina una scelta di cappelletti e tagliatelle fatte a mano in porzioni pantagrueliche, e poi altro che camminare. O come al Pratello, l’azienda agricola di Emilio Placci, dove si produce dell’ottimo vino Sangiovese e ci si perde volentieri in chiacchiere, perché Emilio ha un sorriso contagioso e ha sempre un altro assaggio da proporti per non farti andare via. Esercizio che riesce bene anche a Maria Pia Tassinari che a Premilcuore ha una bottega all’ingresso del borgo dove imbottisce panini per i camminatori e li intrattiene (e trattiene) neanche fosse lei l’ufficio turistico del paese.
«Ma andate via? No, dai..».
«Eh, dobbiamo, il Cammino… Dante».
«Va bene, vero. Avete strada da fare. Però ripassate, eh, in autunno».
«In autunno?»
«Sì, che c’è il foliage come in Vermouth».
«Dove?»
«In Vermouth, che diventa tutto rosso, colorato, in America. Come si dice?»
«Vermont…»
E così la gente – per ora non più di una manciata al giorno – inizia a passare lungo il Cammino di Dante, complice anche il fatto che in queste colline forlivesi il percorso si interseca e si sovrappone con il Cammino di Sant’Antonio (che da Padova scende fino al santuario di La Verna, Arezzo) e con una variante di quello di San Francesco. Quale che sia la destinazione – Assisi, Firenze, Ravenna – quel che accomuna queste “antiche vie” è l’atmosfera. Perché tappa dopo tappa sugli Appennini si incontrano paesaggi inaspettati, luoghi che non credevi si trovassero ancora in Italia, dove con lo sguardo quasi non abbracci territori abitati, solo boschi che stanno ricrescendo oppure colline ben disegnate e campi coltivati a perdita d’occhio. Ma anche paesi che architettonicamente sembrano rimasti al Duecento, come Portico di Romagna, abitato diffuso di 700 abitanti amministrativamente unito a San Benedetto d’Alpe e che non a caso è anch’esso Bandiera Arancione Tci. Dalla torre del castello che domina il borgo, all’interno del parco dedicato all’Alighieri, lo storico locale Quinto Cappelli ha una sincera passione per il sommo poeta. Racconta che «il signore di queste terre era il Portinari, padre di Beatrice che dunque qui deve aver vissuto qualche tempo. Come di qui deve di certo esser passato Dante nel 1301, quando fu costretto al suo primo esilio». Ma se quel che spiega Quinto sta nei documenti e negli archivi, non altrettanto accertate sono molte delle storie che si sentono in zona. Ormai Dante è entrato nel folclore locale, ovunque si dice che lì è passato il poeta, che in quell’angolo ha scritto del Canto, e qualcuno ogni tanto ha inventato una terzina per inserire il proprio borgo nella Commedia. Ma è una forzatura comprensibile: «Il nostro orgoglio per queste terre passa dal Medioevo, perché se ti guardi intorno respiri l’aria che respirava Dante» spiega Quinto.
Aria che si respira anche al Vecchio Convento, posto tappa di Portico che è un albergo diffuso e un ottimo ristorante orchestrato in cucina dai fratelli Cameli. Due chef quarantenni che dopo esperienze in giro per il mondo hanno deciso di tornare e portare il mondo a Portico. Un turismo di nicchia, che per ora più che sul Cammino poggia sui corsi di cucina e sulla scuola d’italiano per stranieri dove, volendo, si insegna anche Dante. Turismo che da Portico parte per esplorare i dintorni come le Cascate dell’Acquacheta. Una cascata, scrive l’Alighieri nel canto XVI dell’Inferno, che «rimbomba là sovra San Benedetto/ de l’Alpe per cadere ad una scesa/ ove dovea per mille esser recetto». È una deviazione rispetto al percorso, ma merita. Per arrivare ci si immerge in boschi di faggi fitti e antichi, querce, abeti rossi e bianchi e carpini, camminando sul basolato medievale con un rumore d’acqua costante in sottofondo e un cinguettar d’uccelli che per forza si finisce per diventare poetici. «Ora, il viaggio in Paradiso ancora non l’ho fatto e spero di ritardarlo il più possibile. Però dimmi te se non deve essere un luogo simile a questo?» sospira Oliviero. Bisognerebbe chiederlo a Beatrice.