di Riccardo Morri | Foto Archivio Tci
Una riflessione sul concetto di paesaggio per la geografia: non solo uno spazio fisico, ma un luogo percepito dalle persone
Il paesaggio non è solo una cornice. Lo ha scritto nero su bianco la Convenzione Europea del Paesaggio firmata dagli Stati membri del Consiglio d’Europa il 20 ottobre del 2000 e ratificata dal Parlamento italiano nel 2006. Convenzione che testimonia la centralità della relazione tra le comunità che abitano un dato territorio e il territorio stesso, fondamentale per delineare le future prospettive di benessere e sviluppo. Ancora oggi la Convenzione è un documento poco conosciuto e spesso disatteso nell’applicazione dei suoi principi. Questo nonostante a livello normativo l’Italia fin dal 2004 si sia dotata di un Codice dei beni culturali e del paesaggio, istituendo al Mibac l’Osservatorio nazionale per la qualità del paesaggio, a cui si deve l’elaborazione della Carta nazionale del paesaggio del 2018. Proprio la Carta, evidenziando l’importanza dell’educazione alla cultura e alla conoscenza del paesaggio, si richiama al significato fissato all’articolo 1 della Convenzione: «Paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni».
L’espressione “percepita dalle popolazioni” è il riflesso di un passaggio epocale, perché codifica l’importanza del soggetto in relazione alla costruzione di un paesaggio e alla sua narrazione. La Carta segnala con preoccupazione la diffusa mancanza di consapevolezza tra i cittadini del reale valore di quello che chiamiamo paesaggio. Valore che è frutto di una relazione dell’ambiente naturale con chi lo abita, lo organizza e gli fornisce un senso, non solo in funzione del suo uso e sfruttamento. Detto altrimenti, per capire che cosa sia il paesaggio bisogna porre l’accento non solo sugli elementi naturali e materiali, ma sottolineare come i caratteri visibili siano frutto di elementi immateriali, che vanno dalla lingua ai toponimi a essa legati, fino all’organizzazione del territorio in relazione ai differenti comportamenti e alle diverse società. Per comprendere tutto questo serve la conoscenza geografica, conoscenza che manca alla società italiana, e che la Carta non nomina neanche una volta. Eppure è in questo campo che sono maturate alcune delle riflessioni più significative sul concetto di paesaggio, riflessioni grazie alle quali è possibile insegnare senza grandi difficoltà a leggere la complessità del suo significato. «Complessità – si legge nella Carta – che lo rende ai più una parola vuota, che contiene tutto e niente, un concetto inafferrabile, lontano. Educare al paesaggio significa rafforzare l’identità e il senso di appartenenza della comunità affinché questa riconosca il valore dello straordinario patrimonio collettivo del nostro Paese e operi per la sua tutela».
La lucidità delle donne e degli uomini della Costituente ha fatto sì che, in ossequio ai principi della Costituzione enunciati nell’articolo 9, allo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica debba essere associata la tutela «del paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». A queste poche righe, già tradotte nei programmi per la scuola, è possibile ispirarsi per promuovere grazie alla geografia l’educazione ambientale e l’educazione civica e alla cittadinanza, coerentemente con gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Binomio geografia-paesaggio che la Società di Studi Geografici ha deciso di ribadire promuovendo un convegno, che si terrà a Firenze nel giugno 2020, per celebrare i 20 anni della Convenzione.
*Riccardo Morri è presidente Aiig, professore di Geografia UniRoma1