di Diogene
Villa Pignatelli sulla riviera di Chiaia a Napoli oggi è un museo, ma la sua storia racconta la storia della città partenopea, delle sue famiglie agitate e dei loro rovesci economici
«Adolfo Rothschild, il rappresentante a Napoli dei grandi finanzieri francofortesi – che vi ebbe, combinando accortamente l’uomo d’affari con l’uomo di mondo, casa e ufficio»
Gino Doria, I Palazzi di Napoli, 1992
Il risorgimento turistico napoletano, inteso come riappropriazione del centro storico da parte dei visitatori, senza più il timore della microcriminalità e della assenza di regole e di servizi a prezzi controllati, è ormai un dato di fatto acquisito. Basta passare per via Toledo e da qui imboccare Spaccanapoli, per rendersene conto. La ritrovata attrazione della città storica permette di guardare con maggiore attenzione ai dettagli della splendente capitale degli ultimi decenni del Regno delle due Sicilie, quando lo sviluppo industriale della valle del Liri, i cantieri navali della costa, la nascente industria tessile e quella siderurgica, la trasformazione dell’agricoltura, attiravano energie da tutta Europa e con esse i grandi banchieri. Tra i primi, i Rothschild che diedero vita nel 1821 alla C.M. de Rothschild & figli, fondata da Carl Mayer von Rothschild e proseguita dal figlio Adolf. Dopo vent’anni di sviluppo la banca, protetta dalla Corte e divenuta la principale istituzione finanziaria del Regno, acquistò dagli eredi del baronetto Ferdinand Richard Acton la villa, costruita anche con i loro soldi, che questi aveva fatto edificare sulla Marina di Chiaia. Gli uffici, sul retro, alla fine del parco erano distanti e il grande loggiato con il colonnato, nella rilettura di Inigo Jones e del Palladio, si apriva, con la bellezza di un giardino inglese, turgido e lussureggiante all’ombra del Vesuvio, agli occhi dei clienti del commercio dell’olio e della pasta, ai turisti del Grand Tour, ai regnanti in visita e ai nobili della collina sovrastante.
Ma il giovane Adolf sbagliò molte scelte e nel 1860, spaventato da Garibaldi, si rifugiò a Gaeta con la Corte di Francesco II e della Regina Sofia, segnando la fine della banca che, subito dopo la unificazione, con il prevalere del sistema industriale del nord, chiuse i battenti e, bruciando tutti i documenti, rimase così senza storia. la villa fu venduta al principe Diego Aragona Pignatelli Cortés, discendente di Hernàn Cortès de Monroy y Pizarro Altamirano, Conquistador de las Indias, che la rimodulò nello stile della nuova Italia savoiarda, facendone la base della aristocrazia vicereale che andava al servizio del nuovo re ma conservando in cinquecento faldoni le migliaia di documenti (oggi all’Archivio di Stato) della conquista atzeca del grande antenato. La loggia e il grande salone furono sino al secondo dopoguerra il regno dell’eleganza e della bellezza dei Pignatelli e le tre pignatte del loro stemma ancora ingentiliscono la testa delle volte e la vasca da bagno in marmo di Carrara. La giovane Rosina, con il suo vitino di vespa, illumina ancora il salone da ballo, attorniata dalle fotografie del giovane Umberto, principe di Napoli e dei suoi genitori, con le dediche nei caratteri, gotici lineari, della calligrafia dedicatoria, ai piedi delle loro divise, per i membri della corte.
Oggi la villa è un museo, l’unica casa museo di una famiglia nobile napoletana della fine dell’Ottocento e del primo Novecento, e la stanza centrale, il salone da ballo, gli studioli, la biblioteca, conservano l’impronta e il ricordo della vita cortese di quasi un secolo fa e il giardino l’immutata bellezza voluta dall’Acton. A fianco, senza apparente connessione, l’horror vacui degli assessori e dei sindaci vi ha aggiunto la sala concerti nella loggia, gli spazi per esposizioni estemporanee al primo piano, privato dei mobili e delle suppellettili, probabilmente ora in qualche deposito. Gli uffici della C.M. de Rothschild & Figli, da cui si entrava dal portone sul vicolo alla fine del parco, sono chiusi al pubblico salvo che per le scuderie, trasformate in un museo didascalico di carrozze di altre famiglie di quella Napoli che consumava nel fasto la rendita della campagna. Il silenzio del parco protegge ancora dal rumore della Riviera e, attraversata la portineria e oltre il cancello, che separa l’immutata bellezza dello sfondo con la struttura architettonica che l’Acton fece rifare per oltre venti volte al disperato architetto che la progettò, la folla indistinta passeggia, con i figli che mangiano il gelato o lo zucchero filato, con i carrettini a pedali, le motorette a noleggio, le biciclette e i monopattini, o siedono sulle panchine, ai bordi delle due grandi vie che circondano la villa comunale, quasi chiusa dal pubblico, tra la collina e il mare. La principessa Pignatelli non abita più qui ma, lontano dal turismo di massa, gli abitanti si sono riappropriati della loro città, con la vista delle isole e del Vesuvio, tra Mergellina e via Partenope.