di Claudio Sabelli Fioretti | Fotografie di Elena Zanforlin
In Umbria la famiglia Fo ha ha realizzato una vera università nella natura, con oltre venti chilometri di sentieri tra faggete, querceti, prati e sorgenti
Migliaia di ulivi. Cinque di questi ulivi hanno più di 500 anni. Uno di questi cinque non appartiene a nessuna delle specie arrivate fino a noi. Jacopo Fo lo ha fatto analizzare e adesso sta cercando di ufficializzarlo e nel frattempo lo ha battezzato Franca Rame. Si respira Dario Fo in ogni momento della giornata, in ogni angolo dei 4 milioni di metri quadri dell’Università di Alcatraz (alcatraz.it), in ogni metro dei 20 chilometri di sentieri fra faggete, tartufaie, querceti, prati, sorgenti, orchidee selvatiche, ricci, cinghiali, volpi. Alcatraz ovviamente non è il famoso penitenziario americano. è una sorta di santuario naturalistico, di albergo, di bed and breakfast, di ristorante di qualità, di laboratorio artistico, di museo, di luogo di studio. è in Umbria, tra Gubbio e Perugia. è il regno di Jacopo Fo, figlio di Dario e di Franca. Io lo ho utilizzato come luogo di trekking. E lo consiglio anche a voi se volete passare qualche giorno guadando il Resina, piccolo affluente del Tevere, ammirando antichi casali, un mulino ad acqua, una vecchia fornace per coppi, tracce di mura medioevali, torri. Grande incrocio fra natura incontaminata o quasi (ci sono anche due piscine, una delle quali di acqua calda) e creatività. A me ha costretto a ricordare tempi passati, la gioventù, il ’68, la Milano del movimento studentesco, la palazzina Liberty, Mistero Buffo, i capodanno passati al Salone Pier Lombardo bevendo spumante in bicchieri di plastica cantando Bandiera Rossa e Bella Ciao.
Alcatraz è costato tanto alla famiglia Fo in soldi e passione. Oggi Jacopo valuta in 6 milioni di euro l’impegno economico nel tempo. «Ho dovuto costruire perfino un ponte», ricorda. Una fatica notevole. Tutto ecologicamente corretto, ovvio. «E a me è servito a salvarmi dalla psicoanalisi». Jacopo mi ha accompagnato nel trekking. Venti chilometri, mica bruscolini. E mi ha mostrato le casette e i casolari dove sono disseminate le 25 camere, tutte con bagno e tutte dipinte. Si può dormire anche nella torre antica o nella Casa di Dario. E fra qualche tempo perfino nel peschereccio arrivato direttamente dal porto di Napoli e ancorato su un prato in attesa del restauro. Abbiamo girato per i sentieri tutta la giornata e Jacopo mi ha mostrato gli impianti di fitodepurazione, le centraline solari, le macchine per cippare il legno che serve per il riscaldamento, il maneggio dove i cavalli vengono fatti vivere in pace senza alcun obbligo di lavoro. E infine sul cucuzzolo dove rimangono ancora tracce di antiche strade e di zone religiose. Se come me qualcuno volesse sperimentare questo tipo di trekking soft, godendo delle statue, degli affreschi, delle istallazioni della famiglia Fo, potrebbe anche incappare in gruppi di studio sui temi più vari della ecogalassia, o magari più semplicemente potrebbe mischiarsi a reduci nostalgici dei tempi che furono, a gruppi di boyscout attendati, a studenti di corsi avanzati di tecniche forestali. Io sono capitato il giorno in cui una trentina di ragazzi della Basilicata hanno terminato una settimana di studi e ho potuto godere della loro cucina regionale, con cibi arrivati in giornata portati personalmente dal sindaco di Marsicovetere. E i peperoni cruschi sarà difficile dimenticarli.