Emilia Romagna / La valle del buon gusto

Massimiliano RellaUfficio del Turismo Parma / MeridianaVittorio GiannellaVittorio GiannellaUfficio del turismo Parma / Meridiana

A Parma e dintorni alla scoperta della Food Valley, terra di eccellenze gastronomiche italiane famose nel mondo

 

«Dal 18 ottobre 2019 siamo in guerra con gli Usa». Nicola Bertinelli, presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano, è preoccupato. Comprensibilmente. I nuovi dazi voluti dal presidente Donald Trump vanno a colpire pesantemente anche il parmigiano reggiano. Il mercato Usa infatti è il secondo dopo quello francese e vale 10mila tonnellate di parmigiano reggiano l’anno. E se i nuovi dazi incideranno per 117 milioni di euro sull’argoalimentare italiano di qualità (dati dell’Istituto per il commercio estero), l’impatto sul solo parmigiano reggiano è del 25 per cento, quasi 30 milioni di euro. «Questi dazi non sono altro che una ripicca perché l’Europa tutela le dop registrate: i formaggi americani (come il parmesan, ma anche l’asiago, il gorgonzola, la fontina tutti made in Usa) non possono entrare. Noi non permetteremo mai agli americani di vendere qui il parmesan. Altrimenti, non saranno solo le aziende italiane a subire un danno, ma i consumatori stranieri che vengono ingannati perché acquistano un falso convinti di acquistare il vero parmigiano reggiano» spiega Bertinelli.
Insomma, una guerra commerciale in piena regola, fatta anche di colpi bassi. Con l’Italia che rischia di subire e che chiede aiuto all’Europa sia in termini legali, sia in termini economici. Perché quando si parla di Made in Italy a volte si dimentica che l’italian food è famoso e apprezzato nel mondo quanto moda e motori. Se Milano ha il Quadrilatero della moda, Parma è il cuore della Food Valley.

Il termine, coniato di recente ed evidentemente pensato per il turismo internazionale, si riferisce alla provincia di Parma intesa come culla di prodotti agroalimentari di qualità, dop, igt e doc: prosciutto di Parma, salame di Felino, culatello di Zibello, spalla di San Secondo in prima linea, il già citato parmigiano reggiano dop e due igt meno celebri ma altrettanto preziose come i funghi porcini di Borgotaro e il tartufo nero di Fragno. Poi c’è la tradizione della pasta, secca – Barilla nacque in una panetteria di Parma nel 1877 – e ripiena: i tortelli di ricotta ed erbette sono il piatto più diffuso nei ristoranti tradizionali di Parma assieme agli anolini di manzo, rigorosamente in brodo. I sapori della Food Valley sono protagonisti anche di numerose feste e sagre, come il Noceto Track Food Festival estivo, un tripudio di salumi, torta fritta e carne di cavallo, molto amata nel Parmense.

Dal 2015 Parma è “Città creativa della gastronomia” dall’Unesco. Il progetto nacque nel 2004 per identificare le città che hanno fatto della propria eccellenza in determinate aree – gastronomia, ma anche musica, letteratura, cinema... – il motore dello sviluppo economico. In altre parole, l’Unesco ha certificato che a Parma e provincia il “mangiare bene” è anche un asset economico, oltre che culturale. Questa è la terra della Barilla, della Parmalat, della Mutti, e dove dal 1985 si tiene Cibus, Fiera internazionale dell’alimentazione. Le Città creative della gastronomia sono 18 nel mondo; tre sono in Italia: Parma, Alba, la città del tartufo e, dal 31 ottobre 2019, Bergamo, per i formaggi.
 

Fra le attività pensate per far conoscere i prodotti di Parma e della Food Valley c’è il Tasty bus un autobus che porta i visitatori nei luoghi di produzione delle eccellenze parmigiane: caseifici, prosciuttifici, acetaie (sì, l’aceto balsamico tradizionale sconfina anche qui dalla vicina provincia di Modena). Ne abbiamo preso uno e a bordo eravamo gli unici italiani: c’erano americani, inglesi, tedeschi, cinesi e perfino una coppia di messicani. «Stiamo diventando una delle tappe del Grand Tour dei turisti stranieri: passano di qui spostandosi da Venezia e Firenze. Gli italiani sono pochi, soprattutto scuole. Peccato», spiega la guida Elisa Matulli che per Maestro Travel Experience organizza questi tour per il Comune di Parma. Con lei abbiamo imparato uno dei grandi segreti dei salumi emiliani, la ragione per cui il loro disciplinare non è in alcun modo replicabile altrove: il tasso di umidità nell’aria. Il culatello di Zibello, per esempio, è un salume realizzato con la culaccia, la parte alta della coscia del maiale, quella più morbida. A renderlo unico e prezioso è il fatto che la sua produzione è limitata solo a un piccolo gruppo di Comuni lungo la sponda del Po e solo tra ottobre e febbraio. Solo in quell’area e in quel periodo l’umidità garantisce la stagionatura perfetta. «La cosa più difficile – racconta Elisa – è spiegare ai turisti stranieri il nostro approccio verso il cibo, che, lo sappiamo bene, è quasi una forma di religione».
Se il cibo è una religione, deve avere i suoi luoghi di culto: la splendida Reggia di Colorno, che ospita Alma, la scuola di alta cucina che fu presieduta dal maestro Gualtiero Marchesi; la Corte Pallavicina di Polesine Parmense con annesso ristorante Al Cavallino Bianco, dove i fratelli Spigaroli portano avanti una tradizione di eccellenza nella produzione del culatello di Zibello dop; la Corte di Giarola, a Collecchio, che oltre allo storico ristorante omonimo e ai musei della pasta e del pomodoro (vedi box) ospita anche un teatro e la sede dell’Ente Parchi e Biodiversità Emilia Occidentale.

Per capire che cosa lega il pomodoro a Parma – più che ad altre realtà del Sud Italia, tradizionalmente associate a questo prodotto – bisogna fare parecchi passi indietro. Arrivato in Italia nel Cinquecento dalle Americhe, per due secoli il pomodoro fu considerato una pianta ornamentale e non commestibile, e fu cucinato (come conserva) solo a fine Settecento. Ai primi del Novecento, il crollo del prezzo del grano costrinse i contadini emiliani a cercare un’alternativa più redditizia. Il direttore della Scuola Agraria Carlo Rognoni propose di coltivare la barbabietola da zucchero; il direttore della cattedra ambulante di Agricoltura Antonio Bizzozero il pomodoro. Chi fu ascoltato, è oggi evidente.
E il territorio non si è limitato alla coltivazione, si è orientato anche verso la trasformazione, tanto da esportare oggi, in tutto il mondo, non solo i prodotti a base di pomodoro ma anche la tecnologia per l’industria conserviera. Questo spiega perché oggi il pomodoro sia a pieno titolo tra i prodotti tipici (e fra i protagonisti dei Musei del cibo) del Parmense.
Nel 1913 il professor Bizzozero scriveva: «State pur certi che i maccheroni al sugo con pomidoro, col relativo condimento di burro di pura panna e Parmigiano stravecchio, diverranno due istituzioni mondiali». Per fortuna a volte si è profeti anche in patria.