Il viaggiatore. Stregati da Venezia

Da Lord Byron a D’Annunzio, tanti gli scrittori che hanno subito il fascino senza tempo della laguna

 

«Il silenzio di Venezia può essere comodamente utilizzato per il godimento di tutta una vita» sosteneva Jean Giono. Un nano l’aveva portato in una piccola locanda, il vino era fresco e l’aria profumata di iodio. Lo scrittore francese raccomandava lo spettacolo di piazza San Marco a notte fonda, quando l’orchestra del Florian se ne era andata, e l’acqua, salendo, obbligava a mettere i piedi sulla sedia del caffè.
«La luce veneziana è pallida e viva» notava Virginia Woolf in viaggio di nozze. Era, concluse, «un luogo bellissimo per morirci. Quanto a viverci, non mi sono mai sentita tanto depressa; esagero, però dopo un po’ ci si sente come un uccello in gabbia».
Un giovane Oscar Wilde venuto a Venezia con i genitori aveva ammirato«il perlaceo e il porporino della conchiglia marina che echeggia nella chiesa di San Marco».
La gondola con a bordo Marcel Proust scivolava tra i palazzi di porfido e diaspro «che emergono rosei e silenziosi fuori dalle acque». A mezzogiorno, quando la gondola lo riportava indietro per l’ora di pranzo scorgeva di lontano lo scialle della mamma posato sulla balaustra d’alabastro con un libro che lo teneva fermo contro il vento. Grazie a un temporale gli fu concessa, nella basilica di San Marco, «quell’ora di buio e di tempesta in cui i mosaici brillavano soltanto della propria materiale luce e di un oro interno, terrestre e antico».
«Piano! Ancora più piano!», gridava Hermann Hesse al gondoliere. Ipnotizzato dalla «superficie verde chiaro dell’acqua solcata da mirabili giochi iridescenti» si fece portare in vista dell’isola di Santo Spirito, dove il povero vogatore dovette spostarsi a destra e a sinistra interpretando i cenni dello scrittore.

 

Gabriele D’Annunzio apprezzava la quiete dei canali e quell’armoniosa piazza San Marco, che sembrava il vestibolo d’un paradiso «materiato di marmo e d’oro». Traversava i musei senza degnare di uno sguardo i capolavori, ma si immobilizzava per ore davanti al Carpaccio dell’Accademia o ai Tintoretto della Scuola di San Rocco.
Jean Cocteau, come Ernest Hemingway (nella foto, in piazza San Marco), scendeva al Gritti Palace, dove era sempre pronta per lui una bottiglia di vino soave. «Ci sono poche cose al mondo più piacevoli che sedersi sulla terrazza del Gritti mentre il sole al tramonto bagna di colori meravigliosi la chiesa della Salute».
Muto e assorto, Ezra Pound preferiva l’ora di pranzo, quando la città si svuotava. Usciva ogni giorno, con qualsiasi tempo, dalla sua dimora alla chiesa della Salute per passare il ponte dell’Accademia, attraversare Campo Santo Stefano e imboccare via XXII Marzo spingendosi fino alla Riva degli Schiavoni.
Paul Morand tornò molte volte a Venezia, «incastrata tra il cielo e l’acqua, sottile strato di mattoni di un rosa tenero, qua e là ridestato dal bronzo verdastro delle cupole e dei campanili». La sua Venezia però non era più dominata dal silenzio, ma gioiosamente assediata dal rumore.
Se «davanti al Ponte dei Sospiri, gli echi del Tasso non si sentono più» come cantava George Byron, non era per l’abbandono, ma per il brusio dei motori dei vaporetti, dei motoscafi cromati e delle imbarcazioni della marina, tra cui il gondoliere che l’accompagnava faticava a mantenersi in equilibrio.