di Barbara Gallucci
Utilizzare strutture pesanti come “tele” per artisti di tutto il mondo. L’esperimento della città vallesana ha trasformato decine di ecomostri di montagna in una galleria da scoprire sciando o camminando. Un esempio di “riciclo” da imitare
La mia è una famiglia di galleristi in Germania. Io ho studiato Scienze politiche in Spagna e negli Stati Uniti, ma la passione per l’arte l’ho ereditata. Però mi piaceva anche sciare e quindi sono venuto qui per diventare maestro di sci. Forse proprio sciando mi è venuto in mente che avrei potuto combinare le mie due passioni sulle piste di Crans-Montana», racconta Gregory Pages, fondatore del Vision Art Festival, la manifestazione che ha sconvolto e stravolto la rinomata località del Vallese svizzero. Già perché, anche se meno di 10mila persone vivono qui tutto l’anno, durante la stagione invernale per la neve e in quella estiva per il golf il paese si trasforma in una città di 40mila persone con decine di seconde case che non sono sempre esempi vincenti di edilizia ben inserita nell’ambiente. A fine ottocento Montana (la dicitura Crans-Montana è più recente) era un sanatorio rinomato in tutto il mondo. L’aria particolarmente secca era l’ideale per recuperare la forza fisica per corpi tubercolotici. Che fossero poeti dall’animo travagliato alla Emily Dickinson o imprenditori ruggenti ma arrugginiti dalle fatiche e dai fumi della rivoluzione industriale, questo era il posto dove passeggiare, seguire terapie, farsi anche un po’ notare. Dal secondo dopoguerra però le cure di questo tipo non erano più necessarie fortunatamente e la località si è trasformata nella mecca degli sport invernali con funivie, impianti di risalita, hotel più funzionali e seconde case. Tantissime seconde case. Il bel mondo cominciò ad affollare Montana in ogni stagione apprezzandone al contempo l’assoluta riservatezza e la mondanità. Lo 007 Roger Moore, ma anche Sophia Loren e Renzo Piano, hanno avuto la loro bella quota di Crans-Montana. Ma se le ville chic dei vip immerse nella natura non sono sotto l’occhio di tutti, i condomini di cemento armato non passano inosservati soprattutto se intorno c’è il panorama montano della cosiddetta “corona imperiale”, 360 gradi di picchi e vette spesso innevati e molti oltre i 4.000 metri. Nel frattempo si sono evoluti anche gli impianti di risalita, ne sono stati costruiti di nuovi, certamente più tecnologici ma comunque a base di cemento. «Ho pensato che quelle strutture un po’ mostruose potessero essere perfette come ‘tele’ per gli artisti. Nel 2015 è nata così la prima edizione del Festival», prosegue Gregory.
Da allora circa 80 muri sono stati dipinti da artisti provenienti da tutto il mondo, tutti tra i 1.500 metri della cittadina e i 3.000 degli impianti più in alto. Macchie inaspettate di colore che sbucano dalla neve mentre si sale su una funivia o si scende da una delle mitiche piste protagoniste delle competizioni internazionali. «Il nostro dna è unico, gli artisti vengono qui a luglio e dipingono da soli immersi nella natura con un panorama che spesso li ispira, senza auto, né rumori. È decisamente un’esperienza speciale», conferma Gregory con una punta legittima di orgoglio. E così è impossibile non sorridere di fronte agli sciatori infreddoliti immortalati dall’artista spagnola Marina Capdevila, non rimanere estasiati dai contrasti di colori di Okuda, non sentirsi straniati di fronte alla collezione di farfalle di Mantra. Ciascuno col suo tratto e il suo stile dà la propria visione del mondo e il murale assurge a forma d’arte in grado di trasformare un ecomostro in un’opera che racconta una storia, dalla lotta tra le mucche ai ricordi personali, o trasporta altrove, magari persino sulla metropolitana di New York con tutte le tag (firme) incomprensibili ai più. Uno scarto spaziale di pochi chilometri in auto ma di migliaia dal punto di vista geografico è quello che si sperimenta entrando nell’edificio completamente ricoperto di pannelli solari della Fondation Opale a Lens, riaperta da pochi mesi. Un gruppetto di bambini dell’asilo segue una lezione di yoga con inquietante tranquillità e abilità mentre intorno decine di opere d’arte aborigena australiana raccontano altre storie, sempre coloratissime, di graffittari del Downunder. Si intitola Before Time Began la mostra allestita in questo spazio per volontà della collezionista e mecenate Bérengère Primat che racconta l’evoluzione dell’arte contemporanea aborigena negli ultimi decenni. La complessità di colori e linee non può non far pensare che, in fin dei conti, bombolette e colori naturali, muri e tele, hanno tutti lo stesso scopo: raccontare storie che testimonino il proprio tempo. Certamente cambiano stili e schemi, ma anche qui tutto trasporta in un tempo e un luogo diverso.
E di trasporti e mode che cambiano racconta anche la storia dello Chetzeron: «La funivia entrava da quella grande finestra. Fino a 20 anni fa questo era un impianto funzionante e molto attivo. Poi è stato abbandonato per costruirne un altro poco più in alto più moderno e capiente. Per anni questa struttura è stata lasciata a se stessa. Io più la guardavo più ci vedevo il luogo ideale per un ristorante e hotel direttamente sulle piste», Sami Lamaa, ristoratore e imprenditore di origini libanesi, ha così deciso di trasformare un ecomostro anni Sessanta in una struttura ecocompatibile con ristorante di alta cucina e un albergo di design di poche stanze, tutte ovviamente con vista sulle montagne e la valle. Una cartolina con la sua cornice. Un esperimento originale di riconversione architettonica a 2.112 metri che partecipa alla rivoluzione in atto a Crans-Montana. La bella vallesana che aveva perso un po’ di smalto per troppa ingordigia si è affidata a visionari in grado di vedere il bello oltre il grigio del cemento. Anzi, in grado di farlo risplendere di una nuova luce propria.