di Tino Mantarro | @Mario Garcia Llorca
Ad Anghiari l’orgoglio per la propria storia diventa motore per una vita culturale sorprendente. Tutto parte da una battaglia del 1440...

Alla tessitura Busatti, ad esempio, l’orologio torna indietro fino al 1842 quando l’azienda – da allora in mano alla stessa famiglia – nacque come lanificio, «anche se la tradizione della lana non è tanto di questa zona quanto del Casentino» sottolinea Giovanni Sosalini, che da qualche decennio ne tiene le fila. Nello stabilimento che occupa un palazzo antico dirimpetto al centro ci sono macchinari di fine Ottocento che ancora funzionano, spesso manovrati da operai che rappresentano la terza generazione di famiglie che con orgoglio lavorano in azienda da quasi un secolo, a loro agio nel concerto di trabattelli e nel cruciverba di fili che rimanda alle filande inglesi di Dickens. Ma gli operai di Dickens a Londra non vivevano certo bene come invece tutti quanti dicono di vivere ad Anghiari. Qui l’economia si regge su turismo e coltiviazioni di tabacco, il lavoro per ora resiste e con esso gli abitanti, che di andar altrove proprio non ne vogliono sapere. «Andar dove? Qui noi in definitiva si sta bene, s’ha tanto da fare, perché c’è sempre un motivo pe’ veni’ ad Anghiari. E noi siamo lì a organizzare» racconta Ilaria Lorenzini, giornalista di Tele Etruria che qui s’è fermata a vivere e non cambierebbe per nulla al mondo. In effetti il calendario annuale di eventi è così fitto da far invidia a centri più grandi. «È un mix di appuntamenti pensati per attarre gente da fuori e momenti in cui la comunità si ritrova e rinnova con la partecipazione il suo senso di appartenenza» spiega il sindaco, Alessandro Polcri. «A dispetto del suo essere piccolo, questo è stato un posto culturalmente vivo. Negli anni Settanta c’era il premio letterario Anghiari, ora al teatro comunale dei Ricomposti (un gioiellino settecentesco) c’è una stagione di prosa importante e un’associazione – retta da Andrea Merendelli e Paolo Pennacchini – che ha prodotto spettacoli sperimentali, dalla drammaturgia dello sport al teatro popolare. «E poi ogni estate mettiamo in scena Tovaglia a quadri, spettacolo in forma di cena che si tiene in Piazzetta del Poggiolino ed è interpretato dagli abitanti del borgo» prosegue Paolo, che oltre a essere drammaturgo ha una passione per le beccacce – i volatili – che l’ha portato ad aprire, lo scorso aprile, un museo unico al mondo, il MuBec, interamente dedicato alle beccacce.
Molto di questo attivismo è merito della Pro Loco, che ha iniziato le sue attività nel 1968, con la mostra delle armi anghiaresi «perché questo è sempre stato un paese di tradizione armiera» racconta Piero Calli, presidente da 40 anni. «Allora iniziammo un po’ per fare uscire il paese dal suo arroccamento – prosegue – che è fisico ma anche mentale. Abbiamo fatto bene, e da cosa è nata cosa». Dove “cosa” è da leggersi sia come eventi come una canonica mostra d’artigianato, sia come Centogusti d’Appennino, mostra mercato dedicata all’enogastronomia della val Tiberina. «Siamo una Toscana autentica, questo non è il Chianti... gli stranieri hanno preso casa in campagna, ma il paese non si è svenduto. Perché siamo innamorati della nostra Anghiari, amanti fattivi: ci prendiamo cura della sua vita in tutti gli aspetti, da quelli goliardici e ricreativi a quelli sociali fino ai più spicci, come mettere fiori e fioriere fuori dalla porta per abbellirlo». Così come in ogni borgo toscano che si rispetti c’è una Misericordia (il progenitore toscano della Croce Rossa) attiva dal 1506 che dentro le mura, in un palazzo rinascimentale, ha anche un suo piccolo museo con tanto di lettighe ottocentesche. Ma organizzano pure un inaspettato festival diffuso di musica orchestrale, corale e da camera, il Festival di Anghiari. Sette giorni a fine luglio in cui vengono ospitati i giovani talenti della Southbank Simphony di Londra che seguono lezioni e regalano al paese concerti nelle piazze e sulle mura. Concerti cui si dedica anche l’Umbra Lucis Ensemble di Fabrizio Lepri, specializzato in una cosa assai particolare: far rivivere gli strumenti antichi conservati nei musei e non solo, cercando di riproporre la musica del tempo ambientandola in luoghi d’epoca, che tra piazze e pievi nel territorio non mancano.
Remota o meno, la memoria è un vizio contagioso ad Anghiari: dal 2012 a metà ottobre si corre l’Intrepida, una gara ciclostorica nata sulla scorta dell’Eroica che oggi accoglie mille partecipanti e coinvolge tutta la comunità che per tre giorni si cala negli anni Cinquanta. Un’esperienza particolare e partecipata, così come è particolare il Festival dell’autobiografia che si tiene l’ultimo weekend di agosto. «Non è che l’evento più grande di un progetto articolato, nato nel 1998 dopo un convegno che negli anni si è concretizzato nella Libera università dell’autobiografia» spiega la presidente, Stefania Bolletti. «L’idea è costruire una pedagogia della memoria, un lavoro incentrato sulla scrittura e su un percorso di auto-formazione che risponde a un bisogno della società contemporanea, un bisogno di ascolto e condivisione». E l’Università della condivisione con il paese va fiera. «Potrebbe essere la solita cosa calata da Milano: gente che arriva, sfrutta il posto come quinta di una bella esperienza e va via. Invece abbiamo fatto in modo che si creasse un indotto: il corso è spalmato lungo nove mesi in cui 60 persone vengono almeno quattro volte per tre giorni e dormono ospiti nelle case» aggiunge
Negli anni si è lavorato anche al recupero della memoria del paese, raccogliendo le storie dei tanti restauratori e intagliatori che hanno fatto fortuna nel Dopoguerra. «Tutto nasceva grazie alla scuola d’arte, specializzata in intarsio e restauro del legno», spiega mastro Santi, uno dei pochi a portar avanti la professione. «Chi l’ha creata, 60 anni fa a seguito del boom dell’antiquariato, c’ha visto lungo: perché la scuola in paese ha creato un movimento con tanti artigiani cresciuti in anni in cui l’acquisto di mobili antichi, rinascimentali, andava molto di moda». Ora la congiuntura è cambiata, ma la scuola è ancora attiva, ben ancorata nel suo palazzo medievale in centro paese, anche se gli alunni sono pochi e bastano solo per una classe.
Se il restauro è in declino resiste invece la coltura del tabacco, varietà Kentucky, quello con cui si fanno i sigari toscani. «Tutto è iniziato nel Quattrocento, ai tempi della Repubblica di Cospaia, qua vicino. Oggi nella piana ci sono 123 aziende che piantano, raccolgono ed essicano, ma il microclima migliore è qua ad Anghiari. Un lavoro antico, ancora manuale, dal taglio alla sistemazione, perché ogni singola pianta deve avere solo 12 foglie» raccontano Alessandro e Marco, dell’azienda agricola Alessandrini, una delle più grandi, che alla coltivazione del tabacco ha affiancato l’allevamento delle vacche chianine. E proprio in queste campagne segnate dai campi di tabacco e illuminate dai girasoli e dal grano, si compie ogni 29 giugno il rito della Palio della Battaglia, in cui si sfidano podisti che – come avvenne nel 1440 – devono portare in paese la lieta novella della sconfitta dei milanesi. Perché quei giorni di cinque secoli fa in cui nella piana tra Anghiari e Sansepolcro si affrontarono i soldati di Firenze, Venezia e del Papato e quelli del Granducato di Milano che aspirava a conquistare i territori dei Medici, è ancora fondante per il paese. Così alla vicenda è dedicato un piccolo e attivo museo comunale, «che racconta la storia del paese e si concentra su quell’episodio storico la cui fama forse è dovuta più alle vicende della rappresentazione che ne fece Leonardo a Palazzo Vecchio che alla sua storia» spiega Mazzi. Già, perché del quadro di Leonardo non si ha traccia se non nelle riproduzioni che ne fece Rubens. «E noi anghiaresi una riproduzione della lotta dello stendardo l’abbiamo tutti in casa. Non è solo orgoglio, o campanilismo. È qualcosa che sentiamo davvero, ci cresciamo, lo viviamo quotidianamente – spiega Fabio Cecconi –. A chi non è di qui può sembrare una bischerata, ma questa bischerata è l’essenza della toscanità». O forse solo l’essenza di Anghiari, un luogo dove il passato è molto presente.