Riscopriamo la geogafia. Carta canta... quel che vuole il potere

«La geografia serve a fare la pace, anche se spesso viene usata per giustificare la guerra». Lo scriveva nel 1976 il geografo francese Yves Lacoste nella sua critica sull’uso degli strumenti e delle conoscenze della geografia a fini bellici. Lo ripete oggi Massimiliano Tabusi, segretario di AGeI, l’Associazione dei geografi italiani e dell’European Association of Geographical Societies, nello spiegare con l’aiuto della geografia la natura dell’offensiva turca in Siria.

«La geografia è come una lente che aiuta a individuare i singoli fili di una ingarbugliata matassa, per resistere alla tentazione di tagliarla brutalmente nel modo apparentemente più rapido, la guerra. Solo se si vedono “i nodi”, si può pensare di scioglierli senza spargimenti di sangue» spiega Tabusi. Purtroppo è anche vero che la geografia può essere usata in modo opposto. «La cartografia, per esempio, è uno strumento di comunicazione potente, semplice e oggettivo solo in apparenza, può essere anche usata per banalizzare fatti complessi». Ed è proprio quello che ha fatto il presidente turco Recep Erdoğan lo scorso settembre, mentre dal podio delle Nazioni Unite illustrava le sue intenzioni con una carta geografica. «Nella sua mappa tutto appare strumentalmente semplice. Per Erdoğan la Turchia ha due gravi problemi: al suo interno diversi milioni di rifugiati siriani (anche grazie a un accordo con la Ue); all’esterno, oltre il confine sud con la Siria, le forze curde, che etichetta come terroriste, controllano e organizzano territori. La carta “parla da sola”: Erdoğan traccia una linea rossa che delimita una fascia in territorio siriano profonda 30 km. Da lì basterà allontanare con la forza i curdi e trasferirci qualche milione di rifugiati. Semplice, come la ristrutturazione di un appartamento nel progetto dell’architetto» prosegue.

Se però utilizziamo l’approccio geografico della complessità, la lente mette a fuoco molti aspetti a diverse scale. «Localmente: cosa “significano” quei centimetri sulla carta? Anonimi spazi vuoti (ammesso che esistano), o luoghi riconquistati allo “Stato islamico” dalle forze curde, combattendo metro per metro? Ed è una soluzione sostenibile disporre lì milioni di rifugiati siriani, a prescindere dal loro luogo di origine? Se si osservasse un’altra carta, quella delle elezioni in Turchia, si vedrebbe anche che i partiti filo-curdi sono molto forti all’interno della Turchia del sud-est. Ecco allora che quella fascia territoriale sarebbe anche una sorta di muro umano, utile ad allontanare le popolazioni curde che vivono in Turchia da quell’esperimento di confederalismo democratico, laico e potenzialmente contagioso, conosciuto come Rojava e realizzato proprio nello spazio geografico oggetto dell’offensiva» aggiunge Tabusi.

Per tacere delle importanti risorse (petrolio, ma anche acqua), che pure la geografia spinge a considerare, i fili del famoso gomitolo ci condurrebbero ad altre scale. «Quella regionale, dove la Turchia aspira a diventare potenza egemone. Quella globale: l’abbandono della basi militari Usa nelle quali, dopo poche ore, si sono insediate le forze russe è l’immagine perfetta del gioco geopolitico globale. Non può essere dimenticato, poi, il complesso rapporto tra Turchia e Ue: dai tentativi respinti di ingresso nell’Unione al tentativo dell’Unione stessa di esternalizzare – attraverso l’accordo sui migranti – le proprie frontiere rispetto alla pressione dei profughi siriani. Espediente che si rivela un boomerang quando alla Ue, che ha tentato di esprimersi sull’offensiva nel Nord della Siria, la Turchia ha risposto ventilando la possibile riapertura della rotta balcanica dei profughi. D’altro canto “per ogni siriano rimandato in Turchia dalle isole greche, un altro siriano sarà ridislocato nell’Unione” non è la bizzarra regola di un gioco dell’oca: è la traduzione letterale di un passo dell’accordo Ue-Turchia. È geografia.

*Riccardo Morri è presidente Aiig, professore di Geografia UniRoma1