Inchiesta. Qui la messa è finita

Andrea Di MartinoAndrea Di MartinoAndrea Di MartinoAndrea Di Martino

Sono centinaia le chiese, i conventi, i monasteri in disuso in Italia. Altri invece, una volta sconsacrati, hanno iniziato una nuova vita. Non sempre canonica, ma spesso accogliente e con un’atmosfera speciale

Qualcuno a Trapani la chiama ancora la Posta vecchia perché la chiesa di S. Rocco, dopo aver svolto per centinaia di anni il suo lavoro liturgico, fu trasformata in ufficio postale. Divenne in seguito ufficio di igiene e profilassi per le vaccinazioni, quindi sede di vari istituti scolastici, infine fu sbarrata e l’oblio l’avvolse. Avvenne poi il miracolo. Grazie alla diocesi trapanese il luogo di culto dedicato al Santo che protegge dalla peste, dopo 150 anni è stato riaperto e restaurato. Oggi l’oratorio di S. Rocco è un monumento religioso ritrovato, ma anche un centro per la ricerca, le arti e il dialogo culturale e, come sottolinea il suo direttore don Liborio Palmeri, uno «spazio qualificato per mostre, presentazioni di libri ma, soprattutto, una chiesa per i giovani». Un caso raro però, che è riuscito a conservare una continuità con il passato e a garantirsi un futuro legato alle nuove esigenze spirituali della comunità. Tanti altri edifici di culto, invece, tra Italia, Europa occidentale e Stati Uniti, vengono sottoutilizzati o abbandonati al loro destino perché non ce n’è più bisogno. I loro nemici sono stati il calo della pratica religiosa, la contrazione demografica, la diminuzione delle risorse finanziarie della Chiesa, la situazione del clero, con molti sacerdoti in età avanzata e pochissime nuove ordinazioni e, non ultime, le calamità naturali che, sisma dopo sisma, sbriciolano anche il patrimonio ecclesiastico, specie quello più fragile che include le chiese e le pievi rupestri da cui il nostro Paese è storicamente caratterizzato.
«Coscienti che una chiesa abbandonata o in pericolo costituisce una contro testimonianza – spiega don Valerio Pennasso, direttore dell’Ufficio nazionale dei beni culturali ecclesiastici e l’edilizia di culto, con sede a Roma – molte diocesi decidono di dare un uso non più liturgico all’edificio di culto pur mantenendone la proprietà, oppure di venderlo a una istituzione o a un privato, oppure, altre volte, quando non abbia valore storico, artistico o architettonico, di procedere alla sua demolizione». Grazie a un censimento partito nel 2005 e non ancora concluso, abbiamo abbastanza chiari i numeri del patrimonio della Chiesa in Italia (oltre 200mila edifici sacri di cui 77mila di proprietà delle parrocchie e gli altri appartenenti a Regioni, Comuni, Ordini religiosi, privati cittadini e Ministero dell’interno, che ne detiene oltre ottocento gestiti dal Fec, Fondo Edifici di Culto). Eppure non è mai stato realizzato uno studio sistematico sulle chiese dismesse, anche solo per una parte del territorio.

«È estremamente difficile – dice don Valerio – indicare delle stime sulle reali trasformazioni che nel tempo sono state operate sulle chiese o sui complessi conventuali o monastici. Occorrerebbe un vero e proprio censimento a partire da fine Ottocento. Possiamo comunque stimare in diverse centinaia i monumenti religiosi, tra chiese e monasteri, che dalla metà del Novecento sono andati distrutti e non più ricostruiti, oppure trasformati e utilizzati per altre finalità non liturgiche». Il problema, pur senza dati censuari, è certo di grande portata se si è sentito il bisogno di organizzare qualche mese fa un convegno internazionale dal titolo Dio non abita più qui? alla Gregoriana di Roma, l’Università dei Gesuiti, per individuare un riuso ecclesiale con finalità sociali, culturali, ricreative e di accoglienza dei monumenti religiosi dismessi. Più arte e cultura, dunque, incitano i sacerdoti, come antidoto al “virus” che, come già accaduto in passato e accade ancora oggi specie in Nordeuropa, sta trasformando gli edifici sacri in loft, alberghi, enoteche e piste da ballo. La lista è lunga, come testimonia il reportage fotografico di Andrea Di Martino, La messa è finita, che ha immortalato oltre cento chiese sconsacrate da Nord a Sud d’Italia, mutate spesso in attività poco rispettose delle loro radici spirituali: la discoteca Il Gattopardo Café a Milano (via Piero della Francesca 47), per esempio, ricavata da una chiesa dedicata a S. Giuseppe della Pace e sconsacrata negli anni ’70; l’officina per le auto la cui sede era il monumento religioso della Madonna della Neve, a Portichetto di Luisago, in provincia di Como, sconsacrato nel 1959; la banca che si è mangiata l’ex chiesa di S. Sabina, a Genova. «Eppure – racconta Di Martino – pur nelle estreme trasformazioni di questi monumenti, ho ancora respirato nella maggior parte dei casi un’aria di sacralità e di pace». Come dire, una volta chiesa per sempre chiesa. Ma come si fa a vendere un edificio sacro? Spiega don Valerio: «Il parroco, sentiti gli organi parrocchiali, deve rivolgersi al vescovo che, a sua volta, prima di autorizzare l’alienazione, si consulta con il consiglio diocesano per gli affari economici e con il collegio dei consultori. Se il valore del monumento è superiore al milione di euro la vendita deve essere autorizzata dalla Santa Sede. Possono essere cedute sia le chiese sconsacrate (dichiarate tali per decreto del vescovo competente, di solito dopo un lungo abbandono) sia quelle dismesse, ma queste ultime devono mantenere la loro caratteristica di luogo sacro, anche se da tempo non svolgono la loro funzione. La vendita, però, è l’extrema ratio perché il loro valore non sta solo negli aspetti economici, organizzativi e gestionali, ma nel significato identitario che essi possiedono per le comunità e il territorio che le circordano».

Dipende quindi dalla sensibilità e dalla lungimiranza di parroci e vescovi scegliere attraverso progetti propri, di privati o di associazioni (come quella dei Templari cattolici italiani che tiene vita oltre 300 edifici di culto) un futuro alternativo alle chiese abbandonate, che continui a parlare di bellezza e di speranza alle proprie comunità. Il culto, dunque, diventa anche cultura e specie nelle grandi città, l’esperimento funziona. A Venezia, sono oltre trenta le chiese chiuse: uno studio dell’Università Iuav (Istituto universitario di architettura) ipotizza una loro riapertura anche come luoghi di lavoro, come per esempio laboratori di restauro del libro e di artigianato artistico, rendendole di nuovo parti vitali della città. Altri monumenti religiosi come S. Lio, S. Gallo, S. Antonin e S. Fantin sono a disposizione per iniziative artistiche e progetti site specific mentre le chiese della Croce alla Giudecca e di S. Gregorio ospiteranno rispettivamente i depositi delle Gallerie dell’Accademia e il Museo d’arte orientale. A Treviso, fresca di restauro brilla l’ex chiesa di S. Teonisto, sede della Fondazione Benetton Studi Ricerche e luogo di cultura in grado di ospitare eventi di respiro internazionale (Touring marzo ’18). Il complesso intervento ha restituito ai cittadini un’architettura rinnovata, ma capace di raccontare il passato di luogo sacro, danneggiato dai bombardamenti del 1944, depredato dei suoi arredi, e infine dimenticato. Successivamente sconsacrato e adibito a usi diversi, il monumento fu acquisito nel 2010 da Luciano Benetton, che in seguito l’ha donato alla Fondazione. A Milano, tra le altre, ecco l’ex chiesa di S. Sisto, che ospita il museo-studio Francesco Messina (luogo aperto dai volontari Tci, vedi riquadro qui sotto), dove è conservata parte delle opere scultoree dell’artista siciliano; la cinquecentesca chiesa di S. Paolo Converso, sede collaudata di installazioni di arte contemporanea mentre quella che fu la chiesa dei Ss. Teresa e Giuseppe è una biblioteca multimediale. A Roma, l’oratorio medievale di S. Andrea de Scaphis, poi dei Vascellari, dopo aver ospitato una falegnameria, oggi è la sede di una galleria d’arte contemporanea mentre l’ex chiesa di S. Maria Annunziata del Gonfalone ospita il Coro polifonico romano, che propone una ricca stagione di concerti.

A Napoli, invece, è diventata un’elegante libreria antiquaria quella che era una piccola chiesa d’inizio Novecento dedicata alla Madre della Divina Grazia e abbandonata per oltre trent’anni. «Sono un uomo fortunato – racconta l’editore Marzio Grimaldi, il quale ha rilevato la gestione dell’edificio di culto partecipando a un bando della Curia che la cedeva a chi, proponendo un valido progetto culturale, si impegnava a restaurarla a proprie spese – ogni giorno, appena tiro su la saracinesca ed entro, rimango meravigliato da tanta bellezza e, mi deve credere, avverto sensazioni dolcissime». Tanti altri progetti si preparano in condivisione con le varie diocesi d’Italia, in nome della resurrezione delle chiese abbandonate. E intanto a Trapani fervono i lavori al secondo piano del moderno oratorio di S. Rocco, che ospiterà sale per cucina, atelier per artisti, masterclass musicali, foresteria e sala per il coworking, mentre al terzo piano ci saranno installazione visive, sonore e olfattive in progettazione con alcuni artisti. «Perché – dice don Liborio – fede, arte e cultura sono un cantiere sempre aperto in un processo di rigenerazione urbana e spirituale in continua trasformazione». Allora siamo salvi, Dio non è morto. Sta solo cambiando casa.

Foto di Andrea Di Martino